Ma insomma, cos’ha questo Comenio che non va?

B: Ma insomma, cos’ha questo Comenio che non va? A me sembra un grande precursore. Afferma la coeducazione di ricchi e poveri, di maschi e femmine. Nemmeno Rousseau si spingerà fino a tanto. Non è forse un bene che tutti abbiano accesso all’istruzione?
A: E’ estremamente difficile per noi non riconoscere la grandezza di Comenio appunto per il fatto che lui è un grande precursore. Siamo in una società che afferma la necessità per tutti di passare attraverso la scuola per diventare pienamente umani; siamo stati educati a pensarla così, e non riusciamo a pensare diversamente.
B: Preferiresti una società in cui soltanto ad alcuni fosse concesso l’accesso alla cultura?
A: Il problema è questo: cosa è cultura? Comenio è un critico rigoroso della scuola del suo tempo; con qualche sconcerto, leggendolo ti rendo conto che molti dei punti della sua critica sono ugualmente validi per la scuola di oggi. Vuole una scuola di cose, non di parole; una scuola di esperienze, non di libri. Questo me lo rende simpatico. Ma chi è Comenio? Un intellettuale. Uno, cioè, che rappresenta uno delle tante possibili modalità in cui può esistere un essere umano. Si può essere intellettuali, agricoltori, artigiani, giardinieri e così via. Per Comenio e grazie a Comenio, l’intellettuale diventa l’essere umano per eccellenza; la sua cultura – la cultura scritta – l’unica valida.

B: Ma puoi negare l’assunto di partenza di Comenio: che si diventa umani solo attraverso l’educazione?
A: Non lo nego. Ma distinguiamo due cose: l’acquisizione delle capacità di base della specie e il diventare un certo tipo di persona. Per acquisire cose come la capacità di parlare e la stazione eretta bastano i genitori. Per imparare a parlare non occorre nemmeno una educazione vera e propria: basta che il bambino senta parlare gli altri; impara da sé. Per imparare a parlare ed a camminare non occorre la scuola. La scuola serve per diventare un certo tipo di persona.
B: O magari per avere più possibilità. Saper leggere non è meglio che non saper leggere? Non è necessario per partecipare alla vita comune?
A: La necessità di possedere la competenza della scrittura è un risultato della diffusione della scuola, non la giustificazione della sua esistenza. Se grazie alla scuola si diffonde la scrittura, i pochi che non sanno scrivere hanno qualcosa di meno. Questo non vuol dire che, in assoluto, saper leggere sia meglio che non saper leggere.
B: Ammetti dunque che oggi è necessario imparare a scrivere, anche se poteva non esserlo al tempo di Comenio. Ammetti dunque che, almeno oggi, la scuola è necessaria?
A: Ammetto che oggi, per chi vive nella società occidentale, sia importante acquisire la competenza della lettura e della scrittura. Ma da questo non discende affatto che sia necessaria la scuola, così come la pensa Comenio e come la pratichiamo noi.
B: Cosa vuoi dire?
A: Che non è detto che per imparare a leggere e scrivere i bambini debbano essere concentrati in uno stesso luogo e sottomessi all’autorità di un solo maestro. I bambini possono imparare a leggere e scrivere dai genitori, a casa; nel caso in cui i genitori non siano in grado di farlo, possono chiedere l’aiuto di qualcuno che sappia farlo. Da ciò non discende affatto la necessità di concentrare molti bambini in uno stesso luogo.
B: Cosa c’è di male nel fatto di concentrare dei bambini in un luogo, per insegnare loro in modo più rapido ed economico?
A: Ovunque più bambini sono concentrati in un luogo, lo spirito dell’Istituzione è presente. Ovunque più bambini sono concentrati in un luogo, educazione ed istruzione sono solo parte del lavoro; ad essi si accompagna quello che Illich chiama “il programma occulto”. Concentrare dei bambini in un luogo sotto la guida di un’autorità socialmente riconosciuta vuol dire insegnare loro, oltre la lettura e la scrittura, una serie di cose: che devono obbedire; che unica cultura valida è quella che l’autorità considera tale; che, come dice Comenio, ognuno deve stare al proprio posto; che, se lo Stato non ti riconosce come tale, non sei nemmeno un essere umano in senso pieno; che il lavoro manuale non è veramente degno di un essere umano, e che quello intellettuale è segno di distinzione; ed altro ancora. Lo Stato ha un potere immenso: il potere di decidere che tipo di forma, tra le mille possibile, devono assumere le persone; e chi è più degnamente essere umano e chi meno.
B: Ma non sarebbe peggio se le scuole fossero riservate ai ricchi, ed i poveri fossero condannati all’ignoranza?
A: Continui a maneggiare in modo discutibile le categorie di cultura ed ignoranza. L’origine di questa categorizzazione è, appunto, la scuola. E’ la scuola che decide che alcune cose sono cultura ed altre ignoranza. E’ pacifico che dal punto di vista di chi è stato a scuola chi non è stato a scuola è semplicemente ignorante. Questo conferma la mia critica: la scuola ha la pretesa di dare patenti di umanità, e discrimina chi è al di fuori della sua presa, considerandolo un essere umano minore.
B: Ma non hai risposto alla mia domanda. Non sarebbe peggio se le scuole fossero riservate ai ricchi?
A: I ricchi a scuola si perfezionerebbero nella loro cultura, ed i poveri avrebbero la cultura dei poveri. Esisterebbero culture diverse per le diverse classi sociali.
B: Ma se la cultura dei ricchi è indispensabile per andare al potere, non è bene che tutti vi abbiano accesso?
A: Non dimenticare quell'”in che modo ognuno debba stare al posto suo” di Comenio. Se la scuola servisse davvero a consentire ai poveri di andare al potere, semplicemente non esisterebbe; le classi al potere non avrebbero mai consentito la nascita di uno strumento così egualitario. Il figlio di qualche povero, attraverso la scuola, può certo diventare magistrato. Si tratta di un fatto spiacevole che la classe dominante accetta di buon grado, perché è il prezzo da pagare affinché le grandi masse possano essere educate a stare al loro posto, e si possa riconoscere allo Stato, ossia alle classe dominanti, il diritto e il potere di decidere e quantificare attraverso una sua istituzione il valore degli esseri umani.

