Morta la meritocrazia, ritorna il merito. Si potrebbe sintetizzare così La rivoluzione del merito di Luca Ricolfi (Rizzoli, Milano 2023). La meritocrazia è, per Ricolfi, una ideologia, e come ogni ideologia ha i suoi limiti concettuali e le sue contraddizioni pratiche. Cosa c’è dietro il merito? Almeno tre fattori: l’ambiente socio-economico, la dotazione genetica e lo sforzo personale. Ora, è evidente che i primi due fattori non comportano alcun merito reale e derivano dalla semplice fortuna. Quanto al terzo, si può considerare una qualità non diversa dalle altre, e come le altre indipendente da noi. Alcuni hanno una grande forza di volontà, senza che averla si possa considerare ragione di merito (come non lo è essere belli o intelligenti). In una società organizzata secondo l’ideologia meritocratica ognuno riceve dalla società solo ciò che gli spetta in base ai suoi soli meriti; il problema però è come isolare questo merito individuale da fattori come le doti naturali e l’origine sociale. Per neutralizzare quest’ultima, ad esempio, bisognerebbe imporre un’altissima tassa di successione o, addirittura, togliere ai genitori la responsabilità dell’educazione dei figli affinché tutti, educati dallo Stato, abbiano lo stesso livello culturale di partenza. In altri termini, l’ideologia meritocratica o è irrealizzabile o è realizzabile in società dai netti caratteri distopici.
Per Ricolfi si può e si deve rinunciare alla ideologia del merito senza rinunciare al merito stesso. E si può fare – mossa singolare per un sociologo – ricorrendo al senso comune, per il quale il merito è legato soprattutto allo sforzo individuale. Si tratta dunque di intervenire affinché lo sforzo individuale dei capaci, benché poveri, possa consentire loro di emergere. Ricolfi pone l’enfasi su questo sostegno sociale al percorso di elevazione sociale del povero, più che sul contrasto al vantaggio di chi proviene da un ambiente sociale privilegiato, cosa che gli sembra condurre inevitabilmente alla distopia.
C’è un dato statistico che per Ricolfi è decisivo: alla fine della secondaria inferiore le studentesse hanno risultati nettamente migliori degli studenti. Cosa vuol dire questo? Una cosa sola: dal momento che le ragazze non sono più intelligenti dei ragazzi, vuol dire che il successo scolastico è legato a “un fattore strettamente individuale e soggettivo, comunque lo si voglia chiamare: impegno, diligenza, serietà, perseveranza, disciplina, amore per lo studio, voglia di eccellere”. Di qui il corollario: “Ecco perché il merito è importante. Premiarlo, aiutando chi sta in basso a percorrere tutti i gradi degli studi, è la via maestra per attenuare i condizionamenti dell’origine sociale.”
Non ho controllato il dato: non ne ho bisogno. Chiunque insegni sa che le studentesse ottengono generalmente risultati migliori degli studenti maschi. E tuttavia il dato scelto da Ricolfi per sostenere la sua tesi può servire anche meglio a sostenere la tesi contraria.
Perché le ragazze vanno meglio a scuola? Perché si impegnano, certo, come dice Ricolfi. Si impegnano in media più dei ragazzi. E più dei ragazzi sono disposti ad accettare le regole scolastiche, ad avere una condotta corretta, ad essere costanti nello studio, eccetera. Per usare l’orrenda terminologia scolastica, le ragazze sono meglio scolarizzate dei ragazzi. E questo favorisce anche quel bias che si chiama effetto alone: la percezione positiva che il docente ha dello studente sul piano comportamentale influenza anche la valutazione dei suoi apprendimenti.
