Condannarsi a essere senza storia

Pur essendo preparati al peggio, non si può fare a meno di deprimersi leggendo, nei Materiali per il dibattito pubblico sulle Nuove Indicazioni per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione che il governo ha diffuso, l’affermazione che “Solo l‘Occidente conosce la Storia” con la quale si apre la sezione dedicata, appunto, all’insegnamento della storia. Sia chiaro: da questo governo non ci si aspettava nulla di meglio, ma è davvero triste dover constatare che nel terzo decennio del secondo millennio si sia ancora a questo punto.

Non c’è una sola riga delle pagine dedicate alla questione che non appaia viziata da superficialità e pigrizia intellettuale, due cose che la scuola dovrebbe combattere più di qualsiasi altra. Naturalmente non negano, gli esperti guidati da Galli della Loggia, che anche qualche altro popolo abbia raccontato gli eventi mettendoli in successione, ma solo l’Occidente, assicurano, ha creato la Storia con la maiuscola, riuscendo a pensare i fatti “nella loro origine, nei loro nessi, nelle loro conseguenze”. Che è come dire che solo l’Occidente possiede la ragione, se ragione è cogliere i nessi di causa ed effetto.

Raccontiamo agli esperti una storia.

La scuola dell’incompetenza

Educazione fisica. Scuola elementare di Avellino. Senza data. Indire, Archivio fotografico per la storia della scuola e dell’educazione, collocazione 2-048-021.

C’è un meccanismo collaudato – per quanto possa essere collaudata una macchina sgangherata – che riguarda il discorso di destra sulla scuola. Data la premessa che la scuola in un dato momento è stata distrutta – mentre era buona la scuola di un tempo – si individua l’origine del degrado attuale in qualche idea o pratica pedagogica progressista che in realtà ha inciso poco o nulla sulla struttura di una istituzione che procede decennio dopo decennio, incrollabile come uno schiacciasassi, dietro l’insegna del “Si è sempre fatto così”.

Ne è vittima per lo più don Lorenzo Milani: perché è evidente che la scuola italiana è stata trasformata in una immensa Barbiana. Più di recente Loredana Perla, che il governo Meloni ha messo a coordinare la Commissione di studio che riscriverà le Indicazioni Nazionali (e c’è il sopetto che a lavoro finito non si chiameranno più Indicazioni), se la prende con Tullio De Mauro e le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, che quest’anno compiono cinquant’anni e che in cinquant’anni sono state, purtroppo, ben poco applicate nella scuola italiana.

Scuola, educazione e fatica

Un amico mi ha scritto una lunga mail critica a proposito della mia recensione del libro di Philippe Meirieu. Gli ho risposto con una mail ugualmente lunga che mi appunto qui.

1a. Nelle tue osservazioni mi pare che manchi una distinzione tra istruzione e educazione. Una questione che pongo spesso nei seminari maieutici è se la scuola debba istruire o anche educare. La difficoltà, nel rispondere, è che non si sa bene cosa sia educazione. Una collega disse che sarebbe stata a disagio a lavorare in un Ministero dell’Educazione Pubblica. In questo caso la parola educazione evoca l’imposizione di valori propria di uno Stato etico, cioè cattofascista. Nell’ottica della pedagogia critica, invece, educazione è l’esatto contrario: è l’analisi appunto critica dei valori correnti, evidentemente tutt’altro che innocenti.

Perché sarebbe cosa buona introdurre l’agricoltura a scuola

Perché sarebbe cosa buona introdurre l’agricoltura a scuola

Sarebbe interessante e utile – forse deprimente, però – raccontare l’identità e la storia della scuola italiana attraverso quei documenti particolari che sono le note in condotta. Ne ricordo una in particolare, perché ne seguì un’accesa discussione con il preside. Avevo un’ora di supplenza in una classe non mia. E sul registro, allora cartaceo, un collega avvisava gli studenti che “se non vogliono studiare, possono andare a lavorare la terra”. Si trattava di una variante della nota surreale, e tuttavia non infrequente: “La classe disturba la lezione”. Ma si era in un paesino agricolo dell’alto Tavoliere e il lavoro della terra dava da mangiare a quasi tutte le famiglie di quegli studenti. Con quella nota il collega poneva un contrasto tra scuola e famiglia, tra scuola e comunità, tra scuola e contesto sociale ed economico di cui provai a spiegare al preside la gravità, senza troppo successo.

Vorrei provare ora a spiegare, senza speranza di un successo migliore, perché ritengo che sarebbe cosa buona e giusta, oltre che urgente, introdurre lo studio e la pratica dell’agricoltura nella scuola dell’obbligo.

Abbiamo davvero bisogno dei professori?

Abbiamo davvero bisogno dei professori?

Chi vuole ancora gli insegnanti?, chiede Philippe Meirieu, uno dei più influenti pedagogisti francesi, fin dal titolo di un libello tradotto da Enrico Bottero (Armando, Roma 2024, pp. 58). Il titolo francese è Qui veut encore des professeurs? Il traduttore spiega che professeurs indica in Meirieu la figura forte di una “persona convinta che fare scuola sia un atto simbolico e politico”, mentre gli einsegnants ne sono la versione depotenziata, “ridotta a compiti meramente esecutivi” (p. 13).

Il mercato delle abilitazioni all’insegnamento

La legge 29 giugno 2022, n. 79, seguita dal decreto attuativo (DPCM 4 agosto 2023), ha ridisegnato il percorso per diventare docenti.  Per conseguire l’abilitazione all’insegnamento, che permetterà poi di partecipare al concorso, è necessario seguire un percorso abilitante di almeno 60 CFU (il CFU, Credito Formativo Universitario, indica un carico di lavoro per lo studente quantificabile in termini di ore), comprendente insegnamenti disciplinari e pedagogico-didattici, un tirocinio diretto nelle scuole e un tirocinio indiretto sotto la guida di un tutor coordinatore universitario.