Qualche sera fa osservano, in pizzeria, un gruppo di cinque bambini che occupavano il margine di una tavolata. Ognuno di loro aveva lo smartphone, sul quale stava giocando, ma non isolato dagli altri; si mostravano lo smartphone l’un l’altro, commentando. A un certo punto la bambina più grande del gruppo ha invitato gli altri a mettersi in posa. Ha scattato una foto, poi non soddisfatta del risultato ne ha fatta un’altra, e un’altra ancora. Quando il risultato l’ha convinta, ha mostrato la foto agli altri. Quindi l’ha mandata in rete – su WhatsApp, immagino – e ha atteso i commenti. I bambini sembravano divertirsi molto.
L’errore che facciamo è quello di considerare uno smartphone come un semplice strumento, mentre
esso è diventato da tempo, ormai, qualcosa di diverso: un senso. Il nostro sesto senso. Occhi, orecchie, naso, olfatto, tatto e smartphone. Non sembri una battuta: non lo è. Lo smartphone diventerà sempre più parte integrante del nostro corpo – sta succedendo già con gli smartwatch – perché ci dà accesso ad una seconda realtà, cui apparteniamo non meno che a quella cui gli altri sensi ci danno accesso. Per moltissime persone, ormai, la vita si svolge a questi due livelli. Andiamo in un ristorante, mangiamo, poi lo recensiamo su Tripadvisor. O meglio: scegliamo un ristorante leggendo le recensioni su Tripadvisor, ci andiamo, mangiamo, ci facciamo qualche foto da mettere su Facebook ed Instagram o da mandare agli amici su WhatsApp, poi facciamo la recensione su Tripadvisor. Lo smartphone ci dà accesso a questo secondo livello della nostra esperienza, che nelle nostre vite di adulti si è presentato ad un certo punto, ma che per i bambini c’è da sempre. Per loro vivere vuol dire stare tra queste due realtà, che nella loro esperienza sono pienamente integrate. Faccio questa analisi senza esprimere alcun giudizio. Credo che la sospensione del giudizio sia un esercizio sempre utile, e doveroso quando c’è il rischio di moralismo. E tuttavia non posso non riflettere su quel dubbio insinuato da Staccioli. I nostri bambini giocano, o sono giocati? La loro esclusione dalle strade e dalle piazze è un fatto che dobbiamo accettare come inevitabile, o qualcosa da rimettere al centro della nostra riflessione pubblica?
Può essere che un bambino trovi, nella realtà digitale cui accede attraverso lo smartphone, le stesse possibilità di una esperienza ricca, divertente, avventurosa che un bambino degli anni Ottanta trovava giocando nelle strade, nei cantieri dei palazzi in costruzione, negli orti. Ma noi adulti abbiamo il dovere di offrire loro una alternativa. Di dar loro la possibilità, anche, di arrampicarsi sugli alberi, di correre in bicicletta, di sbucciarsi le ginocchia correndo nei prati. Di metter loro davanti un giocattolo fatto di legno o di latta o di materiali riciclati, come alternativa alle app; o meglio: di insegnare loro come si costruisce un giocattolo. Può essere che preferiscano comunque lo smartphone, ma può essere anche che (ri)scoprano la ricchezza, la bellezza e il divertimento del mondo cui si accede con i cari vecchi cinque sensi.