Israele nel deserto

Con ogni probabilità, il passo più terribile della Bibbia - una raccolta di testi in cui non mancano i passi terribili: violenti, atroci, osceni - è quello del libro dei Numeri (in ebraico Be-Midbar, "Nel deserto") in cui Mosè comanda di sterminare donne e bambini. Consideriamo il contesto. Il popolo del Signore è accampato nel deserto, in una località chiamata Sittim. Qui gli ebrei si mettono a "trescare con le figlie di Moab", partecipando ai loro sacrifici religiosi ed adorando i loro dèi. Il Signore si arrabbia ed ordina a Mosè di far impiccare tutti i capi del popolo, per placare la sua ira. E' singolare che i cristiani, che lamentano (ed a ragione) le persecuzioni cui in diverse parti del mondo sono sottoposti coloro che si convertono al cristianesimo, ritengano sacro un libro in cui si parla di impiccare chi pratica la libertà religiosa - perché di questo si tratta. Ma procediamo. Un certo Fineas, sommo sacerdote, scopre che un ebreo ha portato nella sua tenda una moabita, e non ci pensa due volte: prende una lancia e li uccide. Il Signore è talmente contento per il suo gesto - l'assassinio di due innocenti - che fa cessare la sua ira su Israele. Non prima, però, di aver massacrato 24.000 persone (Numeri, 25, 1-9). L'edizione che sto citando, quella curata da Bernardo Boschi per le Edizioni Paoline, spiega in nota che questo Fineas "testimonia la radicale ed esemplare fedeltà della sua classe allo Jahvismo nello spirito della Tradizione Sacerdotale". Un gran brav'uomo, insomma.La storia non finisce qui. Gli ebrei hanno tradito Dio, e la carneficina non è sufficiente. Occorre la vendetta. Di cosa siano colpevoli i poveri moabiti non è ben chiaro: usando lo stesso criterio, oggi, i seguaci di qualsiasi religione si potrebbero ritenere in diritto di muover guerra e massacrare chiunque faccia proselitismo presso di loro, a cominciare dai cristiani. Mosè manda contro i madianiti un esercito di dodicimila uomini, che massacrano tutti i maschi, incendiano le città, depredano tutto. Ma i capi dell'esercito risparmiano i bambini e le donne. Per umanità, immagino. Mosè tuttavia si arrabbia: "Avete lasciato in vita tutte le femmine? Furono esse, per suggerimento di Balaam, a stornare dal Signore i figli d'Israele nel fatto di Peor e ad attirare il flagello sulla comunità del Signore. Ora uccidete ogni maschio fra i bambini e ogni donna che si sia unita con un uomo. Tutte le ragazze che non si sono unite con un uomo le lascerete vivere per voi" (Numeri, 31, 15-17). Tralasciamo quest'ultima notazione, anch'essa terribile (è facile immaginare la fine delle ragazze vergini), e chiediamoci: di cosa sono davvero colpevoli le donne? Cosa hanno fatto, per essere uccise? Hanno seguito la loro religione, esattamente come gli ebrei seguono la loro. Il massacro di queste donne, a battaglia vinta, è un semplice crimine di guerra. Ma soprattutto la domanda è: cosa hanno fatto i bambini? Cosa? Perché massacrarli? Non esiste nessuna ragione. Se il massacro delle donne è un crimine di guerra,[…]

