Il corto circuito

Una persona ferisce con un coltello – un’arma bianca, scrive un articolo che riprende l’italiano disarmante dei rapporti di polizia – un’altra persona. Ferite non gravi, roba da codice giallo. Una non notizia. Diventa notizia perché la persona ferita è una professoressa e l’aggressore è uno studente. E non diventa solo una notizia. Diventa una notizia in base alla quale è possibile trarre conclusioni generali sugli studenti di oggi, le loro famiglie e chissà quanto altro.

Il ministro si è affrettato a dire che nelle scuole serve lo psicologo. Una delle cose di cui fatico a capacitarmi è la fiducia che un Paese sfiduciato come il nostro ha ancora negli psicologi. Non ci fidiamo dei politici, non ci fidiamo dei docenti, non ci fidiamo dei preti, ma siamo assolutamente certi che persone che spesso si sono formate su concezioni non meno fantasiose di quelle che si insegnano in seminario possano risolvere tutto: sistemare la maglia strappata della nostra società, mettere a posto i cocci della nostra identità, ripescare la voglia di vivere dal baratro delle nostre quotidianità. Ed ecco dunque uno di loro – uno psicanalista!- dichiarare immancabilmente a Repubblica che “Siamo al corto circuito tra una scuola sempre più fragile e una famiglia che giustifica tutto”. Nell’occhiello si può leggere il corollario di questo luminoso teorema: “L’incapacità dei nostri ragazzi di elaborare le sconfitte può sfociare nella violenza”.

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