L’autoassoluzione della Chiesa in Canada

Tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli anni Novanta del secolo scorso il governo canadese ha costretto i bambini appartenenti a famiglie di nativi americani a frequentare un sistema di scuole gestito da diverse Chiese cristiane, l’Indian residential school system. Il compito di queste scuole era quello di far sì che i bambini dimenticassero la loro cultura di origine e venissero formati secondo la cultura e la religione dominante. Questa violenza culturale, già terribile, è tuttavia solo parte della violenza che questi bambini si trovarono a subire. Sequestrati alle famiglie, sottoposti a maltrattamenti ed abusi sessuali, sterilizzati, racchiusi in edifici malsani, tenuti in condizioni igieniche precarie, migliaia di questi bambini – in alcuni periodi addirittura più della metà degli ospiti – hanno perso la vita negli anni in queste scuole più simili a lager che a istituzioni educative. Quelli che sono sopravvissuti hanno trovato, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la forza per denunciare ciò che hanno subito ed avviare le ricerche su quello che appare come un vero genocidio.

La Truth and Reconciliation Commission of Canada, nata nel 2007 per accertare la verità e favorire la riconciliazione nazionale, ha chiesto da tempo a papa Francesco di chiedere perdono per il coinvolgimento della Chiesa cattolica. Il viaggio apostolico dei giorni scorsi intendeva venire incontro a questa richiesta. Ma lo ha fatto in modo del tutto insoddisfacente.

Sin dai tempi di Giovanni Paolo II la richiesta di perdono papale – quasi ormai un genere letterario – segue uno schema autoassolutorio: una succinta ed eufemistica descrizione della colpa; una lettura della stessa che la riconduce alla ben nota imperfezione della natura umana; una lunga celebrazione della grandezza della Chiesa. Il viaggio apostolico di papa Francesco in Canada non fa eccezione.

In Canada il papa ha fatto tre cose. Ha chiesto scusa. Ha sottolineato, con una scelta attenta dei termini, che quello che è accaduto non è opera della Chiesa come istituzione, ma di singoli cattolici. E ha usato strumentalmente i valori, reali o presunti, della comunità nativa canadese come conferma dei valori cattolici.

Il punto fondamentale, per i nativi, è la mancanza di ammissione di una responsabilità istituzionale della Chiesa cattolica. In un primo discorso del 25 luglio presso la Chiesa del Sacro Cuore di Edmonton ha fatto ricorso alla parabola della zizzania:

E al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che anche nella Chiesa al grano buono si mescola la zizzania. Anche nella Chiesa. E proprio a causa di questa zizzania ho voluto intraprendere questo pellegrinaggio penitenziale, e cominciarlo stamani facendo memoria del male subito dalle popolazioni indigene da parte di tanti cristiani e chiedendone perdono con dolore. Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana. (1)

Analizziamo queste parole. Anche nella Chiesa c’è la zizzania. Quell’anche, che il papa sottolinea ripetendolo, vuol dire che la zizzania c’è soprattutto fuori dalla Chiesa, ma purtroppo la Chiesa non riesce ad esserne immune del tutto. Ed è per questo che dei cattolici hanno contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento. I responsabili sono dunque solo alcune persone, incidentalmente di fede cattolica, che si sono limitate a contribuire ad azioni che sono state intraprese da altri. Il resto del discorso è un’autocelebrazione della Chiesa.

Due giorni dopo, il 27 luglio, papa Francesco incontra le autorità civili presso la “Citadelle de Québec”. Non è più in una parrocchia: ci si aspetterebbe un discorso più serio e meno autocelebrativo. Tutt’altro.

