Il cattolicesimo queer di Michela Murgia

Il cattolicesimo queer di Michela Murgia

Femminista e cattolica, Michela Murgia ha cercato di rovesciare il patriarcato attraverso una reinterpretazione radicale del dogma centrale del cristianesimo: la Trinità. Non “due uomini e un uccello”, come nella tradizione occidentale, ma tre figure asessuate, in una posizione aperta, orizzontale, non gerarchica, come nell’icona di Andrej Rublev. Il cui significato profondo è che l’amore autentico è quello che include il terzo. Una reinterpretazione nella quale tuttavia permane la tendenza cattolica, e violenta, di dire cos’è il vero amore, e dunque come bisogna amare.

L’autoassoluzione della Chiesa in Canada

L’autoassoluzione della Chiesa in Canada

Tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli anni Novanta del secolo scorso il governo canadese ha costretto i bambini appartenenti a famiglie di nativi americani a frequentare un sistema di scuole gestito da diverse Chiese cristiane, l’Indian residential school system. Il compito di queste scuole era quello di far sì che i bambini dimenticassero la loro cultura di origine e venissero formati secondo la cultura e la religione dominante. Questa violenza culturale, già terribile, è tuttavia solo parte della violenza che questi bambini si trovarono a subire. Sequestrati alle famiglie, sottoposti a maltrattamenti ed abusi sessuali, sterilizzati, racchiusi in edifici malsani, tenuti in condizioni igieniche precarie, migliaia di questi bambini - in alcuni periodi addirittura più della metà degli ospiti - hanno perso la vita negli anni in queste scuole più simili a lager che a istituzioni educative. Quelli che sono sopravvissuti hanno trovato, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la forza per denunciare ciò che hanno subito ed avviare le ricerche su quello che appare come un vero genocidio. La Truth and Reconciliation Commission of Canada, nata nel 2007 per accertare la verità e favorire la riconciliazione nazionale, ha chiesto da tempo a papa Francesco di chiedere perdono per il coinvolgimento della Chiesa cattolica. Il viaggio apostolico dei giorni scorsi intendeva venire incontro a questa richiesta. Ma lo ha fatto in modo del tutto insoddisfacente. Sin dai tempi di Giovanni Paolo II la richiesta di perdono papale - quasi ormai un genere letterario - segue uno schema autoassolutorio: una succinta ed eufemistica descrizione della colpa; una lettura della stessa che la riconduce alla ben nota imperfezione della natura umana; una lunga celebrazione della grandezza della Chiesa. Il viaggio apostolico di papa Francesco in Canada non fa eccezione. In Canada il papa ha fatto tre cose. Ha chiesto scusa. Ha sottolineato, con una scelta attenta dei termini, che quello che è accaduto non è opera della Chiesa come istituzione, ma di singoli cattolici. E ha usato strumentalmente i valori, reali o presunti, della comunità nativa canadese come conferma dei valori cattolici. Il punto fondamentale, per i nativi, è la mancanza di ammissione di una responsabilità istituzionale della Chiesa cattolica. In un primo discorso del 25 luglio presso la Chiesa del Sacro Cuore di Edmonton ha fatto ricorso alla parabola della zizzania: E al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che anche nella Chiesa al grano buono si mescola la zizzania. Anche nella Chiesa. E proprio a causa di questa zizzania ho voluto intraprendere questo pellegrinaggio penitenziale, e cominciarlo stamani facendo memoria del male subito dalle popolazioni indigene da parte di tanti cristiani e chiedendone perdono con dolore. Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana. (1) Analizziamo queste parole. Anche nella Chiesa[…]

