Il groviglio di Piazza Mercato

Foto ripresa dal sito www.ispastrutture.it
Tra le ragioni per le quali la vita è un groviglio c’è il fatto che le ciambelle raramente riescono col buco. Il che vuol dire che c’è uno scarto tra il progetto e la sua esecuzione, tra l’idea e la sua concretizzazione, tra quel che si vorrebbe fare – spesso con le migliori intenzioni – e quello che si riesce davvero a fare.
Una ciambella penosamente malriuscita è stato l’incontro di domenica mattina tra il sindaco ed i cittadini per discutere del futuro di Piazza Mercato. Nelle intenzioni del sindaco doveva essere un bel momento di democrazia partecipata: cosa rara di questi tempi, rarissima a Foggia, e quanto mai opportuna in campagna elettorale. Ne ė venuta fuori invece una gazzarra delle peggiori, che ha messo a dura prova la flemma mongelliana: a un certo punto ha dovuto far la voce grossa (per quanto sia possibile far la vice grossa a Mongelli) per imporre ordine e disciplina.
Le contestazioni più dure sono state per l’ex assessore Maria Rosaria Lo Muzio, che ha preso la parola per ricordare che quella piazza oggi tanto contestata quando era ancora un progetto venne apprezzata in una mostra a Bruxelles e inserita dalla Fondazione Agnelli tra trenta opere di grandi architetti italiani. Dal pubblico la interrompono: “Ci vuole un coraggio… No, fa schifo questa piazza”. Eppure non aveva tutti i torti, l’ex assessore. La piazza progettata e la piazza realizzata, quello che doveva essere e quello che è stata ed è, sono due cose diverse. Ancora una volta lo scarto, il groviglio. Nelle intenzioni di chi l’ha progettata, quella piazza doveva essere un centro di aggregazione sociale, ospitare iniziative culturali, diventare uno dei luoghi più vivi del cuore storico della città. Se è andata diversamente, la responsabilità non è di chi l’ha progettata, ma di chi non è riuscito a farla funzionare. E’ molto triste, ed è un indice del degrado civile e non solo politico della città, che non si riesca a Foggia a far funzionare uno spazio culturale (si pensi, oltre a Piazza Mercato, all’abbandono delle strutture di parco San Felice), mentre a Manfredonia con i fondi della Regione hanno trasformato il mercato del pesce in un laboratorio culturale che, affidato ad una cooperativa, ospita ogni giorno concerti, corsi di musica, mostre d’arte, convegni e conferenze.

Oggi si vorrebbero abbattere le contestate strutture metalliche della piazza – il “trenino” – e lasciare solo la pavimentazione. Anche qui rischia di esserci uno scarto, e tra i peggiori, tra il progetto e la sua realizzazione. Perché il dato più impressionante che è emerso dall’incontro di domenica è l’altissimo malessere della gente di quel quartiere, di quel centro storico che è diventato, dicono, terra di nessuno. Il timore, fondato, è che, liberata dalle strutture metalliche, quella piazza finisca per diventare un buco nero nel bel mezzo del centro storico, un pisciatoio e vomitatoio a due passi dalla cattedrale.
All’incontro di domenica mattina è intervenuta anche una ragazza dai capelli rossi. Il problema del centro storico non si risolve, ha detto, facendo le multe, ma dando ai giovani degli spazi, perché quello che accade è sintomo di un disagio. Il sindaco s’è detto d’accordo: “Ci vogliono le multe, ma ci vogliono anche altre cose”. Quali altre cose? E’ una domanda difficile, ed è proprio dal modo in cui riesce a rispondere ad una domanda del genere che si può valutare l’operato di una amministrazione. E’ certo che con l’amministrazione Mongelli sono mancate sia le multe che le “altre cose”. E indubbiamente smantellare una struttura che doveva essere uno spazio culturale, invece di lavorare per ripristinarla e farla funzionare, mettendo a tacere gli opposti egoismi, appare come una sconfitta della politica delle “altre cose”.
Articolo per Stato Quotidiano.