Comenio e la religione della scuola

Comenio
Se si cercano le radici della religione della scuola, bisogna rileggere la Didactica Magna di Comenio, opera che ha una importanza centrale nella nascita della pedagogia moderna.
Il ragionamento di Comenio è talmente semplice e lineare, che può essere distinto in punti.
Primo punto: “L’uomo, per divenire uomo, ha bisogno di essere educato” (è questo il titolo di un paragrafo della Didactica Magna). Per argomentare questo assunto Comenio evoca il caso di un bambino di tre anni disperso nei boschi, predecessore del più noto fanciullo selvaggio dell’Aveyron che Jean Marc Itard cercherà di educare nella Francia dell’Ottocento. Anni dopo, racconta Comenio, fu ritrovato: era uno strano lupo di aspetto umano; solo dopo l’intervento dell’educazione riacquistò la posizione eretta ed imparò a parlare e ragionare. Dunque: ove manchi l’educazione, un bambino non acquisisce nemmeno le caratteristiche comuni della sua specie, come il linguaggio o la stazione eretta. E’ difficile contestare questo punto. L’uomo è, per essenza, un essere che necessita di educazione. Il problema è quale educazione.
Secondo punto: Per educare i figli non bastano i genitori, perché sono pochi coloro che hanno abbastanza tempo per occuparsi dell’educazione dei loro figli; per questo “con singolare avvedutezza si è introdotto da tempo il costume di affidare i figli a molte persone elette, segnalate per sapere e moralità, affinché li istruiscano” (Comenio, Didactica Magna e Pansophia, La Nuova Italia, Firenze 1952, p. 31).

Terzo punto: Occorre dunque che in ogni città, borgo o villaggio vi sia una scuola, e che questa scuola sia frequentata da tutti i bambini, siano ricchi o poveri, maschi e femmine. Questo perché tutti, quale che sia la loro condizione di nascita, “sono nati con il medesimo fine principale, di essere uomini, ossia creature razionali, signore delle altre creature, immagini vere del Creatore” (ivi, p. 34). Attraverso la scuola tutti potranno, “avvedutamente ammaestrati nel sapere, nella morale, nella religione, trascorrere utilmente la vita presente, e preparare degnamente l’altra vita” (ibidem).
Ma se tutti riceveranno la stessa educazione, la società non diventerà egualitaria? Che accadrà ai contadini che saranno istruiti quanto i nobili? Comenio tranquillizza i suoi lettori: accadrà semplicemente che saranno contadini pii, buoni ed operosi; nulla più. Con l’istruzione universale “Saprebbero tutti a che debbono mirare tutti gli atti e i desideri della vita; entro quali confini si debba procedere, in che modo ognuno debba stare al posto suo” (ivi, p. 37; corsivo mio).
Tiriamo le fila del discorso. Nessuno diventa uomo (o donna) senza l’educazione; l’educazione vera è quella data dalla scuola. Nessuno dunque diventa davvero uomo (o donna) senza la scuola. La scuola è l’istituzione che fa di un animale un essere umano. Le scuole sono “officine di umanità” (ivi, p. 38), “fabbrica di uomini” (ivi, p. 40). Di più: nell’ottica di Comenio, la scuola ha una funzione anche religiosa: educa ad essere pii ed a conquistarsi la salvezza eterna. Si può parlare dunque di religione della scuola in senso pieno: la scuola è essenziale per la salvezza dell’anima. Questo vuol dire che tutti coloro che restano al di fuori della scuola sono da considerare ugualmente lontani dal sapere, dal bene e da Dio. 
La scuola universale e gratuita impedisce che gli ingegni che si trovano presso i poveri “passino inosservati e si perdano, con grave danno per la chiesa e per lo stato” (ivi, p. 41). Essa ha dunque anche un compito di promozione sociale, ma limitato ai poveri particolarmente ingegnosi (i “capaci e meritevoli” della nostra Costituzione); a tutti gli altri, la scuola insegna a stare al loro posto. Con ogni evidenza, ha una funzione ideologica che è in linea con quella svolta per secoli dalla Chiesa cattolica. La scuola è fabbrica di esseri umani, ma non forgia tutti con lo stesso stampo: alcuni li fa classe dirigente, altri sudditi; alcuni li fa dominatori, altri dominati. Dominatori e dominati stanno, grazie alla scuola, in uno stesso cerchio culturale, che giustifica il domini dell’uno e richiede l’obbedienza e la sottomissione dell’altro. Fuori dalla scuola c’è un mondo selvaggio, una terra non arata nella quale possono crescere le cattive piante della ribellione e della rivendicazione egualitaria. Grazie alla scuola ognuno si fa prossimo al padrone quel tanto che basta per non ribellarsi – per non essere radicalmente altro da chi comanda -, ma non quanto è necessario per rivendicare un uguale ruolo sociale, a parità di cultura.