Gli ebrei amano frequentare ambienti sordidi, sporchi, oscuri, perché meglio si accordano con la loro natura. L’essere ebrei ha molto a che fare con l’antropofagia ed addirittura con la puerofagia. La società umana è letteralmente finita nel momento stesso in cui si è riconosciuto agli ebrei il diritto di essere ebrei. Esiste un piano dei poteri transnazionali per ebraizzare la popolazione mondiale e renderla così docile e malleabile. Se qualcuno scrivesse simili castronerie razzistiche in un libro, con ogni probabilità incontrerebbe grandi difficoltà a pubblicarlo. Riuscirebbe a farlo con qualche piccolissimo editore, di quelli a pagamento, o magari ricorrendo all’autopubblicazione. Nessun grande editore si azzarderebbe a pubblicarlo; e se accadesse, la cosa susciterebbe un grave scandalo nazionale.
Se sostituiamo agli ebrei gli omosessuali, troviamo tutte le affermazioni succitate nell’ultimo libro di Ida Magli, Figli dell’uomo. Duemila anni di mito dell’infanzia, pubblicato a novembre da Rizzoli. In teoria, e stando alla quarta di copertina, dovrebbe essere un libro di antropologia sulla condizione dell’infanzia nei secoli; in pratica è un libro abbastanza sconclusionato – che termina con un capitolo nel quale si dimostra, o si cerca di dimostrare, la tesi bizzarra che l’attitudine musicale è collegata geneticamente ad una capigliatura folta, che non c’entra molto con il resto del libro – tenuto su soprattutto dall’attacco agli omosessuali. L’infanzia è sempre stata una brutta faccenda; ovunque i bambini sono stati sottoposti a forme terribili di violenza: è una cosa vera, e Magli fa bene a ricordarcelo, benché lo faccia senza andare granché a fondo anche dal punto di vista della documentazione (la bibliografia è striminzita per un libro che ha la pretesa di raccontare “duemila anni di mito dell’infanzia”). E che c’entrano gli omosessuali? Seguiamo, per quanto possibile, il ragionamento dell’antropologa. Esistono alcuni organismi sovranazionali – Onu, Oms, Unione Europea – che incitano all’omosessualità. Ora, essere omosessuali significa non procreare; e se non si procrea, la società muore. Dunque incitare i maschi “a vedere come un ideale la condizione degli omosessuali, perdendo la fiducia nella propria identità sessuale, è simile all’antropofagia” (p. 34). Naturalmente con lo stesso rigore logico si potrebbe associare all’omosessualità qualsiasi cosa. Il secondo passaggio è il seguente: omosessualità e antropofagia sono analoghe, almeno simbolicamente; “per quanto riguarda i bambini lo è molte volte in concreto la pedofilia, anche se gli storici dell’antichità non ne hanno mai parlato” (p. 46). Di più: dopo aver evocato la pedofilia, Magli passa alla puerofagia, il mangiare i bambini. Ci si aspetterebbe qualche pagina di chiarimento, una analisi approfondita dei legami tra omosessualità e puerofagia, ma Magli si lancia in un excursus non troppo rigoroso sulla pratica dei sacrifici infantili, senza dimostrare alcun legame con l’omosessualità. Del resto, la sua tesi si partenza è che l’antropofagia è un atto antropologico originario. L’uomo, dotato di denti, percepisce l’altro primariamente come colui che può essere mangiato; e ad essere mangiato sarà per primo il bambino, colui che non ha denti. La tesi si dimostra facilmente: è sufficiente pensare che nel 1729 Jonathan Swift ha pubblicato la Modesta proposta, nella quale proponeva di commercializzare la carne di bambino. Così come basta una intervista di Jean Genet nella quale si definisce “frocio” per dimostrare che gli omosessuali hanno a che fare con tutto ciò che è sporco. “L’omosessualità sembrerebbe appartenere a un mondo che cerca ciò che d’abitudine non piace a nessuno: gli esseri sconosciuti, il buio, lo sporco, i cattivi odori, i luoghi miseri e abbandonati come se fossero gli unici stimoli adatti a richiamare l’analità del rapporto sessuale” (p. 36). Come se il rapporto “secondo natura” profumasse invece di violetta.
I duemila anni di storia del bambino che narra un po’ frettolosamente vanno dall’antichità fino al 25 luglio 2014, “data che ha segnato in maniera inequivocabile la fine della società” (p. 11). Che è successo di così grave il 25 luglio del 2014? Qualche omosessuale ha mangiato un bambino in piazza? Peggio: Banca Intesa San Paolo ha deciso di riconoscere ai suoi dipendenti omosessuali il diritto a quindici giorni retribuiti in caso di matrimonio. Ida Magli ha novant’anni. Per alcuni è l’età della saggezza, per altri evidentemente no. In passato ha scritto cose interessanti. Da qualche anno è diventata paladina dell’identità italiana, con l’antieuropeismo ed anti-islamismo che ne conseguono. La fragilità delle sue tesi fa sorridere; è evidente, solo per fare un esempio, la contraddizione di una antropologa che da un lato sostiene che in tutte le culture i bambini sono stati vittime di terribili violenze, compresa la puerofagia, e dall’altra contro il riconoscimento dei diritti degli omosessuali usa come argomento il fatto che esso “si scontra con le norme tanto religiose quanto civili della maggior parte delle popolazioni” (p. 15). Delle due l’una: o il fatto antropologico è aberrante, e va giudicato, mandando all’aria l’avalutatività weberiana e lo sguardo emico degli antropologi, ed allora conta poco che le norme civili e religiose delle popolazioni dicano questo o quest’altro, oppure esso è valido e vincolante, ed allora è giustificabile anche la violenza sull’infanzia, proprio perché è un fatto antropologicamente ricorrente e culturalmente codificato.
Il problema non è che Ida Magli pensi queste cose. Il problema è che Rizzoli le pubblichi. Se il libro fosse stato pubblicato da un altro editore, lo si sarebbe passato sotto silenzio, come merita. Ma Rizzoli è uno dei maggiori editori italiani, e il libro è in tutte le librerie. L’autrice è presentata nella quarta di copertina come autorevole “antropologa e saggista”, i cui libri sono tradotti in numerosi paesi. Le atrocità omofobiche di questo libro si presentano al lettore meno avvertito sostenute da una duplice garanzia: da una parte quella della scienza (l’autrice è un’antropologa), dall’altra quella dell’editoria. La domanda dunque è: perché Rizzoli pubblica un libro pieno di gravissime affermazioni omofobiche?
Articolo pubblicato su Gli Stati Generali.