Ho scritto questo articolo, su richiesta, per una rivista che si occupa di educazione. Ho chiesto di non pubblicarlo perché il numero della rivista, dedicato alla pace, sarebbe stato legato alla terza marcia mondiale per la pace e la non violenza. Marcia che non condivido, come non condivido le posizioni della maggio parte dell’area della cosiddetta nonviolenza, per ragioni che ho ampiamente illustrato su questo blog.
1. Un bambino si avvicina a un pozzo. Gira intorno, poi vi sale su. E rischia di cadervi dentro. È la scena immaginata dal filosofo cinese Mencio per uno degli esperimenti mentali più efficaci della storia della filosofia. Nessuno osservando la scena, affermava Mencio, resterebbe impassibile; chiunque proverebbe una forte angoscia, e tale angoscia sarebbe assolutamente indipendente da qualsiasi altra circostanza, come l’essere osservato da altri. Agli italiani della mia generazione questo esperimento mentale richiama immediatamente alla mente la tragedia di Alfredino, il bambino caduto nel pozzo a Vermicino nel 1981. L’intero Paese guardò per diversi giorni con indicibile angoscia quella scena, fino al terribile esito finale. Verrebbe dunque da fare ragione a Mencio. E condividere la sua conclusione: “Tutti gli uomini hanno un cuore-mente (心) che non sopporta di vedere le sofferenze degli altri” (Mencio, Gong Sun Chou I, 6).
Sappiamo purtroppo che le cose non stanno così. O meglio: non stanno solo così. Può succedere che qualcuno osservi la scena senza restare scosso. Ma può anche succedere che qualcuno getti un bambino nel pozzo. Anzi, può succedere che più persone gettino uno o più bambini nel pozzo. E che altre persone – milioni di altre persone – osservino la scena approvandola. O perfino festeggiando per la morte di quei bambini.
Mentre scrivo le vittime del genocidio in atto sulla popolazione palestinese della striscia di Gaza sono più di trentacinquemila. Migliaia sono i bambini. Ma scriverlo non rende l’idea. Bisognerebbe chiamarli per nome uno ad uno, uno dopo l’altro, e arrivare a dieci, poi a cento, poi a mille, duemila, tremila. E sentire tutto lo strazio di queste migliaia di vite innocenti spezzate.
Sappiamo, sentiamo tutti che Mencio ha ragione. Sentiamo di avere un cuore sensibile al dolore di qualunque altro essere umano. Perché allora migliaia di bambini finiscono nel pozzo? La risposta è in un altro filosofo cinese: Mozi. Che ha fondato una scuola filosofica che era anche una squadra di carpentieri specializzati nella costruzione di fortificazioni per le città assediate. Era il Periodo degli Stati Combattenti e il lavoro certo non mancava. Da cosa nasce la violenza? Perché uno Stato fa guerra a un altro Stato? Perché i forti opprimono i deboli? Per l’odio, certo. Ma Mozi fa un passo oltre. Da dove nasce l’odio? Da una visione errata delle cose. Odiamo perché abbiamo una percezione del mondo che segna confini tra noi e loro. Perché siamo parziali e non universali. E dunque per vincere l’odio e la violenza che da esso scaturisce dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo: “Se ognuno considerasse le città degli altri come la propria, chi si impadronirebbe delle città degli altri? Gli altri sarebbero considerati come sé stessi. Se ognuno considerasse le case degli altri come le proprie, chi disturberebbe le case degli altri? Gli altri sarebbero considerati come sé stessi” (Mozi, 16.2).
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