Vien quasi da difenderlo Feltri (e vi giuro: stavo per scrivere “il povero Feltri”). Fa una battuta si sfuggita, e vien giù il finimondo. E’ un po’, a dire il vero, come se di un genovese avesse detto che “è generoso, nonostante sia genovese”. A torto o a ragione, i foggiani non hanno fama di buon gusto nel vestire. Nella sua Ballata delle prugne secche Pulsatilla – la foggiana Valeria di Napoli – ricordava che “a Pisa, pacchiano si dice foggiano”. Spero ora che aver ricordato questa cosa non scateni una lotta contro i pisani e nuovi strali contro Pulsatilla, che da questo punto di vista ha già dato.
Vestono bene i foggiani? La questione è indecidibile, dal momento che nessuno ha il criterio oggettivo del buon gusto. Certo i negozi di alta moda non mancano, e certo sono parecchio frequentati. Ma c’è anche il mercato del venerdì, e al mercato del venerdì ci sono anche i banchi dei vestiti usati. Veste male chi compra cose usate? Ne dubito. Ci si può vestire benissimo anche spendendo poco: il buon gusto, fortunatamente, prescinde dal denaro. Ma temo che quelli che frequentano i negozi del centro non la pensino allo stesso modo. Ci sono, a Foggia, una quantità di termini offensivi per indicare una carta fascia della popolazione locale. Zanniërë, ad esempio. Non saprei dirne l’origine, credo che venga da zanne, ad indicare una qualche caratteristica animalesca del soggetto. Altri termini esprimono un certo pregiudizio antiantropologico: Mao Mao, ad esempio, o Cheyennë. Dalle parti di Foggia le tribù africane o indiane d’America non sono troppo apprezzate. Il foggiano elegante che reagisce con sdegno quando Feltri fa una battuta di sfuggita sui foggiani che vestono male non mancherà di mostrare disprezzo per ‘u zanniërë che gli passa accanto nella fatica quotidiana dello struscio per il corso, quasi usurpasse uno spazio buono, nel quale una borghesia volenterosa tenta di dare un tono alla città. Perché di questo si tratta, alla fine. Sempre. Dietro ogni pregiudizio ci sono dinamiche di classe. Il cattivo gusto è sempre quello dei poveri. I ricchi possono mettersi in testa anche un cappello a forma di merda (magari un po’ largo: “a cacata di vacca”, si dice a Foggia): tutti apprezzeranno l’originalità e lo stile. Foggiano è sinonimo di pacchiano perché Foggia, a dispetto della borghesia volenterosa di cui s’è detto, è nella percezione comune una città proletaria. Perfino un po’ sottoproletaria.
Diceva Paulo Freire che l’oppresso interiorizza il punto di vista dell’oppressore. Una città scivolata ai margini della festa del benessere in una società capitalistica, ossia priva di qualsiasi pietà al di là della retorica, diventa inevitabilmente oggetto di disprezzo e di derisione. E invece di interrogarsi sulle logiche escludenti, sulla crudeltà di quel tritacarne, come in un gioco di scatole cinesi riproduce al suo interno le stesse logiche escludenti, le stesse derisioni, lo stesso disprezzo. Il borghese disprezza ‘u zanniërë, il quale a sua volta disprezza lo straniero, l’ultimo arrivato, il paria assoluto. No, direi che il problema non è Feltri.
L’Attacco, 10 aprile 2019.