Rovistando tra le bancarelle d’un mercatino mi è capitato, di recente, di ritrovare uno dei non molti libri letti al tempo delle scuole medie: Le scapole dell’angelo di Giovanna Righini Ricci (1973). Ricordo che il libro, che era una lettura scolastica, inaspettatamente mi piacque, al punto che della stessa autrice lessi anche, vincendo la mia assoluta antipatia per la lettura, Là dove soffia il mistral, un romanzo ambientato nella Camargue, che mi piacque ancor di più. L’ho preso dunque, il libro; e l’ho riletto. A metà della vita queste riletture servono a ricostruire il puzzle della propria identità, a capire perché – per quali influenze – siamo diventati quello che, nel bene o nel male, siamo. In qualche caso, anche, a capire nonostante chi e nonostante cosa siamo diventati quello che, nel bene e nel male, siamo.
L’angelo della buona borghesia
Il romanzo di Righini Ricci è la storia di un gruppo di ragazzini in età da scuola media in una metropoli del nord. Vero protagonista è Lorenzo, un immigrato meridionale – ed all’immigrazione rimanda l’immagine di copertina, la foto di una donna con un bambino alla stazione, ingombra di valigie: lo stereotipo del meridionale con la valigia di cartone. E’ un bravo ragazzo, questo Lorenzo, ma parecchio disadattato, con una inopportuna nostalgia per il paesello natale da cui si libererà solo dopo aver scoperto, durante una breve vacanza, che anch’esso ha subito le trasformazioni imposte dalla modernità
Il messaggio del libro è naturalmente positivo, progressivo, rassicurante. Questi ragazzetti, che parlano come un libro stampato (anche Lorenzo e la sua famiglia proletaria), sono bravi giovani, alle prese con l’incomprensione dei genitori, le difficoltà di costruirsi una personalità, la città anonima e tutti gli altri problemi attuali degli anni Settanta (e Ottanta). Prendiamo Lorenzo. Si imbatte, un giorno, in una banda di teppisti che lo malmenano e gli strappano il giacca; ma il giorno dopo fa un incontro più piacevole: una ragazzetta più piccola di lui che a scuola lo vede così conciato e, come nulla fosse, tira fuori dalla borsa ago e filo e si mette a rammendargli la giacca. Questa ragazzina, che si chiama Rossella, è uno dei personaggi positivi del romanzo. E’ ancora una bambina, ma è già molto religiosa, e riesce a trascinare il riluttante Lorenzo ad un incontro spirituale, momento importante della sua maturazione personale.
Quando la piena del fiume travolge la case dei poveri, questi ragazzetti costituiscono una squadra di volontari e si adoperano per liberare dal fango la tipografia del quartiere, mentre le proteste della gente ottengono la costruzione di uno scolmatore che impedirà nuovi allagamenti. La fabbrica in cui lavorano i genitori di Lorenzo chiude i battenti, ma anche qui si tratta di una crisi solo momentanea: grazie all’intervento dei politici, e probabilmente all’interessamento del ricco e potente padre di uno dei ragazzetti, la fabbrica viene rilevata da un’altra azienda, e tutti i posti di lavoro sono salvi.
L’apoteosi si ha nel finale. Il nostro Lorenzo è travagliato dal dubbio di non aver collaborato con le forze dell’ordine nella soluzione di un caso che riguarda il fidanzato della sorella. Per sgravarsi la coscienza, va dal commissario e vuota il sacco. E trova un uomo buono e paterno, che gli fa la lezione di vita: “Devi imparare ad avere un po’ più fiducia in te stesso, in noi, nel tuo prossimo, nella bontà della legge, nella vita insomma!”. Parole sante: Lorenzo esce dal commissariato che è un altro: positivo, fiducioso, con voglia di fare. Certo, spiega l’autrice in nota, quando Lorenzo sarà più maturo capirà che “le istituzioni umane hanno anche delle carenze”, ma per il momento è importante “uscire dalle nebbie del dubbio, trovare il proprio posto nel mondo” (corsivo dell’autrice).
Il nostro Lorenzo lo trova, alla fine, il suo posto nel mondo. Vince il dubbio e guarda con fiducia al futuro: “Fra un mese ci sono gli esami. Se tutto va bene, forse potrò iscrivermi a un Istituto Professionale. L’insegnante di italiano mi ha comunicato che posso concorrere per una borsa di studio e non è detto che non ce la faccia: in fondo l’italiano è il mio forte”.
Tra le cose che colpiscono di più, in questo libro, è la rappresentazione della vita scolastica. Nella classe di Lorenzo nessun professore fa lezione; tutti coordinano civilissimi dibattiti su tematiche di attualità. Bello, ma falso. E’ la scuola come dovrebbe essere, ma non come è stata ed è. Cosa è stata ed è la scuola italiana ce lo dice invece la conclusione. Benché sia forte in italiano, il nostro Lorenzo non potrà aspirare al liceo, ma solo – e forse – ad un istituto professionale. Lui, immigrato meridionale e figlio di operai, è un proletario, ed il liceo è per la buona borghesia. Il posto nel mondo degli uni e degli altri è diverso. Dev’essere grazie alla lettura di questo libro se non mi sono meravigliato molto quando, alla fine degli esami delle medie, benché come il nostro Lorenzo fossi abbastanza forte in italiano, lessi sul diploma la raccomandazione di frequentare l’istituto professionale.