Se il sindaco non risponde (e cancella chi lo critica)

Gianni Mongelli, sindaco di Foggia
Il sindaco di Foggia, Gianni Mongelli, mi ha cancellato dai suoi contatti Facebook. Ha fatto esattamente quello che avrei fatto io se qualcuno dei miei contatti avesse scritto sulla mia pagina le cose che ho scritto io sulla pagina del sindaco. L’ultima delle quali è stata che Mongelli non risponde sulla sua pagina Facebook perché non è in grado di mettere insieme dieci parole senza fare errori ortografici. Constatazione difficilmente contestabile – basta rileggere qualcuna delle rare testimonianze autografe mongelliane -, ma sicuramente antipatica. E tuttavia io non sono il sindaco di Foggia. Questa cosa – il non essere sindaco di Foggia – qualche vantaggio l’ha. Essendo un privato cittadino, posso permettermi qualche libertà che un cittadino pubblico non può permettersi. Tra queste, quella di cancellare da Facebook chi non mi piace.
Devo confessare che non ho mai compreso per quale ragione Mongelli abbia voluto aprire una pagina Facebook. Nell’era dei social network, la politica si fa anche su Facebook e su Twitter. I social network sono il luogo virtuale in cui i politici incontrano i cittadini, con le loro richieste reali, e si sforzano di dare risposte. Mongelli no. Apre la sua pagina Facebook e la abbandona a sé stessa. Interviene solo, di tanto in tanto, per augurare buongiorno o buon Natale. Se qualcuno gli dice ciao, risponde ciao. Se qualcuno gli fa una domanda politica, tace. Se qualcuno gli fa una critica, tace. Se qualcuno gli fa una richiesta, tace. Se qualcuno gli fa una segnalazione, tace. Chiunque acceda alla pagina Facebook di Mongelli, si fa di lui questa idea: il sindaco che tace. E’, più o meno, l’impressione che chiunque può farsi dell’amministrazione passeggiando per la città. Una città in cui la politica tace.