Il papa esordisce con una polemica qualunquistica contro il mondo contemporaneo, l’individualismo, l’incapacità di ascoltare, la frenesia eccetera, cui contrappone la saggezza arcaica dei popoli nativi, capaci “di porsi in ascolto di Dio, delle persone e della natura”. Quindi entra in argomento. Vediamo come:

Questi insegnamenti vitali, tuttavia, sono stati violentemente avversati in passato. Penso soprattutto alle politiche di assimilazione e di affrancamento, comprendenti anche il sistema scolastico residenziale, che ha danneggiato molte famiglie indigene, minandone la lingua, la cultura e la visione del mondo. In quel deprecabile sistema promosso dalle autorità governative dell’epoca, che ha separato tanti bambini dalle loro famiglie, sono state coinvolte diverse istituzioni cattoliche locali; per questo esprimo vergogna e dolore e, insieme ai Vescovi di questo Paese, rinnovo la mia richiesta di perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene. Per tutto questo chiedo perdono. È tragico quando dei credenti, come accaduto in quel periodo storico, si adeguano alle convenienze del mondo piuttosto che al Vangelo. Se la fede cristiana ha svolto un ruolo essenziale nel plasmare i più alti ideali del Canada, caratterizzati dal desiderio di costruire un Paese migliore per tutta la sua gente, è necessario, ammettendo le proprie colpe, impegnarsi insieme a realizzare quanto so che tutti voi condividete: promuovere i legittimi diritti delle popolazioni native e favorire processi di guarigione e di riconciliazione tra loro e i non indigeni del Paese. (2)

Ancora qui i termini sono eufemistici. Nessun accenno ai bambini morti, alle sevizie, alle violenze sessuali. Se il discorso finisse nelle mani di qualcuno che non ha mai sentito parlare di quello che è accaduto in Canada, mai riuscirebbe a farsi un’idea della sua gravità. Anche qui la riduzione della responsabilità: il sistema è stato promosso dal governo ma sono state coinvolte diverse istituzioni cattoliche locali. Questione di parrocchie, nulla più. Poi torna il ragionamento del discorso precedente, presentato in modo più chiaro. Quello che è accaduto è che la Chiesa si è adeguata alle convenienze del mondo. È il mondo ad essere cattivo. La Chiesa è buona, pura, spirituale, ma purtroppo vive nel mondo, e qualche volta, come è accaduto in Canada a qualche parrocchia, non riesce a non farsene contaminare. Ma la Chiesa, nessuno potrà negarlo, è grande. È stata essenziale “per plasmare i più alti ideali del Canada”, dice. E poi cambia subito discorso, lanciandosi in un discorso sul mondo contemporaneo.

A conti fatti, al genocidio dei bambini nativi canadesi sono dedicate meno di una decina di righe nella trascrizione dei discorsi. Nell’ultimo, prima di ripartire, ribadisce:

Anche oggi, anche qui, vorrei dirvi che sono molto addolorato e desidero chiedere perdono per il male commesso da non pochi cattolici nelle scuole che hanno contribuito alle politiche di assimilazione culturale e di affrancamento. (3)

Papa Francesco non è andato in Canada a chiedere perdono. È andato in Canada ad assolvere la Chiesa come istituzione e il cattolicesimo come visione del mondo. Della bontà ahimè non incontaminabile e tuttavia salda della prima e della santità del secondo non è possibile dubitare.

Non sorprende che la visita del papa abbia lasciato l’amaro in bocca. Mussay Sinclair, senatore che ha presieduto la Truth and Reconciliation Commission, ha dichiarato che il papa ha lasciato “un buco profondo nel riconoscimento del pieno coinvolgimento (full role) della Chiesa nel sistema delle scuole residenziali, attribuendo la colpa a singoli membri della Chiesa”. (4)

Ma non si tratta solo di questo. Quella delle scuole residenziali è stata una violenza istituzionale che aveva una precisa giustificazione culturale. Condannarla come violenza di alcuni singoli non solo assolve l’istituzione, ma impedisce qualsiasi riflessione sulla violenza culturale che l’ha sorretta e giustificata.

E invece una reale riconciliazione non può che partire da una domanda: perché? Perché i cattolici, i cristiani in generale sono stati così violenti? Cosa ha spinto a non vedere in un bambino nativo un essere umano? Da dove veniva quella ferocia?