Ma seguiamo ora la nostra studentessa uscita dalle medie con una ottima valutazione. Cosa farà? Quello che vuole, evidentemente. Ma non è proprio così. Nel nostro Paese esistono dinamiche di orientamento che sono al tempo stesso razziste, classiste e sessiste. Sono dinamiche che fanno sì che uno studente maschio con interessi per la realtà sociale o per la psicologia non venga orientato verso il Liceo delle Scienze Umane, come sarebbe normale; il Liceo delle Scienze Umane è infatti notoriamente una scuola per lo più femminile. Se fosse anche straniera, potrebbero però suggerirle di frequentare un Professionale. Le statistiche dicono che è esattamente quello che succede.
Ma poniamo che la nostra studentessa, di buona famiglia e determinata, scelga il Classico o lo Scientifico, le scuole d’élite. Farà poi l’Università. E poi entrerà nel mondo del lavoro. Ma che accade a questo punto? Accade che la nostra studentessa modello, che è stata costante, ammirevole nello studio, nel mondo del lavoro è sorpassata dal compagno di banco che strappava la sufficienza e magari prendeva anche qualche nota in condotta. Anche qui i dati statistici non lasciano alcun margine al dubbio. Le ragazze vanno meglio a scuola dei ragazzi, ma quando diventano donne sono messe da parte in favore degli uomini.
Perché accade? Le ragioni sono diverse. Può essere che nel mondo del lavoro siano apprezzate qualità – soft skills, come si dice – un po’ diverse da quelle che a scuola servono a diventare un bravo studente; che, detto in altri termini, gli ultimi a scuola stanno paradossalmente esercitando qualità utili per il mondo del lavoro. La differenza nell’inserimento nel mondo del lavoro nel nostro Paese più che in altri risente poi fortemente del capitale sociale; ma a parità di capitale sociale una donna e un uomo dovrebbero ottenere comunque lo stesso livello lavorativo. Ad essere decisivo è probabilmente un terzo fattore: semplicemente il maschilismo della nostra società, che privilegia gli uomini nel mondo del lavoro, costringendo le donne a posizioni meno prestigiose e remunerative.
Il caso delle studentesse, dunque, dimostra l’esatto contrario di quello che vorrebbe Ricolfi. Dimostra che la meritocrazia scolastica non serve. Le ragazze ottengono i voti migliori a scuola. Questo vuol dire che la scuola riconosce i loro meriti, e tuttavia ciò non le aiuta. E non le aiuterebbe nemmeno il sistema di borse di studio proposto da Ricolfi a conclusione del suo libro. Che consentirebbe alle ragazze, come a qualunque studente meritevole, di giungere alla conclusione degli studi, ma ciò non è affatto garanzia di una qualsiasi degna posizione economica e sociale. Magari servirebbe spendere qualche soldo anche per l’inserimento lavorativo o per l’imprenditoria.
Chiediamoci intanto cosa ne è degli altri. Il sistema del merito non è un gioco a somma positiva. È un gioco a somma zero. Per far sì che i meritevoli abbiano il meglio è necessario essere più duri con i non meritevoli. Non può essere che una classe sia costretta a stare al passo con i più fragili. Così si danneggiano i più poveri, che a scuola hanno bisogno di imparare molto. Pare che per Ricolfi non sia possibile l’individualizzazione dell’apprendimento, ossia offrire cose diverse a studenti diversi, a seconda del loro interesse, delle loro inclinazioni e della loro disponibilità a mettersi in gioco. Eppure è esattamente quello che accade ogni giorno nelle aule scolastiche. Almeno dove si può parlare di scuola.
Ora parliamo un po’ di questo studente-palla-al-piede. Anzi, parliamo di due studenti-palla-al-piede. Uno è figlio di buona famiglia, l’altro proviene da un ambiente socio-culturale problematico, come si dice. Li chiameremo studente A e studente B. Nella scuola di Ricolfi studente A e studente B saranno ugualmente bocciati. E ribocciati, fino ad essere espulsi dalla scuola. Qui i percorsi di A e B si dividono. Studente A, che ha il padre imprenditore, si iscriverà a un diplomificio e poi a un laureificio. Otterrà la laurea senza alcun problema, erediterà l’azienda del padre e poi si metterà in politica. La nostra classe politica è piena di persone così, sia a livello locale che a livello nazionale. Che farà B? Qualsiasi cosa compatibile con la sua mancanza di capitale culturale e di capitale sociale. Poco, cioè.
