Educare alla libertà attraverso la libertà

Fonte: http://onsparklingform.tumblr.com

Che l’educazione abbia a che fare con la libertà nessuno, o quasi, lo nega. Tutti affermano che fine dell’educazione è formare persone libere ed autonome. Il problema è che la libertà è concepita come il fine, non come il mezzo dell’educazione. Ci si aspetta che la persona diventi libera attraverso un percorso formativo che comincia con l’assoluta negazione della libertà e diviene man mano meno rigido, fino a lasciare libero il soggetto ormai maturo. Il bambino è considerato un po’ come una pianta (le metafore botaniche sono frequentissime in pedagogia), che dev’essere legata, avvinta ad un palo affinché cresca dritta, e non segua le proprie disordinate inclinazioni. Quando la pianta è ormai adulta e ben formata, la si può slegare e lasciare che cresca come vuole. Come vuole? Crescerà, in realtà, come vuole chi dall’esterno ha pensato il suo sviluppo. Ed è quello che accade ai bambini. Avvinti dall’autorità, impacciati, costretti in mille modi, vengono lasciati in pace solo quando hanno interiorizzato le norme, quando hanno ormai quello che Augusto Boal chiama “il poliziotto nella testa” (flic dans la tete).

Libertà è, essenzialmente, autonomia. La parola autonomia rimanda a due cose: sé stessi (autos) e la legge (nomos). Autonomia può voler dire due cose: o offrirsi spontaneamente, da sé, alla legge, oppure darsi la legge da sé. La prima è la concezione conservatrice della libertà e dell’autonomia. Libero, si dice, è soltanto colui che è giunto a consentire interiormente con la legge, fino al punto di non volere se non ciò che la legge stessa vuole. Un soggetto libero così inteso non viola la legge perché l’ha interiorizzata al punto tale da essere tutt’uno con essa. Non si può dire che la legge venga dall’esterno a limitare la sua azione; la legge è tutt’uno con lui. La seconda concezione considera la legge come qualcosa che il soggetto non interiorizza, ma conquista da sé: e può essere che vi sia un contrasto tra ciò che lui ritiene buono e giusto e ciò che la società impone come buono e giusto. Una libertà di questo genere è indubbiamente pericolosa per la società, poiché mette in discussione i valori, le norme, i rituali condivisi; al tempo stesso è per essa una benedizione, perché le offre il dinamismo che è necessario per farla evolvere, per aprirla a nuove posizioni morali, a più avanzate conquiste civili. Chi oggi è un deviante, domani appare come un precursore. L’obiettore di coscienza che oggi è un criminale da sbattere in galera, domani apparirà come colui che ha difeso il sacrosanto diritto di non uccidere, che non può che essere riconosciuto dallo Stato.

E’ chiaro che i conservatori, quando parlano di libertà, si riferiscono a qualcosa che libertà non è. Ciò spiega il curioso paradosso riguardante i fini ed i mezzi. Come è evidente, esiste una relazione necessaria tra fini e mezzi: non è possibile raggiungere certi fini, se non con mezzi che ad essi sono omologhi. C’è un rapporto tra il seme e l’albero, tra l’azione e la sua conseguenza. Educare alla libertà attraverso la coercizione è semplicemente impossibile, se intendiamo la libertà come darsi da sé la legge. Una persona che fin dalla prima infanzia è stata educata a seguire la legge imposta da un’autorità difficilmente riuscirà, da adulta, ad essere realmente autonoma. Ciò non vuol dire che non potrà esserlo affatto. Fortunatamente, l’educazione ha influenza sullo sviluppo personale solo fino ad un certo punto. Il processo educativo è guidato dall’interno non meno che dall’esterno; e spesso accade che il movimento interiore contrasti efficacemente l’azione esteriore e prevalga su essa (ed abbiamo allora i ragazzi rivoluzionari figli di conservatori). La libertà cui si educherebbe in questo modo è la stessa del cane che, ben addestrato, può essere lasciato senza guinzaglio, poiché si è certi che non scapperà. Ma essere liberi vuol dire essere capaci di scappare.
Non si educa alla libertà se non attraverso la libertà. Tornando alla metafora botanica, ciò significa riconoscere alla pianta il diritto di crescere come vuole. C’è una saggezza vitale nella pianta, come nel bambino. A Maria Montessori va riconosciuto il merito di aver richiamato l’attenzione sul grande, straordinario lavoro che il bambino fa da sé – non un foglio bianco su cui gli adulti scrivono cose via via più complesse, ma un progetto che si svolge progressivamente da sé, assimilando ciò di cui ha bisogno dall’ambiente. Non c’è nulla che un bambino reclami con più forza del fare da sé: è un suo bisogno evolutivo. Ed è compito di chi lo educa provare un profondo rispetto per questo bisogno e riconoscere al bambino tutte le volte che è possibile il diritto e l’agio di muoversi autonomamente.
Coloro che negano la libertà al bambino in nome dell’educazione sono guidati da una visione positiva del mondo adulto. Essi sono consapevoli del potenziale rivoluzionario che c’è nel bambino, e per questo ritengono necessario intervenire al più presto per inquadrarlo, per fargli accettare il sistema socio-economico con le sue regole. Questa consapevolezza del potenziale rivoluzionario infantile è alla base anche dell’educazione libertaria. La differenza è che tale potenziale è in questo caso percepito positivamente, poiché si è dolorosamente consapevoli delle storture della società. Nel bambino, nella sua libertà, nella sua gioia si riconosce la leva per trasformare un mondo malato di tristezza, di autorità, di violenza. Educare il bambino vuol dire al tempo stesso andare alla sua scuola, imparare la sua lezione, ascoltare la sua voce.
Articolo per Il bambino naturale.

Author: Antonio Vigilante

antoniovigilante@autistici.org

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