La risposta a questa domanda è nella parabola stessa che il papa ha evocato nella parrocchia, parlando ai nativi. La parabola della zizzania, che è una sintesi efficace della violenza del Vangelo. C’è un uomo che ha seminato del grano. Qualcuno però nella sua terra ha seminato zizzania insieme al grano. Cha fare? Raccogliere la zizzania? Ma c’è il rischio di sradicare anche il grano. “Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”, dice Gesù (Matteo, 13 30).

In questa parabola è di persone che si sta parlando. Di persone che sono grano e di persone che sono zizzania. Di persone che quando giungerà il Regno finiranno nel granaio e di persone che invece saranno legate e bruciate. Gesù invita a non raccogliere. Ma è un invito destinato, nella storia della cristianità, a restare inascoltato. Se alcune persone sono zizzania, se sono state piantate dal Maligno stesso, la tentazione di sradicarle subito, per ripulire il mondo dalla loro insidia, è irresistibile.

È questo che è accaduto, tra l’altro, nel Nuovo Mondo. Quando gli europei vi si trasferiscono, interpretano la loro vicenda storica alla luce della Bibbia. I cristiani sono il nuovo Israele che si fa strada nella terra del Diavolo. Scrive a fine Seicento il pastore Cotton Mather:

Gli abitanti della Nuova Inghilterra sono il popolo di Dio che si è insediato in quelli che un tempo erano i territori del Diavolo; e si può facilmente supporre che il Diavolo sia stato fortemente irritato, quando si è accorto che questo popolo stava adempiendo l’antica promessa fatta al nostro Gesù, che Avrai in possesso le terre più lontane. (5)

Il nativo americano non è diverso dal cananeo: è un essere corrotto, demoniaco, che non appartiene alla comune umanità. E che va sterminato, come propone nel Settecento il giurista Hugh Henry Brackenridge per quegli “animali volgarmente chiamati indiani”. (6)

Le azioni di una istituzione come la Chiesa cattolica si inseriscono in una storia. Il papa è l’ultimo successore di Pietro; c’è una linea di continuità che va dal primo papa fino a lui, ed è questa linea che giustifica la sua posizione. Ma non è l’unica linea. C’è anche una linea di continuità che va dalla violenza disumana di cui raccontano i primi libri della Bibbia – la storia di un popolo che Dio guida contro altri popoli, eccitandolo allo sterminio anche di donne e bambini – e dalla convinzione evangelica che il mondo si divina in salvati e dannati, esseri umani che sono da Dio ed esseri umani che sono dal Diavolo, alla lunga successione di atrocità di cui si sono resi responsabili i cristiani.

Fino a quando i cristiani non si libereranno dall’idea che un essere umano possa essere zizzania, la violenza cristiana sarà sempre possibile. E fino a quando non si metteranno seriamente in discussione radici dottrinali e scritturali – ma occorre dire: ideologiche – della violenza ogni richiesta di perdono non è che una facile autoassoluzione.

Note

(1) Viaggio Apostolico in Canada: Incontro con le popolazioni indigene e con i membri della Comunità Parrocchiale presso la Chiesa del Sacro Cuore (Edmonton, 25 luglio 2022), url: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/july/documents/20220725-incontroedmonton-canada.html
(2) Viaggio Apostolico in Canada: Incontro con le Autorità Civili, con i rappresentanti delle Popolazioni Indigene e con il Corpo Diplomatico presso la “Citadelle de Québec” (27 luglio 2022), url: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/july/documents/20220727-autorita-canada.html
(3) Viaggio Apostolico in Canada: Incontro con i giovani e con gli anziani nel piazzale della scuola elementare (Iqaluit, 29 luglio 2022), url: http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/july/documents/20220729-giovani-anziani-iqaluit.html
(4) A. Woods, ‘A deep hole’ — Murray Sinclair, Romeo Saganash harshly criticize Pope’s apology, in “Toronto Star”, 26 luglio 2022, url: https://www.thestar.com/news/canada/2022/07/26/pope-franciss-apology-fails-to-meet-truth-and-reconciliation-call-to-action-sinclair.html
(5) C. Mather, The Devil in New England, da The Wonders of the Invisible World, 1693, On-line: https://www.bartleby.com/400/prose/202.html. Il riferimento biblico è a Salmi, 2:8.
(6) D. Losurdo, L’ebreo, il nero e l’indio nella storia dell’Occidente, QuattroVenti, Urbino 1999, p. 9.

