Una cosa che accomuna le cosiddette religioni orientali e la mistica speculativa cristiana è il fatto di considerare la Realtà ultima come qualcosa di radicalmente altro rispetto all’essere umano. Ed è in questo che l’esperienza religiosa incontra la scienza. Il conflitto tra scienza e religione esiste soltanto per la religione alienata ed alienante, quella che mette l’essere umano al centro di un cosmo fittizio, e la cui funzione consiste nel creare una “dimora metafisica” (Buber) per un soggetto insicuro, il cui io viene puntellato da quel Grande Io che è Dio.
La Radice delle cose non è umana. Non c’è un Dio Persona che crea il mondo e lo governa. Questa è una percezione superficiale, oltre la quale c’è il Radicalmente Altro. La fisica, inoltrandosi nella natura dell’universo, scopre l’inadeguatezza delle nostre concezioni correnti di tempo e di spazio e dell’idea stessa di “cosa”. Ma lo sapeva già l’autore del
Daodejing (I): “Il Dao che può essere nominato non è il Dao eterno”. E così il
Sutra del cuore: “Iha śāriputra: rūpaṃ śūnyatā śūnyataiva rūpaṃ” (Shariputra, la forma è vuoto, il vuoto è forma).
Il Vuoto. Il Senza Nome. L’Indicibile. Alla radice delle cose c’è la non-cosa, ciò che la nostra lingua non può nominare, ciò che la nostra mente non può cogliere fino a quando non si libera delle sue categorie correnti. Il mondo con le sue identità, con le cose e i nomi e le forme, non è la realtà ultima.
Questa consapevolezza provoca angoscia, ed è esattamente questa angoscia che avvia l’esperienza religiosa. La falsa religione che i più professano serve a placare l’angoscia esistenziale; rassicura il soggetto, dicendogli che non morirà davvero, che dopo la morte avrà una vita nuova migliore di quella attuale. La religione autentica, al contrario, parte dall’angoscia e la usa come strumento di conoscenza. Non dice al soggetto che la morte non c’è; gli dice che lui, qui ed ora, è già morto. Che lui non c’è. Che il suo io non è che una interpretazione.
C’è esperienza religiosa quando un soggetto si mette in cammino contro sé stesso. L’altro radicale – il Vuoto, il Senza Nome – è qualcosa che tu devi essere. Fino a quando resta altro, siamo ancora nell’alienazione religiosa. Essere questo altro, lasciando cadere il corpo e la mente, il nome e la forma, è esperienza religiosa. Essere il Senza Nome vuol dire rinunciare alla parola: stare nel silenzio. Farsi silenzio.