L’educazione affettiva

Uno degli errori più gravi che facciamo, in campo educativo, è quello di pensare l’educazione secondo il modello verticale: l’adulto educa il bambino e poi l’adolescente. Funziona così solo in parte. I bambini imparano dagli adulti, ma imparano anche dagli altri bambini. E man mano che crescono, il loro riferimento diventa sempre più il cosiddetto gruppo dei pari. Dalla pradolescenza in poi, in campi cruciali – abbigliamento, identità, stile di vita, modo di vivere gli affetti e la sessualità – gli adulti diventano poco significativi, mentre decisivo è il rapporto con i pari. Lo sa bene – se ne accorge dolorosamente – chiunque abbia un figlio di quella età. Per questo pensare di educare gli adolescenti all’affettività è una pia intenzione, se consideriamo l’educazione come un adulto che parla a un adolescente.

Quello che possiamo e dobbiamo fare, nelle nostre scuole, è aprire spazi per l’autoanalisi, momenti in cui la circolazione apparentemente irresistibile di stili di comportamento e modelli di vita trovi l’attrito di una domanda e di un reciproco interrogarsi. È l’unica forma di educazione affettiva che riesco a immaginare: ragazzi che, con la presenza di un adulto che si limita e interrogare e a far circolare la parola, discutono di come stanno vivendo la loro vita. Senza prediche e senza moralismi.

E a dire il vero servirebbe anche agli adulti.

Author: Antonio Vigilante

antoniovigilante@autistici.org

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