Attraversamenti si trasferisce all’indirizzo https://antoniovigilante.pages.dev/
Questo blog non sarà più aggiornato.
Blog di Antonio Vigilante
Attraversamenti si trasferisce all’indirizzo https://antoniovigilante.pages.dev/
Questo blog non sarà più aggiornato.

Tre studenti si sono rifiutati di sostenere l’orale degli Esami di Stato. Tre studenti su 524.415: una proporzione che dovrebbe scoraggiare chiunque volesse farne un caso. E invece è uno dei temi caldi dell’estate. Ed è naturalmente un bene che sia così: di scuola, e di esami di Stato, è urgente parlare. O meglio: sarebbe urgente parlarne in modo attento, critico, anche con qualche coraggio. Parlarne in modo leggere e irresponsabile – ed è quello che accade, ancora una volta – non fa che aggravare la malattia di una istituzione che ha sempre più i tratti di un malato grave che si rifiuta di accettare la diagnosi e di avviare le terapie.
Sono pochi gli interventi che in questi giorni abbiano preso in considerazione davvero le motivazioni di quegli studenti. Pochi, cioè, hanno visto in quella scelta l’occasione, rara, di far partecipare anche gli studenti a un discorso pubblico sulla scuola che passa costantemente sopra di loro. Di scuola parlano tutti, per lo più ostentando un certo disprezzo della pedagogia e delle scienze dell’educazione; manca la voce di chi è ogni giorno per cinque ore seduto dietro a un banco. Le reazioni degli adulti sembrano dire una cosa chiara: gli studenti non devono parlare. Stiano zitti e buoni. Lascino fare ai grandi.
C’è chi dice che si tratta di studenti furbi, che si sono fatti per bene i loro conti e hanno capito che era meno faticoso portare a casa il risultato senza sottoporsi a una prova faticosa. Qualche altro assicura che sono studenti con alle spalle famiglie facoltose, che possono permettersi quindi di uscire dalla scuola superiore con un voto basso, tanto poi ci pensano i genitori a sistemarli. Altri ancora sono certi che hanno agito per seguire una moda: e sfugge davvero come si possa parlare di moda per una scelta che riguarda meno di cinque studenti su più di cinquecentomila. Sono reazioni che rientrano in quella fallacia logica che si chiama argumentum ad hominem: non si prende in considerazione l’argomento dell’altro, ma lo si squalifica. Continue reading “La scuola e la visione aziendale della vita”
Il fatto che stia facendo venir fuori l’autoritarismo di tanti colleghi dimostra che il gesto di quello studente che ha rifiutato di sostenere l’orale degli esami di Stato era necessario. C’è chi propone a Valditara di intervenire urgentemente non per riformare un esame che è evidentemente una farsa e una mancanza di rispetto verso gli studenti, ma per impedire che chi si rifiuta di sostenere l’orale sia promosso agli esami di Stato. Sospetto che verrà fuori anche la proposta di denunciarlo per vilipendio della Sacra Istituzione.
L’orale degli esami di Stato è la più grande porcata di una istituzione che di porcate ne fa tante. Un insulto all’intelligenza, alla cultura, al buon senso. La cosa che preoccupa non è che qualcuno stia cominciando a ribellarsi. Preoccupa che non siani tutti a ribellarsi.
Ora che Ermes è grande – ha compiuto tre anni a dicembre! – è necessario che gli parli di Dito.
Alcuni, gli dirò, credono in Dito; altri no.
Alcuni credono che Dito sia un Pollice. Dito creò il mondo, bereshit, e alla fine ne fu contento assai, ki tov, e fece un grande OK metafisico. Quelli che credono in Dito Pollice sono convinti che esse et bonum convertuntur – questa però gliela spiego quando cresce.