Papa Francesco, il piazzista di Dio

Dal Rinascimento in poi, gli sviluppi della scienza e della filosofia hanno progressivamente sgretolato il terreno metafisico-cosmologico su cui poggiava la dottrina cristiana. A fine Ottocento il processo è compiuto: si tratta solo di trarne le conclusioni. E lo fa Nietzsche con l’annuncio della morte di Dio; un annuncio fatto non a credenti, ma ad atei, proprio perché non si tratta di dire che Dio non c’è, cosa ormai banale ed evidente a tutti, ma che se Dio non c’è tutti i nostri valori devono essere trasmutati. Se era evidente a tutti, non lo era per la Chiesa cattolica, che per decenni ha continuato ad affermare e riaffermare caparbiamente il proprio contenuto dogmatico. Fino a quando è arrivato il colpo di grazia: la società del benessere, che progressivamente ha ridotto nei paesi industrializzati le basi sociologiche del suo consenso: una ampia massa di persone ignoranti, superstiziose, bisognose di rassicurazione ultraterrena perché spaventate da una vita difficile. Di fronte a questi cambiamenti epocali le posizioni possibili sono quattro. La prima è quella di un ripensamento serio e profondo del cristianesimo alla luce dei cambiamenti sociali e culturali. È la via imboccata dall’avanguardia più coraggiosa della teologia contemporanea, in particolare protestante, con autori come Bultmann, Bonhoeffer, Altizer, e in Italia da pensatori come Sergio Quinzio o quello straordinario provocatore che è stato Ferdinando Tartaglia. La seconda è quel ripensamento politico del cristianesimo come prassi di liberazione compiuto dalla teologia della liberazione sudamericana. La terza è la condanna della modernità. È la via del fondamentalismo evangelico ed ortodosso e, in modo apparentemente più blando, del papato di Giovanni Paolo II, con il suo attacco ossessivo al relativismo. L’ultima posizione è quella di un adattamento del cristianesimo al consumismo. È la via di certi telepredicatori evangelici statunitensi. Ed è anche la via che la Chiesa cattolica sembra aver preso con la guida di papa Francesco. Nulla lo dimostra meglio dell’ultimo suo libro. Che è, intanto, una operazione commerciale sfacciata. Il papa si affida, chissà perché, non alla Libreria Vaticana, ma alla semisconosciuta Libreria Pienogiorno di Milano. Una case editrice che si presenta così nel suo sito Internet: “Non un altro marchio editoriale, ma un marchio editoriale tutto nuovo che offre autori di successo, altovendenti, di qualità e proposte di assoluto interesse e rilievo del panorama italiano e internazionale”. Altovendenti. Non avevo mai incontrato questa parola, mi immagino che faccia parte di certo gergo aziendale sul quale sarebbe troppo facile fare ironia. Il fatto di essersi affidato a una casa editrice che pubblica autori altovendenti non è senza conseguenze. Perché, per quanto male di pensi di papa Francesco, è difficile credere che sia stato lui a pensare un titolo ruffiano come Buona vita e un sottotitolo ruffianissimo come Tu sei una meraviglia, che superano di gran lunga l’idiozia del precedente Ti auguro il sorriso. Per tornare alla gioia. Perché credere in Cristo? La risposta un tempo era: perché solo il Cristo ci salva dal peccato; perché siamo esseri profondamente corrotti e possiamo risollevarci solo con l’aiuto di Dio. Per secoli il cattolicesimo ha insistito sul peccato e la corruzione, con un compiacimento barocco di cui nessuno avverte la mancanza. Nel cattolicesimo di papa Francesco invece tutti gli elementi tragici e drammatici del cristianesimo sono rimossi o