Sfuggire a Dio

Sfuggire a Dio, affermare la propria umanità, la propria fragilità a costo di mandare all’aria il piano divino, è una tentazione che attraversa tutta la Bibbia. Il profeta che cerca di non essere profeta è Giona, che Dio vorrebbe mandare a Ninive a profetizzare sventura, e che invece fugge su una nave per Tarsis. Finisce che la tempesta travolge la nave, e per placarla i marinai gettano in mare il profeta riluttante. Lo inghiottirà una balena, riportandolo sulla spiaggia e riconsegnandolo a Dio – ed alla sua missione.
Cerca di sfuggire a Dio, con la forza della ragione e della giustizia, Giobbe, uomo di fede esemplare, che per una scommessa tra Dio e l’ha-Shatan ha perso tutti i suoi beni ed i suo affetti. Si avverte fragile, in balia di un potere immenso che lo scruta (“Perché non cessi di spiarmi / e non mi lasci nemmeno inghiottire la saliva?: 7, 19), ma pure tenta di resistere ribadendo la propria innocenza. Inutilmente: Dio non si lascia imbrigliare dalle ragioni umane.
Cerca di sfuggire a Dio lo stesso Figlio, sul monte degli ulivi. “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice”. Ma aggiunge: “Tuttavia non sia fatta la mia volontà, ma la tua” (Luca, 22, 42).
La volontà di Dio viene prima di quella dell’uomo: ed a Dio non si può sfuggire. E’ questo il messaggio che attraversa tutta la Bibbia. A Dio si è legati fino al sacrificio; e la volontà, la stessa fragilità umana non contano nulla. Del resto, Dio non è in grado di soccorrere quella fragilità?

Alla luce di queste considerazioni, le dimissioni di papa Benedetto XVI possono realmente avere una portata rivoluzionaria. Commentando l’episodio evangelico del monte degli ulivi un anno prima delle sue dimissioni, aveva affermato:
E questo è importante anche nella nostra preghiera: dobbiamo imparare ad affidarci di più alla Provvidenza divina, chiedere a Dio la forza di uscire da noi stessi per rinnovargli il nostro “sì”, per ripetergli “sia fatta la tua volontà”, per conformare la nostra volontà alla sua. (1)
Dimettersi per via dell’età avanzata e della stanchezza vuol dire, esattamente, affermare la propria fragilità contro la Provvidenza, rinunciare ad uscire da sé stessi e ad affidarsi a Dio. E’ una scelta umanissima: troppo umana, per dirla con Nietzsche. Ed è in questo il suo valore storico. Il papa, di cui si è voluta affermare l’infallibilità, è in realtà un essere umano fragile come tutti. Quello che la Chiesa considera il rappresentante di Dio sulla terra è un vecchio appesantito dagli anni; e la Provvidenza non basta a sorreggerlo. Ratzinger ci ha risparmiato – e di questo dobbiamo essergli grati – la sacra rappresentazione della sofferenza di papa Giovanni Paolo II. Sofferenza che, per i fedeli, era appunto una offerta a Dio, a quel Dio cui non si può sfuggire, perché non ci lascia nemmeno inghiottire la saliva – e morire in pace. Ratzinger ha scelto di morire in pace, senza il peso dei paramenti e della missione. Come Giona, si è imbarcato per Tarsis. 
La papolatria, l’esaltazione isterica del capo, che ha raggiunto il suo apice con il pontificato di Giovanni Paolo II ed con i suoi raduni oceanici, è uno dei mali più seri della Chiesa cattolica ed il principale ostacolo al processo di apertura e democratizzazione (per quanto si possa parlare di democratizzazione per una istituzione come la Chiesa) avviato con il Vaticano II. Le dimissioni di Benedetto XVI dimostrano che il male non è incurabile e che forse la Chiesa può fare il passo epocale che va dal pontificare al discutere, dall’anatema all’ascolto. 

(1) Udienza generale del 1 febbraio 2012 (qui). 

Una morale miope

Nel Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace si legge:

Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.

Difficile dargli torto: fondamentalismo e fanatismo sono nemici della pace. Il problema è che il fondamentalismo ed il fanatismo sono sempre quelli degli altri. Più avanti, nel discorso, c’è il seguente passo:

Per diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.

Il papa dice, dunque, che chinque non sia credente non può essere operatore di pace; nessuno che sia chiuso alla Trascendenza può vincere l’egoismo, la violenza eccetera. Tradotto in linguaggio corrente: tutti quelli che non sono credenti sono condannati ad essere cattivi. E cos’è questo, se non fondamentalismo e fanatismo?
Illuminati da Dio, aperto al Trascendente, in dialogo con Dio, il papa è così miope da vedere le maggiori minacce alla pace mondiale non nel commercio internazionale delle armi, ma nell’aborto, nell’eutanasia e nelle unioni gay. La pace è minacciata ogni volta che non si rispetta la vita umana:

Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale.

Che anche l’esistenza di una persona omosessuale sia vita umana, come tale degna di rispetto,  è una cosa che l’apertura al Divino non riesce a fare entrare nella testa di questo vecchio ottuso. E non è ovviamente lecito attendersi alcun cenno allo scandalo immenso della sofferenza della vita animale, che per i cattolici – fedeli al mandato del Genesi – semplicemente non esiste. Non c’è nessuna minaccia alla pace nel fatto che la vita di milioni ì di animali sia quotidianamente crocifissa negli allevamenti industriali – umiliata, offesa, derisa, smembrata. La miopia morale non gli consente di scorgere la continuità tra violenza sull’animale e violenza sull’uomo, tra l’organizzazione scientifica, sistematica dei macelli e quella dei campi di sterminio.
Non c’è, in un discorso del genere, soltanto una morale insufficiente (quella ottusità morale, per non dire peggio, che lo porta a ricevere in Vaticano Rebecca Kadaga, presidente del parlamento Ugandese, promotrice di una legge che prevede la pena di morte per i gay). C’è qualcosa di peggio: c’è insufficienza religiosa. La vera religione dà slancio alla morale, la apre, la rende più sensibile e profonda. Qui abbiamo una religione spenta che produce una morale spenta. Un sale che è diventato insipido.