L’insegnante come intellettuale trasformativo

"Un po' per gioco, un po' per curiosità ricognitiva", Piero Bevilacqua ha buttato giù sul manifesto di ieri, 28 gennaio, una lista di intellettuali italiani uniti dal comune denominatore della "critica alla cultura neoliberistica, alle sue strategie e alle sue pratiche". E' una lista che, come tutte le liste, fa discutere, sia per le presenze che, soprattutto, per le assenze. Io, ad esempio, vi trovo - e ne sono felice - Marco Maurizi, che considero uno dei più interessanti filosofi italiani, ma non vi trovo Marco Rovelli, uno dei punti di riferimento nel nostro paese per una cultura alternativa al neoliberismo. Ma non è di questo che voglio parlare. Voglio soffermarmi, invece, sui territori che Bevilacqua ha segnato sulla sua provvisoria cartografia. Gli studiosi mappati appartengono a sette categorie: economisti; filosofi; giuristi; sociologi, politologi, antropologi; architetti, geografi, urbanisti; letterati; scienziati; storici. Bevilacqua premette che l'elenco è incompleto, perché " mancano artisti, editori, giornalisti, uomini di cinema e di teatro, personalità di spicco fuori dall’accademia". Solo? Non manca qualcos'altro? Una volta si pensava - a sinistra - che il cambiamento sociale passasse anche, se non principalmente, attraverso la scuola e l'educazione. O, magari, attraverso la critica della scuola e dell'educazione, considerati strumenti in mano alle classi dominanti per riprodurre sé stesse e la loro cultura e giustificare, di fatto, le disuguaglianze sociali. C'è una scena di Centochiodi, di Ermanno Olmi, in cui il protagonista, un professore di filosofia della religione che ha dato di matto, crocifiggendo degli incunaboli della biblioteca universitaria, viene interrogato in Questura. "Fa parte di qualche organizzazione sovversiva o terroristica?", gli chiedono. E lui risponde: "Ho fatto parte del corpo insegnanti". A questo punto, nella piccola sala d'essai in cui vidi il film alla sua uscita, nel 2007, partì una risata irrefrenabile. Che la scuola sia una organizzazione terroristica, che gli insegnanti siano dei sovversivi, fa ridere. Fa ridere tanto. E fa ridere gli stessi docenti: perché quel piccolo cinema era frequentato soprattutto da docenti. Non c'è figura che appaia più lontana dal rivoluzionario, o anche soltanto dal dissenziente, del professore seduto alla sua cattedra. O anche del professore universitario di pedagogia. Non è dunque per protestare per l'assenza di educatori, pedagogisti, docenti nella mappa di Bevilacqua, che scrivo questo articolo. Lo scrivo per riflettere sul fatto che una tale assenza è, oggi, giustificata. Negli ultimi anni la scuola italiana è stata investita da interventi che sono andati tutti nelle direzione di renderla sempre più funzionale al sistema economico ed alle sue logiche. La legge 107 è solo l'ultimo atto. La classe docente non è riuscita ad opporsi a questa azione dall'alto, e non vi è riuscita anche perché, nella mia analisi, è mancata e manca una visione della scuola realmente alternativa a quella imposta dall'alto, che non sia la sola difesa di quello che c'era prima. E' mancata e manca una chiara visione del senso politico del lavoro scolastico. Non mancano le parole d'ordine, ma si fa fatica ad individuare pratiche che corrispondano ad esse. Si vuole[…]