Renato Accorinti |
L’elezione di Renato Accorinti a sindaco di Messina è una delle notizie più confortanti degli ultimi anni. Esiste in Italia una tradizione politica nobilissima, per quanto sotterranea. E’ la tradizione di Aldo Capitini, di Danilo Dolci, di Lanza del Vasto, di Ernesto Balducci, di Tonino Bello, di Alex Langer, di migliaia di uomini e donne che hanno lottato per la pace, per la giustizia, per un rinnovamento sociale che parte dalla considerazione dell’ultimo, dell’escluso, di colui che è schiacciato o espulso dal sistema. Nella mia analisi, si tratta di una tradizione che interpreta il terzo principio del motto della rivoluzione francese: quello della fraternità. Abbiamo avuto nel Novecento una tradizione politica centrata sul valore della libertà (quella liberale) ed una tradizione politica fondata sulla giustizia (quella comunista). La nonviolenza rappresenta la terza via: la via di una politica della fraternità. E’ evidente che si tratta di una politica diversa. La giustizia e la libertà sono valori che possono concretizzarsi giuridicamente, incarnarsi in leggi e provvedimenti governativi. Nel caso della fraternità, questo è possibile solo parzialmente. Certo, leggi in favore della solidarietà e dell’inclusione degli svantaggiati vanno nella direzione di una società fraterna; ma per realizzare realmente un ideale simile non è sufficiente la politica dall’alto. Occorre un mutamento, una trasformazione della vita individuale. Occorre uscire dall’individualismo e dall’atomismo giuridico per acquistare il senso della necessità dell’altro, l’urgenza della sua presenza accanto. Occorre un cambiamento morale e spirituale. E’ per questo che quella della nonviolenza è una via così difficile. Perché opera, per dirla con Langer, più lentamente, più profondamente, più dolcemente (lentius, profundius, suavius).
Chi volesse saperne di più su questo figuro può leggere la pagina Wikipedia a lui dedicata. Dalla quale può apprendere anche gli squallidi retroscena del suo voto di fiducia al governo Berlusconi nel dicembre 2010:
« […] Andavamo e dicevamo “Presidente, siamo noi due, quanto ci molla? […] Qui, ce ne date un milione?” E io e lui, con un milione ci facevamo una campagna elettorale, facevamo un partito nuovo. […] Perché per noi due il governo s’è salvato. Che 314 a 311. Se io e Scilipoti andavamo di là per un voto cadeva, cadeva Berlusconi. […] Io avevo già deciso da un mese prima [di votare la fiducia, ndr]. […] Io non avevo la pensione ancora. Dieci giorni mi mancavano. E per dieci giorni mi inculavano. Perché se si votava dal 28 come era in programma, il 28 di marzo, io per dieci giorni non pigliavo la pensione. […] »
Cerchiamo ora la pagina Wikipedia dedicata a Renato Accorinti. Fortunatamente c’è, ed è anche approfondita. Ma è una pagina che ha avuto un percorso travagliato, come è possibile constatare leggendo la Discussione che la accompagna. “Che cosa ha fatto di cosi eclatante o di carattere enciclopedico Renato Accorinti per finire su wikipedia?”, si chiede qualcuno. Già, che cosa ha fatto Accorinti? Ha lottato contro l’installazione della base militare a Comiso, si è impegnato contro la mafia, per i diritti civili, per l’ambiente ed i beni culturali. Nulla di eclatante.
Molte cose eclatanti ha fatto, invece, il senatore Razzi. Cose per le quali merita una pagina Wikipedia, senza che nessuno osi fare obiezioni. Perché lui appartiene al potere, o meglio al dominio. E’ della casta, come si dice. E anche il più spregevole appartenente alla casta merita il suo riconoscimento, la sua pagina enciclopedica, la sua visibilità. Mentre anche il più nobile rappresentante dell’altra politica, quella che nasce dalla società civile, merita l’oblio, quando non lo scherno.
Gli italiani non fanno che lamentarsi della casta, ma non si accorgono che essa è incardinata profondamente nei loro schemi mentali. Un istinto più forte di loro li porta a genuflettersi di fronte ai segni del dominio, ad ammirare l’auto blu, a provare soggezione di fronte alla scorta ed ai bodyguard. E, specularmente, a considerare insignificante chiunque, pur ben diversamente dedito al bene comune, non acceda alla sfera del dominio e non mostri anche esteriormente il suo status.