Diamo uno sguardo agli ultimi interventi sulla pagina del sindaco. Qualcuno pubblica la foto del pronao della villa comunale, imbrattato dalle scritte, e chiede di dare dignità a uno dei simboli della città. Il sindaco non risponde. Altri fanno notare che nonostante l’ordinanza che vietava la vendita dei botti, la città in questi giorni è stata piena di baracche abusive di venditori di botti. Mongelli non ha nulla da dire. Un’altra cittadina chiede che si permetta di pagare la Tares fino alla fine di gennaio. Mongelli tace. Un cittadino protesta perché gli abitanti dei palazzi di nuova costruzione passeranno le vacanze natalizie senza gas e riscaldamenti. Mongelli non ha nulla da dire.
Sia chiaro: non tutti quelli che intervengono sulla pagina del sindaco lo fanno con educazione e rispetto, né tutte le richieste sono sensate, né tutte le responsabilità sono del sindaco. Ma se la risposta è, invariabilmente, il silenzio, tutto diventa indifferente. La bacheca, che doveva essere il luogo del confronto, diviene un muro delle lamentazioni sul quale lo sfogo volgare e scomposto e la critica ragionata, l’insulto e la segnalazione di un disagio reale hanno lo stesso peso specifico. L’impressione – mi si passi l’immagine un po’ forte – è quella delle chiacchiere nella stanza del morto. Con la differenza che i parenti raccolti intorno alla salma in genere parlano bene del defunto. In questo caso, invece, per lo più ne parlano male.
Devo confessare che quando ho scoperto che Mongelli mi ha cancellato dei suoi contatti ho sorriso. Ed ho pensato: oh, dunque esiste. Mongelli respira, è vivo. C’è. E tuttavia penso che non vada bene se un sindaco cancella un cittadino dai suoi contatti. Immaginiamo la scena al di fuori di un social network. Il sindaco sta al Comune. La gente va al Comune, con le sue domande. “Sindaco, la Tares”. “Sindaco, ci manca il riscaldamento”. “Sindaco, non ho la casa”. Il sindaco tace. La gente continua a protestare, ed il sindaco continua a tacere. Finché, a un certo punto, ha uno scatto di orgoglio. Decide di fare qualcosa. Rispondere? No, troppo difficile. Chiama i vigili urbani e fa allontanare uno a caso. Diciamo il più antipatico, anche se non il più violento.
Ammetto che si tratta di un paragone un po’ forzato. Per fortuna, la pagina Facebook del sindaco non è il Comune, ed essere cancellati dai contatti non è la stessa cosa che essere allontanati con la forza dai vigili. Ma la sostanza non cambia molto. C’è un sindaco che non vuole sentire chi lo critica. Che chiude la comunicazione.
Anche chi è meno duro nei confronti di Mongelli riconosce che non ha grandi capacità comunicative. E considera questa come una pecca trascurabile, un peccato veniale.
Bisogna intendersi su cosa vuol dire comunicare. Per molti la comunicazione che ha a che fare con la politica è la stessa comunicazione della pubblicità: consiste nel saper vendere un prodotto. Il politico comunicatore è uno che sa vendersi. Sa come atteggiarsi, come parlare, come vestirsi. Sa dire le parole giuste, sa risultare gradevole e positivo.
Mongelli non è un grande comunicatore in questo senso. Non sa scegliere le parole; di più: non è in grado nemmeno di pronunciare la nostra lingua in modo corretto. E devo ammettere che, per quanto mi infastidisca che un sindaco non sappia esprimersi correttamente in italiano, la cosa me lo rende quasi simpatico. Non amo i comunicatori-imbonitori.
Ma la comunicazione ha a che fare con la politica anche in un altro senso, più vero e più profondo. Comunicare è ascoltare e parlare; c’è vera comunicazione solo se ci sono queste due cose insieme. Per questo il politico comunicatore, così come è comunemente inteso, non è in realtà un comunicatore ma, appunto, un imbonitore. Il politico autentico ascolta le domande e poi cerca di dare delle risposte serie. Non solo: riesce anche a far comunicare gli altri. La vera politica si riconosce da questo: elimina i blocchi comunicativi, fa circolare le idee e le domande, apre uno spazio pubblico per il confronto. E’ in questo secondo senso, più vero, che Mongelli non è un buon comunicatore. E non solo perché non sa usare un social network e cancella chi gli dà fastidio.
Come altre città meridionali, Foggia ha vissuto e vive la miseria di una politica da pitocchi, del voto di scambio e del clientelismo, che sempre porta all’abbandono ed al degrado. Una fotografia scattata in uno dei tanti quartieri degradati della nostra città potrebbe essere intitolata “Effetti del cattivo governo in città”, come l’affresco di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena. Per i foggiani dei Quartieri Settecenteschi o di Candelaro il politico è il santo in paradiso al quale scroccare la cena elettorale o la promessa di lavoro. Il rapporto con il politico è di reciproco sfruttamento: ed è un rapporto privato, fatto di incontri al chiuso, di cose sussurrate tra quattro pareti. Un sindaco di rottura in questa città dovrebbe combattere soprattutto questa logica. Passare dalla comunicazione privata alla comunicazione pubblica. Andare nei quartieri, una volta al mese o anche meno spesso, ed incontrare la gente. Ascoltare le lamentele, raccogliere le richieste, rispondere alle critiche. Avviare la stagione del confronto. Educare alla cittadinanza reale persone che sono state ridotte da decenni di miserabile politicanteria a vendersi il voto per un pacco di pasta. Andare nei posti del degrado – che a Foggia sono tanti – e cercare insieme una via d’uscita.
Mongelli non è stato e non è nulla di tutto questo.