ridotti a burla. Il peccato, in primo luogo. Se vi accenna, è solo per tranquillizzare subito: quella nuvola è immediatamente fugata dalla luce di Cristo. Che vi siano stati migliaia di uomini di Dio, adeguatamente dotati di fede, che hanno compiuto le azioni più nefande sugli esseri più fragili, non lo induce a riflessioni amare sulla pervasività del male, o magari ad indagare – Dio non voglia! – su un possibile legame strutturale tra la dottrina, l’istituzione che la veicola e la pedofilia. Bisogna essere positivi. Sorridenti, anche. Allegri. Gioiosi. Ed è questa la risposta di papa Francesco. Bisogna credere perché la fede dà gioia. È un antidepressivo infallibile. Non è un particolare smarrimento del cristianesimo. Mi pare anzi che vi sia una piena continuità, una perfetta realizzazione della logica storica del cristianesimo. Se Dio muore per l’uomo, allora l’uomo è Dio. I pagani erano sorpresi e turbati da questo aspetto del cristianesimo: il sovvertimento del rapporto naturale, diciamo così, tra Dio e uomo. L’uomo va da Dio, perché Dio è Dio. Ma nel cristianesimo Dio va dall’uomo. Anzi, di più: si sacrifica per l’uomo. Ma ciò cui si sacrifica è Dio. Dunque nel cristianesimo il vero Dio è l’uomo. Dio è al servizio dell’uomo. Il cattolicesimo consumistico di papa Francesco è l’inverarsi postmoderno del Vangelo. Dio va all’uomo come un qualsiasi bene di consumo. Il suo scaffale, per la precisione, è quello dei prodotti adatti per una vita sana e salutare. Per i casi più difficili, può essere un antidepressivo; ma al tempo stesso è un ricostituente e un eccitante, perché al papa piacciono le persone energiche. In ogni caso, è un rimedio facile, a portata di mano, che costa poco. Pochissimo. E che funziona meglio di qualsiasi altro:
Probabilmente, nei momenti di difficoltà, tanti di voi si saranno sentiti ripetere le parole “magiche” che oggi vanno di moda e dovrebbero risolvere tutto: “Devi credere in te stesso”, “Devi trovare le risorse dentro di te”, “Devi prendere coscienza della tua energia positiva”. Ma tutte queste sono semplici parole e per chi è veramente “morto dentro” non funzionano. La parola di Cristo è di un altro spessore, è infinitamente superiore. È una parola divina e creatrice, che sola può riportare la vita dove questa si era spenta.
Dio funziona meglio. Ma lo scopo, la funzione, è la stessa: il benessere. E non occorrono grandi sacrifici per ottenerlo. Kierkegaard non aveva capito nulla. Essere cristiani è nulla più che vivere serenamente la propria vita. Non manca, è chiaro, la polemica contro questo mondo, l’invito ad essere diversi e in opposizione ad esso. Ma in papa Francesco anche questa opposizione diventa cosa da ridere. I giovani sono invitati ad avere ideali, senza che si specifichi quali (anche i fascisti dicono di avere ideali), mentre agli anziani raccomanda di non fare chiacchiere, un tema che chissà perché gli sta molto a cuore. Cose così. L’operazione di papa Francesco è a suo modo onesta. Il bene-Dio può dare quello che promette. Può essere che la vita diventi più facile, allegra, gioiosa. E tuttavia la conversione non riesce del tutto. Per usare un’altra metafora, papa Francesco vende un’automobile usata, usatissima, dopo aver sistemato la carrozzeria e rifatto la verniciatura. A vederla sembra nuova, quasi fiammante. Ma se sollevi il cofano scopri che il motore è logoro. Il motore del cristianesimo è nella sua cultura del giudizio, in quella divisione violenta tra salvati e dannati, tra chi è da Dio e chi è da Satana che è all’origine di tutte le atrocità commesse dal cristianesimo nel corso della sua storia, dallo smembramento di Ipazia al massacro dei bambini indigeni del Canada fino agli anni Settanta del secolo scorso. Un libro col sottotitolo Tu sei una meraviglia sembra voler scardinare questo stesso motore violento, in nome dell’accettazione totale e incondizionata del lettore. Ecco:
Scusa, fratello, non perderti d’animo. Hai la tentazione di sentirti sbagliato? Dio ti dice: “No, sei mio figlio!” Hai la sensazione di non farcela, il timore di essere inadeguato, la paura di non uscire dal tunnel della prova? Dio ti dice: “Coraggio, sono con te.”
Dio è un motivatore, un personal trainer metafisico. Bellissimo. Nessuno è sbagliato, perché siamo tutti figli di Dio. Ci sarebbe l’obiezione che se basta l’essere figli di Dio per non essere sbagliati, allora non si capisce perché l’Adam non abbia potuto godersi la vita nell’Eden, e Dio lo abbia fatto sentire così maledettamente sbagliato scacciandolo insieme ad Eva. Ma poi ecco che si fa avanti, poniamo, un pigro. E papa Francesco:
Dio detesta la pigrizia e ama l’azione. I pigri non potranno ereditare la voce del Signore. Capito?
Non ho la minima idea di cosa voglia dire ereditare la voce, ma è chiaro che i pigri non piacciono né a Dio né al papa. Se sei pigro, non va bene. Poi ci sono i tiepidi. Come ho accennato, al papa piacciono le persone energiche. E dunque al bando i tiepidi. “Gesù detesta più di ogni cosa la tiepidezza. Si vede il disprezzo di Dio per i tiepidi”. Dunque: Dio ti dice di non sentirti sbagliato perché sei suo figlio, ma se sei tiepido ti disprezza. Poi c’è la faccenda del sesso. Non venga in mente ai giovani di farlo, magari perché è una cosa naturale, naturalissima.
Io non vorrei fare il moralista, ma voglio dire una parola che non piace, una parola impopolare. Anche il Papa alcune volte deve rischiare per dire la verità. L’amore è nelle opere, nel comunicare, ma l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone. Cioè l’amore è casto. E a voi giovani in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove soltanto ha pubblicità il piacere, passarsela bene, fare la bella vita, io dico: siate casti, siate casti.
C’è molta miseria morale nel non saper distinguere un rapporto sessuale fondato sull’amore da un rapporto sessuale fondato sul piacere reciproco ed entrambi da un rapporto sessuale mercenario, e ridurre tutto il sesso a quest’ultima tipologia. A meno il papa non voglia dire che ogni volta che due persone traggono piacere da una cosa che fanno insieme, vuol dire che si stanno usando a vicenda. Ma in questo caso tutto diventa peccato. Anche una conversazione intellettuale, che quanto più è profonda, tanto più dà piacere. Ma non è il caso di discutere davvero queste stronzate (pericolose, perché la vita sessuale è essenziale per la salute: è come se si dicesse ai giovani di essere anoressici), dando ad esse una dignità che non hanno. Sono sufficienti per mostrare come, sotto la carrozzeria riverniciata, vi sia lo stesso logoro motore cristiano, con il suo moralismo, la piccineria, la sessuofobia e al tempo stesso l’ossessione per il sesso, che finisce per occupare tutta la sfera morale, a discapito delle virtù civili – una perversione morale di cui noi italiani stiamo ancora scontando le conseguenze. Il papa è, secondo la dottrina cattolica, il rappresentante di Dio sulla terra. Papa Francesco lo è in un modo particolare: il rappresentante nel senso commerciale del termine. Il commesso viaggiatore. Il piazzista di Dio. Altovendente, bisogna dargliene atto.