Ma c’è un’altra questione che mi preme. B ha quindici anni. A sedici anni termina l’obbligo scolastico e B può essere restituito alla società da una scuola che ha riconosciuto che, ahimè, non aveva talenti o meriti particolari. A dire il vero per Ricolfi la selezione va fatta perfino prima. “Le promozioni facili nella scuola dell’obbligo si pagano con gli abbandoni massicci nel biennio della scuola secondaria superiore e nei primi anni di università”, scrive. Gli sfugge che anche il primo biennio della scuola secondaria è scuola dell’obbligo. Per lui gli studenti non meritevoli, dunque, nemmeno dovrebbero arrivare alla scuola secondaria. Ma un bambino che frequenta la scuola media non è né meritevole né non meritevole: è la sua famiglia. A quell’età il lavoro di liberazione dai condizionamenti sociali e culturali non è ancora cominciato. Né comincerà mai, col sistema di Ricolfi. Né, nelle zone mafiose – che in Italia coprono buona parte del Paese – sarà possibile alcun lavoro di affrancamento dalla cultura mafiosa.
Ricolfi, e quelli che ragionano come lui, che non sono pochi, peccano di astrazione. Concepiscono uno studente simile a un calco di gesso all’interno del quale si trova, o non si trova, il fuoco sacro del talento. La realtà è che ognuno è preso nella concretezza dei suoi rapporti sociali ed economici. E questo vuol dire che B può, ad esempio, aver interiorizzato una rabbia sociale, dovuta alle sue esperienze, che lo porta ad avere in classe atteggiamenti provocatori, che fanno aggio su tutto il resto. I docenti agli scrutini scuotono il capo. “Sarebbe intelligente, ma davvero per lo studio non ha testa.” Oppure può essere che B sia una femmina, e che la sua famiglia le abbia detto fin da piccola che la sua vita è a casa, come moglie e madre. Può essere, insomma, che quel sacro fuoco del talento sia seppellito sotto una spessa coltre di condizionamenti sociali, la cui rimozione richiede due cose: tempo e pazienza. Due cose che mancano in una scuola del merito. Non si può aver pazienza, con B, non si può attendere che faccia il suo lavoro difficile di crescita e liberazione dai condizionamenti, perché stargli dietro ostacola il luminoso procedere dei meritevoli. E i meritevoli sono impazienti, scalpitano: non vedono l’ora di entrare in una società che così evidentemente è pronta a riconoscere i meriti di ciascuno.
Proviamo ad applicare il metodo Ricolfi. I ricchi continueranno ad accedere a qualsiasi titolo di studio, grazie al mercato dei diplomi e delle lauree. E ottenuta la laurea conquisteranno le migliori posizioni lavorative, grazie al capitale sociale ed economico. Quanto ai poveri, un numero ristretto di loro – i capaci e meritevoli – riuscirà ad accedere alla laurea. Ma con la laurea in tasca, in assenza di capitale sociale, non potranno accedere alle posizioni lavorative più remunerative in termini di economia e di status sociale; e non avendo nemmeno capitale economico, avranno enormi difficoltà a creare imprese. Faranno lavori intellettuali per lo più precari e malpagati. La maggior parte dei poveri avranno la sola licenzia media, con la quale potranno, a scelta, dedicarsi a un lavoro manuale, che anche per colpa della scuola è associato a un basso status sociale, o ingrossare le fila delle organizzazioni criminali nelle aree del Paese in cui esse fanno le veci dello Stato. Essendo ignoranti, costituiranno una base elettorale solida per i partiti populisti, ma anche una massa di persone manipolabili da chiunque, dal clero ai complottisti. Una accentuazione tragica del Paese infelice che già siamo.
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