Papa Francesco si è detto disgustato per il rogo del Corano, avvenuto qualche giorno fa davanti alla principale moschea di Stoccolma durante una manifestazione autorizzata. “Qualsiasi libro considerato sacro dai suoi autori deve essere rispettato per rispetto dei suoi credenti, e la libertà di espressione non deve mai essere usata come scusa per disprezzare gli altri, e permettere questo va rifiutato e condannato”, ha dichiarato.
Consideriamo le due affermazioni. Partiamo dalla seconda: la libertà di espressione non deve mai essere usata come una scusa per disprezzare gli altri? Potrei essere d’accordo, ma non sono sicuro che papa Francesco abbia il diritto di fare una simile affermazione. L’istituzione di cui è il capo gode della massima libertà d’espressione, che usa per offendere e disprezzare una molteplicità di soggetti. Io convivo da tredici anni con una donna, che è anche la madre di mio figlio. Di noi il Catechismo della Chiesa di cui papa Francesco è capo dice quanto segue (par. 2390):
Si ha una libera unione quando l’uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l’intimità sessuale. L’espressione è fallace: che senso può avere una unione in cui le persone non si impegnano l’una nei confronti dell’altra, e manifestano in tal modo una mancanza di fiducia nell’altro, in se stessi o nell’avvenire? L’espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine. Tutte queste situazioni costituiscono un’offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l’idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l’atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale.
Dunque per quest’uomo e l’istituzione che rappresenta io e la mia compagna siamo ancora, nel 2023, concubini (nel 1956 i coniugi Bellandi denunciarono il vescovo di Prato per averli definiti “pubblici peccatori e concubini”, dal momento che si erano sposati solo in Comune; il vescovo fu assolto), peccatori gravi, contrari alla legge morale. Non solo, per la Chiesa di cui papa Francesco è capo non costituiamo una vera famiglia e non abbiamo fiducia l’uno nell’altra e la nostra vita insieme rappresenta perfino una offesa alla famiglia. Non occorre sottolineare quanto tutto ciò sia offensivo e calunnioso. Ma non pretendo che la Chiesa cancelli questa parole. Credo nella libertà di espressione, con pochissimi limiti (razzismo, apologia del fascismo e poco altro).
Veniamo alla prima affermazione. Qualsiasi libro considerato sacro deve essere rispettato per rispetto dei suoi credenti. Questo vuol dire che i libri non sono tutti uguali e non sono tutti ugualmente degni di rispetto. I dialoghi di Platone, ad esempio, contano meno della Bibbia, perché non sono religiosi ed hanno solo lettori, non credenti. Il valore di un libro non è dato dal suo contenuto, ma dal suo status religioso. Ma questo vuol dire in generale attribuire all’esperienza religiosa un valore e un diritto al rispetto superiori riguardo ad altre esperienze. Se si considera giusta questa affermazione un credente potrà bruciare le opere di Voltaire o di Meslier (o magari di Onfray), mentre un non credente non potrà bruciare la Bibbia; perché le opere dell’ateismo e del libero pensiero hanno solo lettori, mentre i testi sacri hanno credenti.
Bruciare dei libri o distruggerli non è un bel gesto. Evoca i Bücherverbrennungen nazisti. Ma il nazismo e il fascismo i libri si eliminavano dalla circolazione, non si limitavano a distruggerne simbolicamente una copia. Credo di aver compreso davvero cos’è il fascismo quando, studente ventenne, mi sono trovato in biblioteca di fronte a una copia censurata di un libro di Giuseppe Rensi, filosofo scettico e ateo. Ricordo una pagina in cui l’affermazione “Dio è” era seguita da molte righe nere. E intere pagine erano cancellate. Il vero rogo dei libri è quello che impedisce ai libri stessi di arrivare al lettore. Quello che fa sì che il Testamento di Meslier, ad esempio, sia praticamente introvabile, pubblicato da una piccolissima casa editrice e mai giunto nelle librerie. E che riserva Giulio Cesare Vanini agli specialisti.
Può essere divertente, peraltro, considerare l’applicazione sistematica del rispetto rivendicato da papa Francesco. Dov’è la linea di demarcazione tra un testo sacro e un testo non sacro? Nel 2012 è stata riconosciuta in Svezia la Chiesa Missionaria del Copimismo (Missionerande Kopimistsamfundet), nel cui simbolo sono presenti i tasti CTRL + C e CTRL + V. La Chiesa sostiene la sacralità della copiatura e diffusione dei testi. Qualsiasi testo copiato diventa dunque sacro. Questo vuol dire che per un copimista qualsiasi testo, se copiato, è sacro.
D’altra parte, cos’è un libro sacro? È sacra questa copia del libro? Sono sacri la carta, l’inchiostro, la colla? E come la mettiamo con i libri elettronici? Il Corano in PDF o in ePub è ugualmente sacro? Se il manifestante si fosse piazzato davanti alla moschea con un Kindle e avesse davanti a tutti cestinato la sua copia elettronica del Corano, o se munito di computer portatile ne avesse platealmente cestinato il PDF, la cosa sarebbe stata ugualmente grave?
L’autore del gesto davanti alla moschea di Stoccolma si chiama Salwan Momika, è di origini irachene e si dichiara ateo. In Iraq l’espressione di un pensiero critico verso la religione islamica è punita con il carcere. Nel vicino Iran invece può costare la vita. Non è l’unico paese islamico: in Iran, in Arabia Saudita, in Yemen, in Mauritania, in Afghanistan, in Pakistan, in Malesia, in Nigeria, in Qatar, in Sudan essere atei, o blasfemi (e qualsiasi affermazione ateistica è naturalmente blasfema) può essere punito con la morte. In altri paesi islamici l’ateismo o la critica della religione sono repressi con il carcere.1
In Nigeria il cantante ventiduenne Yahaya Sharif-Aminu è stato condannato a morte per impiccagione per una canzone diffusa su WhatsApp. La ventiseienne Aneeqa Ateeq è stata condannata a morte in Pakistan per aver diffuso immagini blasfeme su WhatsApp e Facebook. Sempre in Pakistan è stato condannato a morte il docente universitario trentatreenne Junaid Hafeez, per alcuni commenti su Maometto diffusi sui social. Il suo avvocato, Rashid Rehman, è stato ucciso per aver accettato di occuparsi del suo caso. Potrei continuare a lungo.
Delle due l’una: o la condanna a morte di esseri umani in nome del Corano è contro lo stesso insegnamento del Corano, o è invece coerente con esso. Nel primo caso, i musulmani hanno un problema ben più grave del gesto dimostrativo di Salwan Momika: in ben tredici Paesi musulmani si dà dell’insegnamento di Maometto una interpretazione violenta e, se anche Allah è amorevole, blasfema. Nel secondo caso – se, cioè, il Corano giustifica l’uccisione di esseri umani – bruciare il Corano è un gesto politicamente comprensibile, eticamente incensurabile e forse perfino necessario.
1 Si veda The Freedom of Thought Report di Humanists International, url: https://fot.humanists.international/download-the-report/
La foto | Proteste in Iraq contro in rogo del Corano in Svezia. Foto di Middle East Monitor con licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International.