Una madre

Gli atomi sono tutti diversi tra loro per la forma e per l’aspetto. Lo dimostra, tra l’altro, il fatto che gli esseri viventi di una stessa specie non sono mai del tutto uguali tra loro. Questo tema introduce uno dei passi più commoventi del De Rerum Natura; uno dei pochissimi momenti in cui il mondo latino esprime una sincera compassione nei confronti del mondo animale. Per una mucca suo figlio non è un vitellino qualsiasi, e quando le viene sottratto, per sacrificarlo agli dei, la sua disperazione non è diversa da quella che potrebbe provare una madre. Si tratta anche di una ripresa, questa volta con protagonista un animale, del tema della scelleratezza cui conduce la religione, trattato in un passo ugualmente memorabile del libro I, quello del sacrificio di Ifigenia (tradotto qui).

Spesso davanti agli splendidi templi
degli dei, sugli altari profumati
d’incenso viene ucciso un vitellino:
un caldo fiume di sangue gli scende
355 dal petto. Ma la madre, desolata, 
percorre senza sosta i verdi anfratti
cerca dovunque la bifida impronta
getta lo sguardo inquieto in ogni luogo
se mai vi fosse il cucciolo amatissimo
e si ferma e muggisce tanto forte
da riempire l’intero bosco intorno 
e ritorna alla stalla, e poi ancora, 
360 straziata dall’assenza di suo figlio,
e né i teneri salici né l’erba
vivida di rugiada né il ruscello
che scorre giù, carezzando la riva,
possono darle alcun conforto o toglierle
la sofferenza che le invade l’animo;
365 né può distrarla o alleviare il dolore
la vista di altri vitelli nel campo
rigoglioso: perché quello che cerca
è proprio suo e lo conosce bene.

[Per il progetto di traduzione del De Rerum Natura e la licenza rimando al sito.]

Dove ci conduce il desiderio

Per l’epicureo Lucrezio se non ci fosse una lievissima declinazione degli atomi non sarebbe comprensibile la nostra libertà: il fatto che non siamo spinti semplicemente dal mondo, cose tra cose, ma possiamo esprimere una nostra volontà, per quam progredimur quo ducit quemque voluptas (II, 258). Siamo esseri liberi perché andiamo dove ci conduce il desiderio. E la contraddizione sembra evidente. Il desiderio non è quella forza che ci conduce contro la nostra volontà verso quella schiavitù, quella follia erotica che lo stesso Lucrezio ha descritto in modo indimenticabile nel quarto libro del De Rerum Natura

Ma Lucrezio è chiaro:

Nec Ueneris fructu caret is qui vitat amorem,
sed potius quae sunt sine poena commoda sumit.
(IV, 1073-1074)

L’amore e il sesso sono due cose diverse. Il sesso è piacere, l’amore una follia. Si può, si deve godere del sesso senza la degenerazione dell’amore. È possibile sempre godere liberamente dei piaceri della Natura. E la libertà consiste proprio in questo: nel sottrarsi ad altri piaceri, che causano invece schiavitù. Il desiderio che ci distrugge non è quello legato alla Natura, ma quello che viene dalla Società. Ed è per questo che Lucrezio è oltre Schopenhauer. Le nostre sofferenze non provengono da una Volontà naturale che ci usa per perpetuare sé stessa, ricorrendo al piacere sessuale. La sofferenza che tutti proviamo è invece il risultato dell’azione su di noi della Società, che ci spinge a ricercare costantemente piaceri non naturali né necessari, il cui conseguimento non dà alcuna soddisfazione reale, e che ci riduce in quella condizione infelice, anzi tragica che il poeta latino tratteggia all’inizio del secondo libro. In questo senso il desiderio e il piacere hanno un carattere di liberazione: riaffermando la Natura contro la Cultura, il corpo contro la società.