Rumi, lo Zen e il lupo

Un leone, un lupo e una volpe vanno a caccia insieme. Catturano e uccidono un bue, una capra e una lepre. Al momento di dividersi le prede, il leone chiede al lupo di attribuire a ciascuno la sua parte. Il lupo attribuisce al leone il bue, poiché è più grande, a sé stesso la capra e alla volpe la lepre. Ma il leone non è d’accordo: e sbrana il lupo.

A questo punto del racconto Jalal alDin  Rumi – stiamo parlando del Mathnawi – introduce una delle sue frequenti, deliziose digressioni. Eccola:

آن یکی آمد در یاری بزد ** گفت یارش کیستی ای معتمد
گفت من، گفتش برو هنگام نیست ** بر چنین خوانی مقام خام نیست‌‌
خام را جز آتش هجر و فراق ** کی پزد کی وا رهاند از نفاق‌‌
رفت آن مسکین و سالی در سفر ** در فراق دوست سوزید از شر
پخته گشت آن سوخته پس باز گشت ** باز گرد خانه‌‌ی همباز گشت‌‌
حلقه زد بر در به صد ترس و ادب ** تا بنجهد بی‌‌ادب لفظی ز لب‌‌
بانگ زد یارش که بر در کیست آن ** گفت بر درهم تویی ای دلستان‌‌
گفت اکنون چون منی ای من در آ ** نیست گنجایی دو من را در سرا

Uno andò a bussare alla porta di un amico. L’amico chiese: “Chi sei; sei degno di fiducia?”
Egli rispose: “Io”. L’amico disse: “Vattene; non è il momento di entrare: ad una mensa come questa non c’è posto per una persona immatura.”
Chi cuocerà ciò che è crudo, se non il fuoco dell’assenza e della separazione? Chi lo libererà dall’ipocrisia?
Il pover’uomo se ne andò, e durante un anno di viaggio e di separazione dal suo amico, fu arso dalle fiamme.
Bruciato, si consumò; allora ritornò e ricominciò a camminare avanti e indietro davanti alla casa del suo compagno. Bussò alla porta con infinito timore e rispetto, temendo di lasciarsi sfuggire dalle labbra una parola irrispettosa.
Il suo amico gli chiese: “Chi è alla porta?” “Sei tu, alla porta, ammaliatore di cuori.”
“Adesso – disse l’amico – poiché tu sei me, entra, tu che sei me stesso; nella casa non c’è posto per due ‘io'”. [Jalal alDin Rumi, Mathnawi, libro I, 3070, traduzione di Gabriele Mandel Khan, Bompiani, Milano 2016, pp. 305-306. Testo farsi qui.]

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Rumi, Freud e Neruda

Il Mathnawi di Rumi si apre con la storia di un re che acquista una giovane schiava di cui è innamorato. La ragazza però si ammala, e per guarirla il re chiama i migliori medici: ma nulla. Prega allora Dio, che in sogno gli annuncia che l’indomani arriverà un medico speciale, mandato da lui. E l’uomo arriva, visita la schiava e dichiara che tutte le cure sono state inutili, per una ragione particolare:

بی‌‌خبر بودند از حال درون ** أستعیذ الله مما یفترون‌‌
Non conoscevano lo stato interno. Io cerco rifugio in Dio contro ciò che essi inventano. [Traduzione qui ed oltre di Gabriele Mandel; testo persiano qui.]

E questo medico speciale, diverso dagli altri, comincia la sua cura. Chiede al re di lasciarlo solo con la ragazza, poi la fa parlare, tenendole il polso. La fa parlare della sua nascita, della sua famiglia, della sua città. Il suo obiettivo è cercare la spina nel suo cuore:

خار در دل گر بدیدی هر خسی ** دست کی بودی غمان را بر کسی‌‌
Se ogni misero essere potesse vedere la spina nel cuore, quando mai i dolori riuscirebbero a trionfare sulla gente?

Le tiene il polso per una ragione: quando, nel corso del suo racconto, la ragazza avrà trovato la spina, l’origine del suo dolore, il medico lo capirà dal fremere del suo polso.

Il resto del racconto ha un senso mistico ed esoterico, ma in questo poema, composto una cinquantina d’anni prima della Divina Commedia, troviamo l’intuizione della terapia psicoanalitica. E un verso, ancora, che alle nostre orecchie suona parecchio familiare:

شاد باش و فارغ و ایمن که من ** آن کنم با تو که باران با چمن‌‌
Sta’ felice e spensierata, non temere di nulla, poiché io farò per te quello che la pioggia fa per il prato.

E’ il Neruda di Juegas todos los dias:

Quiero hacer contigo lo que la primavera hace con los cerezos.
Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi.

Quello che il medico divino fa con la schiava – quello che la pioggia fa al prato – appare ai nostri occhi terribilmente crudele. Ma Rumi avverte:

تو قیاس از خویش می‌‌گیری و لیک ** دور دور افتاده‌‌ای بنگر تو نیک‌‌
Tu giudichi in base a te stesso; ma sei ben lontano. Riflettici bene!

Ci sono primavere dolorose, e ciliegi che, al momento della fioritura, sembrano feriti a morte.