Altri ritengono che Dito sia Indice. Per loro Dito è uno che dice a tutti come devono vivere, un Cacacazzi di dimensioni inimmaginabili; e si arrabbia molto se non fai quello che dice, e ti manda all’Inferno, al manicomio, a scuola – in un sacco di postacci. Si fa rappresentare sulla terra da un esercito di cacacazzi come lui, onorati e riveriti.
Altri ancora credono in Dito Medio. Per loro esse ac bonum non conventuntur – anche questa gliela spiego da grande -, e anzi il bene è ribellione all’essere, e Dito Medio non è l’Origine, ma l’Antiorigine. Dito Medio è l’anti-Dito Indice, il Dito incazzato che leholam si ribella al Dito ordinatore di kol tahat-ha-shemes.
Gli spiegherò anche che papà è ateo, ma qualche volta invoca Dito Medio.
Molti anni fa frequentavo un filosofo e scrittore la cui cultura era considerata quasi leggendaria. Ed era vasta, in effetti, ma con dei limiti ben precisi: le sue conoscenze riguardavano il campo storico, filosofico e letterario nell’area italiana e francese (non conosceva l’inglese), ma senza un reale aggiornamento sugli sviluppi più recenti; profonde erano invece le lacune nel campo scientifico. Come poteva apparire straordinariamente colta una persona con simili limiti? In primo luogo, essendo una persona di potere aveva la possibilità di stabilire, per così dire, l’agenda della discussione, facendo in modo che si muovesse sempre nel suo campo. Quando qualcuno portava la discussione in un campo per lui insicuro, interveniva con decisione, quando non con fastidio. La seconda ragione è che ha avuto la fortuna di vivere in un Paese in cui alcune cose, come la filosofia o la letteratura o il latino, sono unanimemente considerate cultura, mentre ci si può quasi vantare della propria ignoranza nel campo matematico o scientifico.
Sull’ignoranza (e sull’errore) Gianrico Carofiglio ha pubblicato un libretto – Elogio dell’ignoranza e dell’errore, Einaudi, 2024 – che dice un po’ di cose sensate, e le dice con quella chiarezza che spesso manca agli accademici. Le dice anche però, e purtroppo, senza quella precisione che è doverosa in campo accademico – un campo di cui prenderò, una volta tanto, le parti. E non sono sicuro di riuscire ad aggiungere all’elogio dell’ignoranza e dell’errore anche quello dell’imprecisione. Continue reading “Carofiglio, Confucio e l’ignoranza”
Uno degli errori più gravi che facciamo, in campo educativo, è quello di pensare l’educazione secondo il modello verticale: l’adulto educa il bambino e poi l’adolescente. Funziona così solo in parte. I bambini imparano dagli adulti, ma imparano anche dagli altri bambini. E man mano che crescono, il loro riferimento diventa sempre più il cosiddetto gruppo dei pari. Dalla pradolescenza in poi, in campi cruciali – abbigliamento, identità, stile di vita, modo di vivere gli affetti e la sessualità – gli adulti diventano poco significativi, mentre decisivo è il rapporto con i pari. Lo sa bene – se ne accorge dolorosamente – chiunque abbia un figlio di quella età. Per questo pensare di educare gli adolescenti all’affettività è una pia intenzione, se consideriamo l’educazione come un adulto che parla a un adolescente.
Quello che possiamo e dobbiamo fare, nelle nostre scuole, è aprire spazi per l’autoanalisi, momenti in cui la circolazione apparentemente irresistibile di stili di comportamento e modelli di vita trovi l’attrito di una domanda e di un reciproco interrogarsi. È l’unica forma di educazione affettiva che riesco a immaginare: ragazzi che, con la presenza di un adulto che si limita e interrogare e a far circolare la parola, discutono di come stanno vivendo la loro vita. Senza prediche e senza moralismi.
E a dire il vero servirebbe anche agli adulti.
Apri un sito e guadagna con Altervista - Disclaimer - Segnala abuso - Privacy Policy - Personalizza tracciamento pubblicitario