Fratelli quasi tutti

Fratelli tutti, la nuova enciclica di papa Francesco, dice molte cose belle, buone e giuste. Dice che siamo tutti fratelli, e dobbiamo considerarci e trattarci come tali: e che dunque va condannata la disuguaglianza che constatiamo dolorosamente sia nel nostro Paese che nel mondo. Non ironizzo quando dico che sono cose giuste, anche se leggendola non ho potuto fare a meno di ripensare a quel passo de Il Regno di Dio è in voi di Tolstoj in cui il grande scrittore e pensatore russo – osannato come scrittore, rimosso come pensatore – scrive: “Siamo tutti fratelli, e nondimeno ogni mattina questo fratello e questa sorella fanno per me i servizi che non voglio far io. Siamo tutti fratelli – e nondimeno mi occorrono ogni giorno un sigaro, dello zucchero, uno specchio e altri oggetti alla cui fabbricazione i miei fratelli e le mie sorelle, che sono miei eguali, hanno sacrificato la loro salute; ed io mi servo di questi oggetti, ed anzi li pretendo” (edizione Bocca, Roma 1894, p. 129). E continua con una analisi spietata della miseria della società russa, fondata sull’ipocrisia e lo sfruttamento, con la benedizione di quella Chiesa ortodossa che lo scomunicherà. Ora, sono parole che papa Francesco sottoscriverebbe volentieri. Anzi, più che sottoscriverle, le scriverebbe. E in parte le ha scritte. Ma c’è una differenza essenziale. Il grande scrittore russo cercò – dolorosamente, tragicamente – il passaggio dalla teoria all’azione, la testimonianza, la coerenza tra vita e pensiero. Il papa, fratello di tutti, resta Sua Santità: per quanti tentativi faccia, sarà sempre infinitamente al di qua da quella orizzontalità che consente la vera fratellanza. Sarà padre – Santo padre – ma mai fratello. E la presenza nella società di figure come la sua è il maggior ostacolo alla diffusione di una effettiva cultura della fraternità.[read more]

Ma non è di questo che voglio parlare. Mi interessa il tema del dialogo, sul quale Francesco si sofferma nella seconda parte dell’enciclica. “L’autentico dialogo sociale – scrive – presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni e degli interessi legittimi” (§203). È vero: senza questa capacità non c’è dialogo. Ma Francesco è capace di questo rispetto? Nell’enciclica enfatizza la sua convergenza di vedute con quello che chiama il Grande Imam (un altro Padre, non fratello; magari in questo caso Zio: fratello del Padre) Ahmad Al-Tayyeb, noto da noi per alcune dichiarazioni non molto conciliabili con democrazia, civiltà e diritti umani; non mostra invece grande capacità di rispetto verso un punto di vista realmente diverso da quello religioso. Accogliendo pienamente l’eredità di Giovanni Paolo II e di papa Ratzinger, papa Francesco non riesce a vedere nel pensiero laico, ateo, agnostico, relativista, insomma nel pensiero che discute i fondamenti della sua fede, null’altro che una minaccia per la civiltà. Scrive: “Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità” (§244). Cioè: chi non crede in Dio non può davvero credere nella fraternità. Che è una sciocchezza colossale. Se non fosse chiaro, spiega citando la Centesimus annus di Giovanni Paolo II: “Se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri” (§273). Dunque: se uno non crede in Dio, dovrà per forza opporsi agli altri, ad esempio in nome della Nazione. È ben noto, del resto, che i fascisti hanno fatto un concordato con la Lega degli Atei, e non con la Chiesa cattolica.
Il nemico è, ancora, il relativismo. “La carità ha bisogno della luce della verità che costantemente cerchiamo e questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, senza relativismi” (§185). “Il relativismo non è la soluzione. Sotto il velo di una presunta tolleranza, finisce per favorire il fatto che i valori morali siano interpretati dai potenti secondo le convenienze del momento” (§191). Un’altra sciocchezza. Nel 1919 Giuseppe Rensi, con Carlo Michelstaedter il filosofo più inquieto del Novecento italiano, scrisse un libro – Lineamenti di filosofia scettica – in cui sosteneva che dopo la Grande Guerra era impossibile non dichiararsi scettici. La guerra è conflitto di verità: si uccide l’altro in nome della propria verità; e se le diverse verità si scontrano, è perché evidentemente nessuna è tale da imporsi da sé come Verità. L’anno successivo trasse le conseguenze politiche nella Filosofia dell’autorità: poiché non esiste alcuna verità, è solo la forza che stabilisce a chi spetta il potere. Ora, queste idee potevano storicamente incontrarsi con il fascismo. Non accadde, e Rensi fu anzi perseguitato dal Regime. La ragione è facile da comprendere. Un Regime, quale che sia, ha bisogno di una Verità forte. Nel caso del fascismo, il neoidealismo di Giovanni Gentile, con le sue solide certezze hegeliane. Sullo scetticismo, sul relativismo non è possibile fondare alcun Regime, né si dichiarano guerre per difendere la causa del dubbio. Ogni violenza organizzata ha bisogno di una Verità per muovere le masse, eccitarle, manipolarle.
Ecco insomma il limite della fraternità di papa Francesco. Fratello di chiunque creda nel suo stesso Padre immaginario (lo stesso, detto per inciso, su cui si fonda il suo potere, il fatto che viva una vita che è ben lontana da quella dell’uomo comune, e infinitamente distante dalla vita di quegli ultimi di cui i cattolici amano riempirsi la bocca), ha grandi difficoltà a confrontarsi e dialogare con chiunque non pretenda di avere in un certo volume rilegato in pelle, a richiesta anche in comoda versione tascabile, tutta la Verità.