Il groviglio di Piazza Mercato

Foto ripresa dal sito www.ispastrutture.itTra le ragioni per le quali la vita è un groviglio c'è il fatto che le ciambelle raramente riescono col buco. Il che vuol dire che c'è uno scarto tra il progetto e la sua esecuzione, tra l'idea e la sua concretizzazione, tra quel che si vorrebbe fare - spesso con le migliori intenzioni - e quello che si riesce davvero a fare. Una ciambella penosamente malriuscita è stato l'incontro di domenica mattina tra il sindaco ed i cittadini per discutere del futuro di Piazza Mercato. Nelle intenzioni del sindaco doveva essere un bel momento di democrazia partecipata: cosa rara di questi tempi, rarissima a Foggia, e quanto mai opportuna in campagna elettorale. Ne ė venuta fuori invece una gazzarra delle peggiori, che ha messo a dura prova la flemma mongelliana: a un certo punto ha dovuto far la voce grossa (per quanto sia possibile far la vice grossa a Mongelli) per imporre ordine e disciplina.Le contestazioni più dure sono state per l'ex assessore Maria Rosaria Lo Muzio, che ha preso la parola per ricordare che quella piazza oggi tanto contestata quando era ancora un progetto venne apprezzata in una mostra a Bruxelles e inserita dalla Fondazione Agnelli tra trenta opere di grandi architetti italiani. Dal pubblico la interrompono: "Ci vuole un coraggio... No, fa schifo questa piazza". Eppure non aveva tutti i torti, l'ex assessore. La piazza progettata e la piazza realizzata, quello che doveva essere e quello che è stata ed è, sono due cose diverse. Ancora una volta lo scarto, il groviglio. Nelle intenzioni di chi l'ha progettata, quella piazza doveva essere un centro di aggregazione sociale, ospitare iniziative culturali, diventare uno dei luoghi più vivi del cuore storico della città. Se è andata diversamente, la responsabilità non è di chi l'ha progettata, ma di chi non è riuscito a farla funzionare. E' molto triste, ed è un indice del degrado civile e non solo politico della città, che non si riesca a Foggia a far funzionare uno spazio culturale (si pensi, oltre a Piazza Mercato, all'abbandono delle strutture di parco San Felice), mentre a Manfredonia con i fondi della Regione hanno trasformato il mercato del pesce in un laboratorio culturale che, affidato ad una cooperativa, ospita ogni giorno concerti, corsi di musica, mostre d'arte, convegni e conferenze.Oggi si vorrebbero abbattere le contestate strutture metalliche della piazza - il "trenino" - e lasciare solo la pavimentazione. Anche qui rischia di esserci uno scarto, e tra i peggiori, tra il progetto e la sua realizzazione. Perché il dato più impressionante che è emerso dall'incontro di domenica è l'altissimo malessere della gente di quel quartiere, di quel centro storico che è diventato, dicono, terra di nessuno. Il timore, fondato, è che, liberata dalle strutture metalliche, quella piazza finisca per diventare un buco nero nel bel mezzo del centro storico, un pisciatoio e vomitatoio a due passi dalla cattedrale.All'incontro di domenica mattina è intervenuta anche una ragazza dai capelli rossi. Il problema del centro storico non[…]

Dino Frisullo e la vera politica

Dino FrisulloCos'è la politica? A giudicare dall'operare della classe politica italiana - ma altrove non va diversamente - negli ultimi decenni, bisognerebbe rispondere così: è il movimento che distacca il centro della società dalla periferia. Grazie all'opera della politica e dei politici, ci sono un numero ristretto di persone che hanno denaro, prestigio, potere, e molte altre persone che non ne hanno. La politica, come la guerra secondo Eraclito, "gli uni fa schiavi e gli altri liberi". E' sufficiente considerare la distribuzione delle ricchezze in Italia e nel mondo per constatare i risultati di questa politica. Secondo dati della Banca d'Italia, il 10% delle famiglie italiane possiedono il 45% delle ricchezze del nostro paese. Nel mondo va anche peggio: secondo uno studio delle Nazioni Unite, il 2% della popolazione mondiale possiede più della metà della ricchezza mondiale complessiva.La cosiddetta classe politica rientra, naturalmente, nel nucleo ricco e privilegiato della società, e ciò senza differenze di rilievo tra la cosiddetta destra e la cosiddetta sinistra. I politici sono fondamentalmente uomini e donne d'affari, ben attenti a difendere i propri interessi economici anche quando parlano di solidarietà e giustizia sociale.Ma la politica - bisogna dirlo con chiarezza - non è questa. La politica è altro; ed altri sono i politici. La politica è il movimento che cerca con sforzo continuo, inesausto, di portare al centro della società coloro che sono alla periferia. La politica non tollera l'esclusione, la marginalizzazione, il rifiuto. E' costruzione della polis intesa come il luogo in cui tutti sono liberi e nessuno è inferiore a nessuno. C'è politica ovunque qualcuno lotta perché qualche altro possa ottenere il riconoscimento pieno dei suoi diritti. C'è politica ovunque qualcuno scopre il volto dell'altro. Come il sacro, la politica autentica la trovi dove meno te l'aspetti: non nelle chiese, il primo; non nei parlamenti, il secondo. La trovi, la politica, lì dove qualcuno aiuta una prostituta, un pregiudicato, un clandestino, un lavoratore sfruttato a conquistare la propria piena umanità. Ed è lì che in genere trovi anche il sacro.La politica escludente, la politica degli uomini e delle donne d'affari, esalta i suoi eroi. Dedica loro strade e piazze, scopre targhe, erige busti. I protagonisti della politica autentica sono invece per lo più uomini e donne che agiscono in silenzio, senza che nessuno conosca i loro nomi. E quando si giunge a parlare di loro, è solo per qualche tempo: presto vengono dimenticati. Forse è giusto così - lo esige l'umiltà che sempre accompagna chi lavora davvero per il bene comune -, ma forse non lo è. Forse è giusto, doveroso, necessario ricordarli, trarli dall'oblio, presentarli per quello che sono stati: uomini e donne coraggiosi, che hanno tentato di accendere una luce nel buio che ci circonda.Dieci anni fa, il 5 giugno del 2003, è scomparso uno di questi politici autentici: Dino Frisullo. E' nato a Foggia, ma a Foggia non sono molti a ricordarsi di lui. Non ci sono vie o piazze dedicate a lui: ed è bene così. Ma non è[…]

