Come insegnare filosofia

Prendete il manuale di filosofia. Apritelo. Toccate la carta. Saggiatene la consistenza. Si chiama grammatura. Ora fate una ricerca su quella carta. Che tipo di carta è, dove viene prodotta e come e quanto guadagnano gli operai che la producono.

Tornate al libro di testo. Guardate nel colophon dove è stato stampato. Non sapete cos’è un colophon? Ve lo dico io. Dopo però chiamate la tipografia e chiedete come viene stampato il libro. Le tecniche, i diversi compiti e quanto guadagnano gli operai.

Poi tornate al libro. Vedete che c’è un editore. Cercate informazioni sull’editore. Poi contattatelo. Chiedete come funziona il lavoro di un editore, chi fa cosa e quanto guadagna.

La Spagna, la filosofia e le chiacchiere

La Spagna, la filosofia e le chiacchiere

Esiste un progetto globale per attaccare i saperi umanistici, che formano al pensiero critico, in favore di una concezione meramente strumentale della conoscenza, funzionale al capitalismo ed alla preparazione di lavoratori sempre meno consapevoli. Questa volta tocca alla Spagna: ed è, significativamente, proprio un governo di sinistra ad eliminare la filosofia, evidentemente scomoda, dai programmi scolastici. Ecco, se cominciassi così un articolo sulla riforma spagnola dei programmi della scuola dell’obbligo (Educación Secundaria Obligatoria) del governo di Pedro Sanchez, potrei essere certo di una vasta condivisione, di un mare di like e di commenti indignati. Il mio articolo andrebbe ad ingrossare il discorso vanveristico sulla scuola, che in questo caso si fa internazionale. E nel quale purtroppo casca anche qualche giornale come MicroMega, sulle cui pagine digitali un indignato, ça va sans dire, Antonio Cecere scrive: Per completare la contestualizzazione della scuola nel frastuono dell’epoca in cui stiamo vivendo, i sinistri pedagoghi spagnoli decretano l’espulsione della Filosofia dall’insegnamento sostituendo la vetusta e odiata (dalle classi dirigenti) materia plurimillenaria con materie più pratiche, come il lavoro su specifiche tematiche di attualità, i problemi di convivenza in una comunità pluralista, la formazione e l’orientamento personale e professionale, la digitalizzazione, l’economia e l’imprenditorialità.Antonio Cecere, La sinistra masochista, Psoe e Podemos cancellano storia e filosofia, in MicroMega, url: https://www.micromega.net/la-sinistra-masochista/ Eppure basterebbe non dico documentarsi, ma ragionare un attimo per vedere la cosa diversamente. In primo luogo, perché si tratta di scuola dell’obbligo, vale a dire l’equivalente della scuola secondaria inferiore e dei primi due anni della secondaria superiore italiane. Ora, in Italia in questo segmento scolastico la filosofia non c’è. Non c’è mai stata, e nessuno ha mai pensato di mettercela. Anche al Classico la filosofia si insegna solo dopo la fine della scuola dell’obbligo. In Italia nessuno studente che abbia abbandonato la scuola alla fine dell’obbligo ha mai studiato filosofia. In secondo luogo, gli studenti nella scuola dell’obbligo dovranno affrontare temi etici e civici, legati alla democrazia e ai diritti. Ora, se mi si chiedesse come introdurre gli studenti alla filosofia, indicherei esattamente questi temi. Non c’è propedeutica filosofica più efficace che mostrare in che modo il ragionamento filosofico può contribuire a chiarificare i problemi comuni. Nelle nostre scuole gli studenti al terzo anno della secondaria superiore si trovano subito alle prese con Talete, Anassimandro e Anassimene. In terzo luogo, l’insegnamento della filosofia all’ultimo anno della scuola dell’obbligo era già stato eliminato dai popolari, ed è facoltà delle regioni reintrodurlo, se vogliono, anche nella scuola dell’obbligo. Per soprammercato, si potrebbe osservare che nei Paesi europei che danno il maggior contributo al dibattito filosofico mondiale, come la Francia e la Germania, la filosofia è tutt’altro che disciplina centrale nei programmi, mentre noi con i tre anni di storia della filosofia – sarebbe meglio chiamarla così, perché di questo si tratta – restiamo ai margini. La cosa triste – più triste – di questo insistente, asfissiante chiacchiericcio pedagogico è che impedisce di affrontare i problemi reali. Che nella scuola italiana sono enormi: e considerare con attenzione[…]

L’uscita a destra di Byung-Chul Han

Non so quante volte, dopo aver chiuso un libro di Byung-Chul Han, mi sono detto: bene, ma come ne usciamo? Bene per modo di dire, perché se apprezzo la chiarezza del filosofo sudcoreano e ritengo che nelle sue analisi vi sia molto di vero, mi pare anche che si tratti, più che di un ritratto della società attuale, di una sua caricatura. Che come tutte le caricature può servire a individuare meglio i difetti di un volto, ma che come tutte le caricature è frutto di una accentuazione unilaterale, che non coglie le possibilità di bellezza che possono essere anche in un volto irregolare. C’è poi una questione metodologica. Byung-Chul Han ha la pretesa di parlare, nientemeno, della società contemporanea, ossia di un campo vastissimo; arriva d’un balzo, cioè, dove un sociologo onesto si arresta, e lo fa senza aver bisogno di alcun dato sociologico o statistico. Non è il solo a farlo, a dire il vero, e nella sociologia non mancano esempi di imprese simili, spesso suggestive e di grande successo; ma si tratta di semplificazioni di una realtà complessa e contraddittoria. Caricature, appunto. 

