Qualche settimana fa uno studente mi ha fatto una domanda cui non è facile rispondere. Avevo letto in classe alcune pagine de Il futuro della democrazia di Norberto Bobbio, un libro del 1984 per molti versi ancora molto attuale. Nel primo capitolo Bobbio ragionava delle “promesse non mantenute” della democrazia. Tra le altre, la persistenza delle oligarchie, di ambiti in cui si esercita il potere in modo non democratico (e molto c’è da riflettere, oggi, sui social network), di forme di potere che si sottraggono al controllo (un controllo, osservata Bobbio, “tanto più necessario in un’età come la nostra in cui gli strumenti tecnici di cui può disporre chi detiene il potere per conoscere capillarmente tutto quello che fanno i cittadini è enormemente aumentato, è praticamente illimitato”), la mancanza di una educazione del cittadino, l’incapacità di uno Stato democratico di rispondere alle richieste sempre più numerose che provengono dalla società civile.
La domanda dunque era: come possiamo dimostrare che la democrazia sia in assoluto il miglior sistema di governo? Si trattava di una lezione di Scienze Umane, e studiando antropologia gli studenti già al terzo anno imparano cos’è il relativismo culturale. Se ogni cultura ha i suoi valori, come possiamo sostenere il valore transculturale della democrazia?Ho provato a rispondere come segue. I sistemi totalitari del Novecento sono stati terribili, hanno esercitato un controllo violentissimo sulla vita degli individui, e tuttavia avevano limiti per così dire tecnici. A Tirana ho visitato la Casa delle foglie, il suggestivo museo dei servizi segreti albanesi al tempo del regime di Enver Hoxha. Intere sale erano dedicate ai sistemi di controllo e di spionaggio. Cimici estremamente rudimentali, sistemate nei pochi alberghi della città per spiare i visitatori stranieri. Con sistemi del genere un regime paranoico come quello di Hoxha, che ha disseminato di bunker tutta l’Albania in previsione di un improbabile attacco atomico, riusciva ad ottenere un controllo fragilissimo. Ora le cose sono ben diverse. Quando Bobbio sottolineava il rischio per la democrazia legato alle nuove tecnologie, cellulari e rete Internet come tecnologie diffuse erano ancora di là da venire. Oggi ognuno lascia di continuo, qualunque cosa faccia, tracce digitali, dà di sé informazioni riguardanti gli spostamenti, le convinzioni politiche, le abitudini sessuali, le frequentazioni, gli acquisti eccetera. Ed ecco perché non possiamo più permetterci un regime, e la democrazia, per quanto imperfetta sia, resta il miglior sistema possibile. Perché se ci fosse un regime, oggi, grazie al controllo dei dati informatici potrebbe ottenere un controllo talmente totale sulla vita delle persone, che l’essere umano, così come lo concepiamo, semplicemente scomparirebbe.
Secondo il mito cristiano Dio creò l’uomo – l’Adam – libero. Gli offrì la possibilità di peccare, pur sapendo, dal momento che era onnisciente, che l’avrebbe usata male. Era fondamentale che fosse libero, anche se di questa libertà avrebbe fatto un uso negativo. E sarebbe stato punito, per questo. Abbiamo sempre considerato la libertà – mai naturalmente assoluta – come una componente essenziale di quello che siamo. Per la teologia il male stesso dimostra l’esistenza della libertà, e dunque di un bene. Potremmo eliminare del tutto il male (il male sociale, quello che ci facciamo l’un l’altro) se creassimo un sistema di controllo totale: un sistema in cui non puoi fare il male, perché non ti lasciamo nessuna libertà di azione, ti controlliamo passo dopo passo, ed hai sempre un occhio che ti osserva. Un sistema del genere però farebbe pagare un prezzo troppo alto per la scomparsa del male. Un prezzo che non è possibile pagare senza suicidarci come esseri umani, diventando qualcosa d’altro.
L’emergenza sanitaria ha portato in Italia a una sostanziale sospensione di molte libertà democratiche fondamentali. Ritengo che vi siano ragioni fondatissime per una tale sospensione, e condivido abbastanza l’attacco di Paolo Flores d’Arcais a Giorgio Agamben, il filosofo italiano più noto ed apprezzato all’estero, che applicando alla situazione attuale la sua teoria dello stato d’eccezione minimizza la realtà del pericolo, parlando di un “panico che si cerca con ogni mezzo di diffondere in Italia in occasione della cosiddetta epidemia del corona virus” (affermazioni che Flores d’Arcais liquida come farneticazioni). Non c’è nessuna “cosiddetta epidemia”; c’è una emergenza sanitaria mondiale effettiva e gravissima, che richiede misure eccezionali. E tuttavia non possiamo fare a meno di riflettere sui limiti di queste misure. Quando l’assessore milanese Gallera dichiara che “Ormai vi controlliamo anche attraverso le celle telefoniche“, l’impressione è che il limite si stia pericolosamente superando. Il fatto che, dicendo quella frase agghiacciante, sorrida, fa pensare che si sia ancora al di qua del confine: e tuttavia resta una affermazione gravissima, che evoca una soluzione al male – il controllo totale, totalitario sulla vita degli individui – che rischia di essere peggiore del male stesso
Gli Stati Generali, 19 marzo 2020.