Se i bambini diventano nemici

Calcio per strada(www.maidirecalcio.com)Chi si trovi a passare oggi davanti allo stadio "Pino Zaccheria" di Foggia non può immaginare quello che era quel posto negli anni ottanta. Il vasto piazzale antistante lo stadio - ora chiuso da cancelli - era interamente colonizzato ed attentamente lottizzato da bambini ed adolescenti. In decine di campi di calcio tirati fuori dall'asfalto a forza di immaginazione, con le porte delimitate da semplici pietre, centinaia di ragazzini si esercitavano nella nobile arte del calcio. Ma la festa non si limitava a quell'area, che pure ne era il centro. Ogni marciapiede, ogni slargo, ogni pezzo d'asfalto libero era buono per giocare a pallone. Se lo spazio era poco, si poteva giocare a pallamuro, una variante rumorosissima della pelota. Se era un luogo tranquillo, senza molte automobili, si poteva azzardare una partita a mazza e bustico, variante popolare dell'antico gioco della lippa: con una mazza di legno si colpiva un fuso, che partiva a grande velocità - finendo spesso per centrare qualche passante.Non era una vita facile, sia chiaro. Allo stadio il tuo pezzo di campo dovevi conquistartelo. Non era infrequente che dai quartieri popolari scendessero tribù ostili, che ti intimavano di lasciar loro il campo al più presto, minacciando in caso contrario le violenze più efferate (e spesso, per risparmiare il fiato, cominciavano senz'altro con queste ultime). C'erano poi quelli che ti bucavano il pallone, o che si rifiutavano di restituirtelo se finiva nelle loro mani. Per un certo periodo abbiamo giocato a pallone su un pezzo di marciapiede che era davanti alla Sala del Regno dei Testimoni di Geova. A volte il pallone finiva nella sala durante una delle loro riunioni, ed occorreva farsi coraggio per andare a recuperarlo in quel consesso religioso - che in genere lo restituiva senza farsi troppo distrarre dalla cosa. Peggio andava quando il pallone finiva sul terrazzino che sovrastava la sala. In quel caso bisognava arrampicarsi, ed il coraggio necessario era il doppio, perché il padrone del terrazzino era uno 007.A volte il pallone finiva contro lo specchietto di un'automobile, e per quanto si facesse in fretta a correre via e nascondersi, tornando a casa si trovava inevitabilmente la propria madre furiosa per aver già ricevuto la visita del proprietario dell'automobile che pretendeva il risarcimento del danno. Una volta - si era allo stadio - riuscimmo a far saltare gli occhiali ad un passante senza nemmeno sfiorargli la testa.Ho accennato agli 007. Per noi ragazzi di strada degli anni ottanta gli 007 erano quei pensionati la cui unica attività riconoscibile consisteva nel darci la caccia. Persone con un sistema nervoso estremamente sensibile, preso a martellate dai nostri palloni e dalle nostre grida. Li chiamavamo 007 perché avevano la capacità ammirabile di comparire quando meno te l'aspettavi. Nel bel mezzo della partita, quando gli animi cominciavano a scaldarsi, compariva lo 007, e la partita era finita. O meglio: ricominciava da qualche altra parte.Negli anni ottanta c'era una guerra tra i ragazzini ed i pensionati, tra il diritto al gioco ed il[…]

Educare nella società delle merci

Tutto è merce, tutto si può comprare e vendere, anzi tutto si deve comprare e vendere. Anche gli esseri umani.
Tutto, in quanto merce, è superficie, apparenza, vetrina. Vivere vuol dire stare nella vetrina ed attrarre i clienti: sedurre, portare con sé. Nessuno è escluso dal gioco universale della seduzione. Ad un corpo non è concesso di diventare vecchio. Occorre che si mantenga sempre giovane, perché non cessi di sedurre. Anche a costo di diventare ridicolo. Donne di quarant’anni si gonfiano le labbra a dismisura, uomini di settant’anni ottengono dalla chirurgia un volto finto in cambio delle loro rughe autentiche. Questo si chiama, oggi, bellezza: il tentativo disperato, triste, patetico di sedurre, di costringere a volgere lo sguardo, di imporre la propria presenza. Una degenerazione della bellezza e del suo senso. Se la bellezza autentica porta sempre con sé una scheggia di sofferenza con la quale ci ferisce e ci commuove, dandoci il presentimento di un altrove, la bellezza sguaiata delle merci, che spesso confina con il mostruoso, tiene avvinti al qui ed ora, è la negazione di ogni trascendimento, avanza una arrogante pretesa di appagamento totale.