Gli Stati Generali[/read]

Il sorriso di Maria?

La banalità quotidiana di papa Francesco su Twitter è la seguente:

Il sorriso semplice e puro di Maria sia fonte di letizia per ognuno di noi davanti alle difficoltà della vita.

Naturalmente noi dell’aspetto di Maria non sappiamo nulla, e nemmeno del suo sorriso. La rappresentazione di Gesù, come è noto, è basata su un falso: la lettera di Publio Lentulo, nella quale si parla di un uomo con i capelli color nocciola, che “nella presenza è il più bell’uomo che si possa immaginare; tutto simile alla madre la quale è la più giovane che si sia mai vista in queste parti”.

La frase di papa Francesco andrebbe dunque modificata così:

Il modo in cui gli artisti rappresentano il sorriso semplice e puro di Maria sia fonte di letizia per ognuno di noi davanti alle difficoltà della vita.

Anche qui, però, c’è qualcosa che non va. Chi conosce un po’ di storia dell’arte, sa che in realtà non è così frequente, poi, che gli artisti rappresentino la Madonna sorridente. Non sorride, per dire, la Madonna di Crevole di Duccio di Buoninsegna, ha il volto corrucciato quella del Masaccio agli Uffizi, mentre nella Trinità che si trova in Santa Maria Novella, sempre del Masaccio, ha una espressione difficile da descrivere – si direbbe tra lo stupore e lo stordimento – ma che sicuramente ha poco a che fare con la letizia. E del resto, sarebbe strano il contrario. Parliamo di una donna che ha partorito per Dio un bambino che appena conquistata l’età della ragione l’ha abbandonata, rifiutandosi anche di chiamarla madre (per tutto il Vangelo la chiama “donna”), e che poi si fa crocifiggere per realizzare il piano di Dio.

Non mancano, certo, Madonne sorridenti. Sono le Madonne con il vestito bianco e il manto azzurro e i capelli biondi e gli occhi azzurri delle statue di gesso che si vendono davanti ai santuari. La banalità quotidiana di papa Francesco va dunque ulteriormente tradotta come segue:

Il sorriso semplice e puro di Maria nelle scadenti statue di gesso della Madonna che si vendono davanti ai santuari sia fonte di letizia per ognuno di noi davanti alle difficoltà della vita.

Amen.