Lunedì scorso ho avuto il piacere di presentare alla Mondadori di Siena il libro di Murray Bookchin La prossima rivoluzione (BFS), alla presenza della figlia del filosofo, Debbie, e di Francesco Marilungo, operatore umanitario nel Rojava. Mentirei se dicessi che c’era il pubblico delle grandi occasioni – e del resto Siena non è Livorno, né Massa Carrara – ma il pubblico che c’era era attento, interessato e desideroso di discutere.
Ho incontrato Bookchin da qualche anno, alla ricerca (cominciata per me con Aldo Capitini) di una teoria e di una prassi democratica che vadano al di là dei rituali stanchi e ormai vuoti della democrazia rappresentativa, con lo spettacolo osceno di una classe politica più adatta al cabaret che al governo di una nazione e la paurosa deriva qualunquistica di un popolo sempre più volgare ed abbrutito. Capitini cercò fin dall’inizio – all’indomani del crollo del fascismo – una alternativa, che consisteva per lui nella omnicrazia, il potere di tutti esercitato attraverso quella assemblee popolari che chiamava Centri di Orientamento Sociale. Ed è questa la via di Bookchin, il municipalismo libertario, una proposta di organizzazione politica che fa del comune il luogo in cui è possibile una reale partecipazione politica. Il fine ultimo è la realizzazione di federazioni di comuni autenticamente democratici come alternativa allo Stato-Nazione, la prassi immediata è la costituzione nei comuni di forme di controllo del potere, che è già un passo deciso verso una democrazia autentica. Debbie Bookchin ha insistito, nel suo intervento, sulla necessità di sperimentare il municipalismo libertario anche in occidente, e non solo nel Rojava curdo, che come è noto ha una organizzazione politica che realizza la proposta di Bookchin, attraverso la mediazione di Abdullah Öcalan. Una esperienza è quella di Spezzano Albanese, piccolo comune della provincia di Cosenza nel quale fin dal 1992 si è costituita una Federazione Municipale di Base che si rifà apertamente al pensiero di Bookchin.
Tra gli aspetti più importanti, per me, del pensiero di Bookchin c’è l’analisi del dominio, avanzata storicamente soprattutto ne L’ecologia della libertà (elèuthera), e che per me si inserisce, forse più e meglio che nella tradizione anarchica, in quella nonviolenta, a partire dal Tolstoj del Regno di Dio è dentro di voi e fino a Dolci, con la sua contrapposizione concettuale di potere e dominio. La tesi di Bookchin è che il dominio dell’uomo sulla natura, che è giunto oggi a mettere in pericolo l’esistenza stessa della natura, e dunque dell’umanità, ha origine dal dominio dell’uomo sull’uomo. Le due cose vanno insieme: dalla società primitiva è emersa gradualmente una società internamente ed esternamente violenta, organizzata gerarchicamente, e la gerarchia è, da allora, profondamente incisa nella nostra psiche: pensiamo in modo piramidale, e di conseguenza costruiamo, ovunque, strutture piramidali, con una distribuzione dall’alto in basso del denaro, del potere, del prestigio. E continuiamo a farlo dopo la Rivoluzione francese, con i suoi ideali di uguaglianza e di fraternità. Passare dalla piramide al cerchio è la più grande sfida culturale del nostro tempo, e non è esagerato dire che si tratta di una sfida dalla quale dipende la sopravvivenza stessa della specie, se è vero quel che dice Bookchin: che smetteremo di distruggere l’ambiente solo quando avremo una società basata sulla democrazia effettiva, sulla condivisione, sulla collaborazione invece che sulla competizione e lo sfruttamento.