Gli individui che non siamo

Il re greco Menandro, che regnò nel secondo secolo a.C. su un territorio che comprendeva l’India del nord e l’attuale Pakistan, fu con ogni probabilità uno dei primi occidentali convertiti al buddhismo, grazie ai lunghi dialoghi con un saggio buddhista, Nagasena, registrati in uno dei testi più importanti del buddhismo antico, il Milindapañha (Milinda è il nome greco del re). Al re che gli chiede il suo nome, il saggio buddhista risponde di chiamarsi Nagasena, ma precisa che si tratta solo di una convenzione, “perché nessuna persona è presente qui” (Milinda’s Questions, Luzac & Company, London 1969, vol I, p.34). Il re resta sconcertato. Come può essere che Nagasena dica una cosa del genere? Come può essere che lì, di fronte a lui, dica di non esistere? Non è diverso lo sconcerto – lo choc culturale – di un occidentale di oggi quando si avvicina al pensiero buddhista. Fin dalle sue radici greche, la visione del mondo occidentale è fondata su tre cose: la solidità delle cose, assicurata dall’idea di sostanza; la solidità, razionalità, comprensibilità del mondo, assicurata dall’esistenza di Dio; la solidità di noi stessi, che nemmeno la morte può intaccare: l’immortalità dell’anima. A partire dall’età moderna questi tre pilastri dell’Occidente sono stati progressivamente attaccati, fino a sgretolarsi. Il mondo ordinato, solido, strutturato gerarchicamente come un sistema di enti con al centro l’uomo (proprio nel senso di maschio) entra in crisi sotto i colpi congiunti della scienza e del libero pensiero, mentre l’ascesa della borghesia spazza via i rapporti di produzione feudali. La morte di Dio annunciata da Nietzsche è il momento più noto, ma non necessariamente il più significativo, di questa lunga decostruzione. L’eclissi di Dio è un dato sociologico: nelle società occidentali il sacro tradizionale ha ormai un ruolo marginale. Restano saldi invece nel senso comune gli altri due pilastri: la certezza della cosa e la certezza dell’io.[read more] Queste due certezze attacca uno dei libri più coraggiosi e interessanti prodotti dalla filosofia italiana negli ultimi anni: Tratti. Perché gli individui non esistono di Paolo Godani (Ponte alle Grazie, Milano 2020; il libro è uscito prima in edizione francese con il titolo: Traits. Une Métaphysique du singulier). La tesi di Godani, che ripercorre il pensiero occidentale da Aristotele ad Heidegger e Deleuze, ma rilegge anche L’uomo senza qualità di Musil, è quella del sottotitolo: gli individui non esistono. Non esiste tesi più irritante per il senso comune. L’individuo è ciò che ho di fronte a me, lo vedo, lo tocco, posso anche annusarlo: come dire che non esiste? E tuttavia le cose non sono così semplici. Questa realtà individuale, questa cosa o questa persona qui, è mutevole. Posso guardarla, farne esperienza, ma ogni volta sarà in modo diverso. Non ho mai una esperienza assolutamente identica di una realtà individuale. In cosa consiste allora il suo essere individuo? Dobbiamo postulare, in modo esplicito o implicito, che al di sotto di tutte le modificazioni esista qualcosa, un sostrato stabile, e che questo qualcosa sia l’individuo al di là delle[…]

La filosofia e il negativo:
il tempo per essere veri

I momenti più belli dell’anno scolastico sono i primi giorni di giugno, quando il programma è ormai finito e, liberi dall’incombenza delle lezioni, è possibile parlare seduti sull’erba, godendosi il sole e la compagnia. In uno di questi momenti ho provato a fare un bilancio dell’anno con gli studenti di quarta. Una classe che ho preso quest’anno, e con la quale c’è stato qualche problema iniziale dovuto alla sensibile differenza di metodo tra me ed il docente dell’anno precedente. In quest’anno scolastico abbiamo attraversato più di mille anni di filosofia, dalle certezze del pensiero medievale fino alle inquietudini kantiane. Come è andata, dunque?
Dopo qualche complimento di rito viene fuori un aggettivo che, nonostante la bella giornata, mi gela: deprimente. Studiare filosofia è stato deprimente. Poiché so che spesso i ragazzi danno alle parole un significato un po’ diverso da quello corrente, chiedo spiegazioni. E viene fuori che la filosofia è deprimente perché toglie ogni certezza. Non abbiamo assistito solo al crollo della visione del mondo medioevale. Non abbiamo seguito solo Cartesio nel suo dubbio metodico. Ci siamo interrogati anche sulla validità dello stesso cogito cartesiano. Quanto è solida la certezza di noi stessi? Chi siamo davvero? Hume ci ha gettato addosso un bel po’ di domande; con Kant siamo finiti ad interrogarci sulla realtà di ciò che vediamo.
E ci siamo fatti poi mille domande morali.