Un bambino massacrato di botte dal compagno della madre per aver rotto, giocando, la testiera del letto. Il brutale assassinio di Cardito suscita rabbia, indignazione, incredulità. La difesa dei bambini non è nemmeno un principio di civiltà: è qualcosa di più arcaico, iscritto nella nostra stessa natura di mammiferi, la protezione a tutti i costi dei cuccioli che accomuna noi, scimmie dotate di ragione e di cultura, con i cani, i gatti, i maiali. Ma noi siamo, appunto, esseri culturali, ed in nome della cultura spesso siamo più violenti degli animali. E’ quello che accade con i bambini. Nel paese che s’indigna per la tragedia di Cardito la violenza sui bambini è ampiamente praticata, e perfino teorizzata. E’ il paese in cui un ministro dell’Interno può twittare senza suscitare alcuno sconcerto: “Educazione civica in classe, e se non basta anche due ceffoni a casa da mamma e papà”. Una frase che avrebbe comportato le immediate dimissioni in paesi come la Svezia nei quali per uno schiaffo a un bambino si finisce in galera, e che invece nel nostro paese suscita approvazione.
Non c’è nessun’altra categoria sociale nei cui confronti sia consentito lo schiaffo. Se un giudice, prima di emettere sentenza, schiaffeggiasse un pluriomicida, la cosa sarebbe considerata una grave violazione dei suoi diritti. Al bambino basta molto meno per essere umiliato: perché il danno maggiore, nello schiaffo, non è il dolore fisico, ma l’umiliazione. Il senso di impotenza, l’essere in balia dell’arbitrio altrui. La negazione del diritto al rispetto, che è riconosciuto a chiunque, ma non al bambino. Un bambino schiaffeggiato impara molte cose. Impara che la violenza è una cosa accettabile, che picchiare qualcuno può essere un buon modo di affrontare i problemi relazionali. Impara che il più forte ha ragione. Impara che il dialogo, la ragione non servono. E no, non impara a star buono: perché la rabbia repressa viene sfogata appena fuori casa, su persone o cose, con atti che verranno riportati ai genitori, causando nuova violenza, e dunque nuova rabbia, in un circolo vizioso terribile.
Eppure i genitori che ritengono lo schiaffo uno strumento educativo accettabile, se non necessario, sono gli stessi che levano alte grida se a ricorrere alla violenza educativa è una maestra. Questa contraddizione si spiega con un tassello ulteriore che completa un quadro fosco: i genitori credono di essere gli unici ad avere diritto di esercitare violenza sui figli, perché il bambino è cosa loro. Appartiene alla famiglia, non alla comunità, e la famiglia può permettersi cose di cui alla comunità non deve render conto.
Si dice che il brutale assassinio di Cardito è maturato in un contesto di degrado, ed è senz’altro vero. Ma è anche una interpretazione deresponsabilizzante: il caso è eccezionale, legato a una situazione-limite, e dunque non ci riguarda, non ci interpella. C’è invece un contesto più ampio, un più vasto degrado dietro quella vicenda, ed è l’incapacità del nostro paese – il paese di Maria Montessori – di creare una solida, condivisa, radicata cultura del rispetto dell’infanzia.
Articolo pubblicato su L’Attacco del 1 febbraio 2019.