Sul terrore di Dio

Impacchettando i libri per il trasloco, vien fuori una vecchia edizione Newton Compton della Nascita della tragedia di Nietzsche, ormai rovinata dall'umidità. Nell'antiporta la mia firma, ancora con le maiuscole (dall'età di diciassette anni firmo con le iniziali minuscole) e la data: 1988. Sedici anni. Nell'ultima pagina trovo una annotazione sicuramente posteriore, che per quello che riesco a ricordare rientra nel progetto post-adolescenziale di un libro che doveva intitolarsi Sul terrore di Dio. Eccola. Più profondo d'ogni rito e d'ogni preghiera, più prossimo all'essenza del reale d'ogni contemplazione, è quello sguardo sconsolato sul maestoso dolore degli enti che si concreta nel presentimento d'un Dio capriccioso e terribile. Io non sono, qui, il padrone dell'Essere; io non sono che un ospite, uno che deve prendere congedo; mi fanno compagnia il dolore e la gioia, la fuga e la mancanza: così parla l'uomo che vive e soffre in sé quel momento originario della religione che chiamo "terrore di Dio". L'uomo religioso è l'antitesi dell'uomo dell'età della tecnica: se quest'ultimo pensa alla realtà come producibilità, fa dipendere da sé la natura e le cose, orgoglioso della sua capacità di dare ordine a tutto, l'altro, il sofferente Giobbe, conosce i propri limiti, osserva lo scorrere degli eventi con calma e rassegnazione, conosce il Dio che non domina e travaglia.

Separare il grano dal loglio

Mi è stata chiesta qualche riflessione in occasione della festa patronale. Il mio è il punto di vista di un non cristiano fortemente critico nei confronti dell'aspetto istituzionale di tutte le religioni e fortemente interessato, invece, all'esperienza mistica ed eretica (due cose, misticismo ed eresia, che spesso coincidono). Avverto sin d'ora il lettore cattolico che nelle righe che seguono troverà pertanto cose sgradevoli: si regoli come meglio crede. Per riflettere sul senso religioso di una cosa come la festa patronale bisogna prima porsi qualche domanda. Che cos'è la religione? Cosa vuol dire essere religiosi? Quali pratiche sono religiose, e quali no? Cosa distingue il religioso dal non religioso, e il profondamente religioso dal superficialmente religioso? La risposta più ovvia a questa domanda sembra essere la seguente: religione è entrare in rapporto con Dio o con un Ente trascendente. Che può chiamarsi Yhwh o Allah, Ahuza Mazda o Shiva, essere Uno o molteplice, vicino o lontano, incarnato o disincarnato: ma è il Divino, distinto dall'umano. In realtà le cose non sono così semplici, perché esistono anche religioni, come il jainismo ed il buddhismo, che prescindono dalla divinità. Per un buddhista non si tratta di credere in Buddha ("Se incontri il Buddha per strada, uccidilo", diceva il grande maestro zen Lin Chi), ma di diventare un Buddha. Fino a quando il Buddha è altro da noi, vuol dire che siamo ancora lontani dalla meta della nostra vita religiosa. Qualcosa di simile avviene anche in certa mistica speculativa cristiana, per la quale bisogna diventare Dio, più che venerare Dio (si pensi a Meister Eckhart), così come nel sufismo di Al-Hallaj, il Cristo dell'Islam, mandato a morte perché affermava di essere diventato la Verità, ossia Dio. C'è poi la spiritualità, che si può caratterizzare come presa di contatto con sé stessi. Tutte le religioni hanno elaborato quelle che Foucault chiamava tecnologie del sé: dalla confessione all'esicasmo, dallo yoga alla meditazione vipassana dei buddhisti. La persona religiosa si riconosce per la capacità di conoscersi, di raccogliersi, di stabilirsi per così dire in sé stessa, analizzando i moti interiori, le passioni, le emozioni, le inquietudini. Da ciò discende la tendenza di molte persone religiose a chiudersi nella ricerca della perfezione spirituale, allontanandosi dalle cure mondane, ma può anche scaturire una nuova forma di prassi, un impegno più puro. Se la spiritualità porta al contatto con sé stessi, l'etica ci conduce al cospetto dell'altro. Tutte le religioni predicano la comprensione, il rispetto, l'amore dell'altro. Una persona religiosa - profondamente, autenticamente religiosa - si riconosce per questo: vive intensamente il suo rapporto con l'altro; ha reciso in sé le radici dell'odio ed è capace di un amore che giunge fino agli animali. Un ultimo aspetto fondamentale della religione è l'aspirazione ad un mondo libero dal male e dalla sofferenza. C'è al fondo della religione una ribellione umanissima contro il dolore che segna l'esistenza umana e tutto il mondo naturale, il rifiuto di considerarli normali, la ricerca di una finale pacificazione universale. E' l'aspirazione dei profeti ebrei ad una[…]