Genuflessioni

Il Cortile dei Gentili è una iniziativa voluta da Benedetto XVI per favorire l’incontro ed il dialogo tra credenti ed atei ed organizzata annualmente da monsignor Gianfranco Ravasi. Gran cosa, si direbbe, ché il dialogo tra credenti ed atei è ciò che più manca alla nostra vita pubblica. Ma il dialogo, per essere autentico, esige schiettezza, durezza anche; è tale solo se le differenze non vengono nascoste per trovare un’armonia fittizia, un falso consenso. E’ una cosa rischiosa, che può fallire in ogni momento: se è autentico. Diverso è un garbato scambio di gentilezze e di riconoscimento, che non tocca nessuno dei temi reali. Tale è il Cortile dei Gentili.
A dialogare all’ultima edizione dell’iniziativa sono stati, ad Assisi, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e monsignor Ravasi (il dialogo è pubblicato dal Corriere della Sera con il titolo Il Dio ignoto). Uno scambio intellettualmente e teologicamente modesto. Come da copione, Napolitano richiama le figure di alcuni grandi politici ed intellettuali laici (Leopoldo Elia, Togliatti, Concetto Marchesi, l’immancabile Bobbio) per mostrare che non erano chiusi al mistero ed al sacro. Poi cita Thomas Mann che parla del suo incontro con Pio XII:

Il non credente ed erede della cultura protestante piegò senza alcuna difficoltà interiore il ginocchio davanti a Pio XII e baciò l’anello del Pescatore, poiché non era a un uomo e politico che io mi genuflettevo, bensì a un idolo candido, il quale, circondato dal più austero cerimoniale sacro e aulico, impersonava con mitezza un poco sofferente due millenni di storia occidentale.

Ecco a cosa si riduce, in sostanza, il dialogo: una cultura che si genuflette ad un’altra, un presidente della Repubblica che, evocando uno scrittore, piega idealmente le ginocchia di fronte al papa, che impersona duemila anni di storia occidentale (e poco importa che siano duemila anni di violenze).
Quanto a Ravasi, parla di morale. Deplora la decadenza morale attuale, il fatto che abbiamo contratto la malattia dell’amoralità, “la totale indifferenza verso tutti e verso tutto, condita da dosi industriali di superficialità e banalità” e chiude ricordando il protagonista de L’impostura di Bernanos, un prete diventato ateo ed in cui non c’è più solo assenza di valori, ma “soltanto il vuoto, il nulla”. E’ appena il caso di notare che non è possibile alcun dialogo con qualcuno che si crede incarni il nulla. L’ateo compiuto, sicuro di sé, è una brutta faccenda, uno da cui bisogna stare alla larga. Torna utile, e comodo, l’ateo perplesso, quello che ha qualche dubbio o qualche apertura nostalgica. Meglio se è famoso ed è in punto di morte: gli si potrà sempre strappare qualche conversione in extremis, o qualche affermazione da manipolare ad arte.
Ma torniamo alla morale. Uno spiraglio sulla concezione della morale di Ravasi ce lo offre una osservazione che fa di sfruggita, citando Oscar Wilde:

A questo proposito cito spesso una frase di Oscar Wilde, scrittore inglese nato a Dublino, dal profilo morale un po’ discutibile…

Perché il profilo morale di Wilde è discutibile? Ha ucciso? Ha rubato? Ha fatto del male a qualcuno? Nulla di tutto questo. Era semplicemente omosessuale, “colpa” che ha espiato con il carcere ed i lavori forzati. Eccola qui la morale di Ravasi e della Chiesa cattolica. Uno sterile moralismo ossessionato dal sesso e spaventato dalla diversità,  con il quale chiunque sia autenticamente laico – non un laico da cerimonia e da genuflessione rituale – ha enormi difficoltà a dialogare.