Scrive Tommaso da Celano nella Vita prima che Francesco d’Assisi raccoglieva ogni scritto che trovava, anche se di argomento profano, “riponendolo in luogo sacro o almeno decoroso, nel timore che vi si trovasse il nome del Signore, o qualcosa che lo riguardasse”. Ed a chi gli chiedeva come mai conservasse con tale religioso rispetto anche i libri dei pagani,rispose: “Figlio mio, perché tutte le lettere possono comporre quel nome santissimo; d’altronde, ogni bene che si trova negli uomini, pagani o no, va riferito a Dio, fonte di qualsiasi bene” (Tommaso da Celano, Vita Prima, XXIX, 462-463, in Fonti Francescane, Edizioni Messaggero – Movimento francescano, Padova-Assisi 1983, p. 475).
Non è forse esagerato affermare che in quest’abitudine del frate di Assisi
si trova uno dei suoi più alti insegnamenti; un insegnamento che ci è necessario quanto il pane e l’acqua.
Si ricorda, come uno degli episodi più luminosi della vita di Francesco, la sua missione tra i saraceni nel pieno di un conflitto di cui ben si conoscono le asprezze e le crudeltà. In realtà non fu una missione di pace. Francesco non andò dal sultano per parlare con lui: andò a predicare. A portarlo nel campo avverso non fu l’intento di cercare un’intesa, un dialogo con il nemico, ma la ricerca del martirio. Leggendo l’episodio nella Leggenda maggiore di Bonaventura da Bagnoregio si è colpiti piuttosto dalla saggezza e dal buon senso del sultano, che rifiuta la prova propostagli dal frate per la conversione del suo popolo – buttarsi nel fuoco -, e lo rimanda dai suoi, non senza avergli prima offerto del denaro da distribuire ai cristiani poveri.
Il Francesco che raccoglie gli scritti dei pagani ha compiuto un progresso enorme, rispetto al Francesco che aspirava al martirio. Ha compreso una cosa fondamentale: il rispetto del diverso. E’ questo, insieme al meraviglioso sentimento della natura, a fare di lui un uomo (un santo, per chi ha la fede) moderno.
L’Occidente ha mandato al rogo i libri, spaventato dalle verità che contenevano. E dal rogo dei libri si è passati al rogo delle persone.
L’Occidente ha voluto una sola Verità, un solo Libro. In quel gesto di Francesco c’e’ la crisi di ogni fanatismo. Come nel suo splendido Cantico il mondo torna a colorarsi, così in quel gesto torna ad essere possibile il dialogo, l’umano parlarsi ed ascoltarsi.
Dalla violenza contro i libri si passa sempre alla violenza contro le persone; e viceversa: dal rispetto per i libri nasce il rispetto per le persone.
Anche le lettere dei libri pagani possono comporre il nome di Dio, dice Francesco. E se ognuno di noi fosse una lettera? Se il mondo fosse un poema grandioso, composto da tante lettere quanti sono i viventi? Un tale poema non andrebbe inteso come perfettissima opera in endecasillabi e terzine, ma come un libero fluire di significati, pieno di imperfezioni formali, ma pure bello e gioioso nell’insieme.
Racconta ancora Tommaso da Celano che Francesco, quando dettava qualcosa, “non permetteva che si cancellasse alcuna lettera o sillaba, anche se superflua o errata”. E voleva dire, forse, che nessuno è realmente errato, che nessuno va cancellato. Che e’ preferibile un Tutto imperfetto, pieno di lettere fuori posto (o apparentemente fuori posto) ad una Perfezione raggiunta a costo di cancellature, soppressioni, violenze.