La Folgore e lo spirito di corpo

Nell’estate del 2014  qualcuno ebbe l’infelice idea di postare su YouTube un video girato nella caserma “Bandini” di Siena, nel quale i parà della Folgore cantavano un certo inno che fa, tra l’altro, “Bombe a mano e carezze col pugnal”, esibendosi anche nel saluto romano. Libero riportava così la notizia:

Si sono ritrovati fuori dall’orario di servizio all’interno del piazzale della caserma “Bandini” di Siena, e si sono messi a cantare l’inno fascista “Se non ci conoscete“ con tanto di saluto romano facendosi riprendere da un telefonino. Ovviamente il video è finito su YouTube e poi è stato condiviso centinaia di volte sui social network provocando una marea di polemiche. Tanto che la bravata dei trenta Parà della Folgore è diventata un caso. Un caso sul quale lo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano ha aperto un’inchiesta interna che arriverà poi alla Procura Militare o civile. Alcuni passi del testo cantato: “Bandiere rosse per pulirsi il culo”, “botte in quantità”, “bombe a man e carezze col pugnal” e sul finale il saluto “A noi!”. Tutti chiari riferimenti al Ventennio che non sono sfuggiti ai vertici militari che non sono disposti a passare sopra.

Ho sentito da allora, a Siena, attentissime esegesi di quell’inno, in cui mi è capitato di imbattermi anche in contesti ben diversi da una caserma; esegesi che dicevano che no, quell’inno non ha nulla di fascista, si tratta solo di una virile esaltazione dello spirito di corpo, o qualcosa del genere. Esegesi che devono aver avuto qualche efficacia, se cinque anni dopo, il 21 marzo 2019, il sindaco De Mossi ha ritenuto opportuno, anzi doveroso concedere ai parà della Folgore la cittadinanza onoraria di Siena. In quella occasione l’assessore alla sicurezza dichiarò:

Siete a rappresentare un’eccellenza dell’esercito italiano; un esempio da seguire per le giovani generazioni, per i valori e i comportamenti che trasmettete. La Folgore ha al primo posto il senso del dovere, il servizio, servire l’Italia, sempre tenendo presente lo spirito di corpo, l’essere comunità.

Evidentemente quella canzoncina non era nemmeno una bravata, come scriveva Libero. Perché forse anche una semplice bravata avrebbe suggerito di evitare un passo importante come la concessione della cittadinanza onoraria.

Nell’estate del 1999 un parà della Folgore, Emanuele Scieri, venne trovato morto ai piedi di una torre nella caserma “Gamerra” di Pisa. Per la precisione: venne ritrovato dopo tre giorni dalla morte. Il caso fu immediatamente archiviato come suicidio. Ci sono voluti diciannove anni per spazzar via questa calunnia e cominciare a far luce sulla verità. E altri cinque per giungere a una sentenza. Ora la Corte d’Assise di Pisa ha condannato per omicidio volontario gli ex caporali della Folgore Alessandro Panella e Luigi Zabara. La realtà che emerge dalle indagini è spaventosa: Scieri, sostengono i giudici, fu picchiato e denudato, poi lo costrinsero a salire sulla torre, quindi lo fecero cadere schiacciandogli le mani con gli scarponi. Non morì subito. Se fosse stato soccorso ci sarebbe stata qualche possibilità di salvarlo. Ma fu lasciato lì, solo, a morire. Il suo cadavere venne poi nascosto sotto un tavolo, dove fu ritrovato tre giorni dopo. Come una bestia. Peggio di una bestia.

Le indagini hanno messo in evidenza che queste azioni gravemente criminali non erano una iniziativa personale di due militari particolarmente inclini al crimine, ma si inserivano in un insieme di pratiche tradizionali, consolidate, generalmente definite nonnismo, con un termine che pare inclinare a una certa benevola comprensione. Si tratta, dunque, di un crimine che chiama in causa un sistema.

Additando i parà ai giovani come modello da seguire, l’ex assessore senese indicava uno dopo l’altro due valori: lo spirito di corpo e l’essere comunità. Li indicava come sinonimi. Il problema è: quale corpo, quale comunità? Di quale corpo fa parte un militare? Del corpo della sua brigata o del più ampio corpo sociale? Quando lasci morire un tuo commilitone senza prestargli soccorso; quando ne abbandoni il cadavere per tre giorni; quando cerchi di ostacolare le indagini, quale organo sei di quale corpo? Agisci come individuale mela marcia, estranea a qualsiasi corpo, o come membro di un corpo la cui onorabilità occorre difendere a ogni costo? E in questo secondo caso, che ne è del corpo sociale? Che ne è di tutti gli altri valori evocati da quel tale ex-assessore? Come si serve l’Italia ammazzando una persona e abbandonandone il cadavere?

Cercando, inutilmente, qualche dichiarazione sul caso Scieri del generale di brigata Roberto Vergori mi sono imbattuto in questa sua affermazione:

La forza della Folgore, come per l’Esercito, risiede anche nello spirito di corpo, un legame fortissimo che si crea tra i membri della stessa unità e che si alimenta attingendo alla realtà della nostra storia e tradizioni d’ideali del dovere e amor di Patria. Un vero moltiplicatore del senso di appartenenza e della disponibilità al servizio, che è necessaria premessa di affidabilità.

Ancora lo spirito di corpo. Ragioniamo un attimo. Un corpo è un insieme di elementi che sono legati tra loro senza che ciò implichi alcuna consapevole scelta e alcun cosciente senso di unità. I miei polmoni e i miei reni fanno indubbiamente parte del mio corpo, ma non presto granché attenzione, quotidianamente, ai miei organi. Vivo in una città, ma non mi percepisco come membro del corpo cittadino – non più di quanto mi senta membro dell’umanità. Secondo l’affermazione di Vergori, invece, un parà si percepisce consapevolmente come membro del corpo dei parà. C’è un “legame fortissimo”, afferma. Il problema è quale legame esiste tra questo corpo e il più ampio corpo sociale. Un corpo funziona se le parti che lo compongono lavorano per esso. Quando una parte del corpo si separa dall’organismo e si costituisce a parte da esso, il corpo si ammala. Quella parte è un tumore, e il tumore può uccidere un organismo. Qualsiasi organismo militare che si concepisca come corpo a sé stante costituisce un potenziale organo eversivo e un pericolo per la democrazia. Il corpo di cui un militare deve far parte, in un sistema democratico – come richiede la stessa Costituzione, all’articolo 52 (“L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”) – è il corpo sociale. E far parte di un corpo sociale vuol dire rispondere ad esso. Non c’è onore, si dice, senza responsabilità. E essere responsabili vuol dire rendere conto. Nel caso specifico, spiegare cosa è stato fatto in questi lunghi anni – i lunghi anni durante i quali una famiglia ha atteso giustizia per l’uccisione del proprio figlio, e per troppo tempo ha disperato di averla: e non c’è offesa più grande a una democrazia – per combattere attivamente nel corpo della Folgore le pratiche, le logiche, gli pseudo-ideali che hanno condotto al feroce assassinio del parà Emanuele Scieri.

Foto di Edu Lauton su Unsplash.

Author: Antonio Vigilante

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