Fa sorridere (amaramente) l’ingenuità mostrata dai lavoratori migranti che il 6 maggio manifestavano a Foggia per la dignità e i diritti: in uno dei loro cartelli si rivolgevano al sindaco Landella per chiedergli giustizia per il giovane gambiano morto nell’incendio della sua baracca di legno e lamiera. Avranno pensato che il sindaco è, come tale, il capo di una comunità, ed il capo di una comunità non può disinteressarsi delle violazioni dei diritti elementari che accadono nella sua città. Da Landella, naturalmente, solo silenzio. Ma null’altro che silenzio giunge anche dal principale sfidante di Landella, Pippo Cavaliere. Guardo e riguardo la sua pagina Facebook, che in campagna elettorale è per ogni candidato ormai il principale strumento di propaganda, ma nulla. Non una sola parola, non un link. Per il candidato di sinistra alle elezioni la manifestazione di centinaia di migranti semplicemente non è mai avvenuta. Né mi pare che altri si siano espressi.
Posso comprenderli. L’Italia è ormai un paese in cui il razzismo ha messo solide radici, e Foggia è anche più razzista della media italiana, benché abbia un numero di migranti decisamente inferiore alle città del centro-nord. Sotto elezioni è meglio non compromettersi con questa gente, si rischia di perdere voti. Ma a non compromettersi si rischia qualcosa di peggio: di vincere, ma di non differenziarsi affatto dall’avversario. Di essere diventati di destra, nel tentativo di sconfiggere la destra.
Uno degli argomenti di destra contro i migranti – uno dei pochi che usano quando provano ad argomentare, cosa che non va più molto di moda – è che i migranti sono manodopera a basso costo, che vengono qui solo per essere sfruttati, che l’immigrazione non è altro che racket di esseri umani. Che sia così, almeno a Foggia (o a Rosarno) è difficile negarlo. Ma la conclusione logica di questa premessa non è la negazione dell’immigrazione (che sarebbe, peraltro, la negazione di un fenomeno antico quanto la specie umana: e senza la quale, peraltro, la specie umana nemmeno esisterebbe, almeno non come è adesso), ma la lotta per i diritti dei lavoratori migranti. Se fosse un vero argomento, e non un pretesto, quelli di destra dovrebbero essere al fianco dei lavoratori africani che scendono in piazza per rivendicare i loro diritti, a cominciare da paga, contratto, alloggio decente e documenti. Solo in questo modo è possibile riportare legalità nelle campagne: e legalità è una delle parole di cui si riempiono la bocca i salviniani (salvo poi difendere a spada tratta il sottosegretario, già pregiudicato per bancarotta fraudolenta, accusato di corruzione).
Dietro il silenzio dei “politici” foggiani di fronte a quella manifestazione – un silenzio riempito dalle scomposte eruttazioni dei tanti frustrati da social network, degli infelici che vivono d’odio – c’è un duplice fallimento. Il fallimento, la miseria morale di una destra che si riempie la bocca dei valori cristiani tradizionali, ma non riesce a vedere nel nero che crepa in una baracca un essere umano; ed è un fallimento che prescinde dal successo elettorale. Chi costruisce il suo successo personale sull’odio e sul razzismo è un fallito come essere umano ed è un fallito come politico. Ed è il fallimento di una sinistra che per calcolo elettorale dimentica i fondamenti stessi di qualsiasi politica di sinistra: l’uguaglianza, la liberazione di tutti cercata, rivendicata, costruita faticosamente a partire da chi sta peggio.
Dietro il silenzio dei “politici” c’è il fallimento di una intera città, che tira a campare tra una partita di calcio e un panino in piazza (“un bilancio entusiasmante” per Libando, annuncia il sindaco Landella), senza davvero sapere dove sta andando – dove vuole andare.
L’Attacco, 9 maggio 2019