Fratelli quasi tutti

Fratelli tutti, la nuova enciclica di papa Francesco, dice molte cose belle, buone e giuste. Dice che siamo tutti fratelli, e dobbiamo considerarci e trattarci come tali: e che dunque va condannata la disuguaglianza che constatiamo dolorosamente sia nel nostro Paese che nel mondo. Non ironizzo quando dico che sono cose giuste, anche se leggendola non ho potuto fare a meno di ripensare a quel passo de Il Regno di Dio è in voi di Tolstoj in cui il grande scrittore e pensatore russo – osannato come scrittore, rimosso come pensatore – scrive: “Siamo tutti fratelli, e nondimeno ogni mattina questo fratello e questa sorella fanno per me i servizi che non voglio far io. Siamo tutti fratelli – e nondimeno mi occorrono ogni giorno un sigaro, dello zucchero, uno specchio e altri oggetti alla cui fabbricazione i miei fratelli e le mie sorelle, che sono miei eguali, hanno sacrificato la loro salute; ed io mi servo di questi oggetti, ed anzi li pretendo” (edizione Bocca, Roma 1894, p. 129). E continua con una analisi spietata della miseria della società russa, fondata sull’ipocrisia e lo sfruttamento, con la benedizione di quella Chiesa ortodossa che lo scomunicherà. Ora, sono parole che papa Francesco sottoscriverebbe volentieri. Anzi, più che sottoscriverle, le scriverebbe. E in parte le ha scritte. Ma c’è una differenza essenziale. Il grande scrittore russo cercò – dolorosamente, tragicamente – il passaggio dalla teoria all’azione, la testimonianza, la coerenza tra vita e pensiero. Il papa, fratello di tutti, resta Sua Santità: per quanti tentativi faccia, sarà sempre infinitamente al di qua da quella orizzontalità che consente la vera fratellanza. Sarà padre – Santo padre – ma mai fratello. E la presenza nella società di figure come la sua è il maggior ostacolo alla diffusione di una effettiva cultura della fraternità.[read more] Ma non è di questo che voglio parlare. Mi interessa il tema del dialogo, sul quale Francesco si sofferma nella seconda parte dell’enciclica. “L’autentico dialogo sociale – scrive – presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni e degli interessi legittimi” (§203). È vero: senza questa capacità non c’è dialogo. Ma Francesco è capace di questo rispetto? Nell’enciclica enfatizza la sua convergenza di vedute con quello che chiama il Grande Imam (un altro Padre, non fratello; magari in questo caso Zio: fratello del Padre) Ahmad Al-Tayyeb, noto da noi per alcune dichiarazioni non molto conciliabili con democrazia, civiltà e diritti umani; non mostra invece grande capacità di rispetto verso un punto di vista realmente diverso da quello religioso. Accogliendo pienamente l’eredità di Giovanni Paolo II e di papa Ratzinger, papa Francesco non riesce a vedere nel pensiero laico, ateo, agnostico, relativista, insomma nel pensiero che discute i fondamenti della sua fede, null’altro che una minaccia per la civiltà. Scrive: “Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità” (§244). Cioè: chi non crede in Dio non può[…]

Raca!

Sono finiti i lavori per l'autostrada Ss77 "Val di Chienti" che va da Foligno a Civitanova. E bisogna inaugurarla. Il vescovo di Foligno è già pronto con i ferri del mestiere, quando Renzi lo gela: niente benedizione religiosa. Mi costa davvero molta fatica riconoscere qualche merito a Renzi, ma in Italia quando un politico dice no a un vescovo c'è sempre da aprire una bottiglia di spumante, magari d'annata. Ci resta male, il vescovo - che si chiama Gualtiero Sigismondi - e piagnucola. Lui che con ogni probabilità nella sua vita non ha toccato non dico una zappa, ma una chiave a brugola, ha anche l'improntitudine di parlare del "sudore della fronte di chi l'ha realizzata", l'autostrada, manco fosse stato lì, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto ad asciugarlo, quel sudore. Ma se le parole sconclusionate del vescovo di Foligno fanno sorridere, si ride alla grande leggendo quelle a supporto del vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi. Il quale si lancia in una distinzione tra la visione della benedizione che ha il mondo laicista, "teologicamente ignorante", e quella cattolica, e chiude con: "Che Dio ci salvi dai cretini, in particolare dai cretini che hanno potere".Ora, quale appartenente al mondo laicista, o più banalmente come persona che non appartiene alla setta cristiana, dovrei essere anch'io teologicamente ignorante, ma non lo sono fino al punto di ignorare quel passo del Vangelo secondo Matteo in cui Gesù, o chi per lui, dice:Voi avete udito che fu detto agli antichi: "Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale"; ma io vi dico: "chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto a suo fratello: 'Raca' sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto: 'Pazzo!' sarà condannato alla geenna del fuoco."Raca. E che vuol dire raca? Lo lascio dire a San Girolamo, il traduttore della Vulgata:Hoc verbum proprie Hebraeorum est: RACA enim dicitur κενὸς, id est, inanis aut vacuus: quem nos possumus vulgara iniuria, absque cerebro, nuncupare.In altri termini, raca vuol dire cretino.  Ci sarebbe, a dire il vero, da notare che cretino propriamente deriva da cristiano, ma dubito che il monsignore volesse dare a Renzi del cristiano. Cretino sta proprio per inanis e vacuus. Ora, ci sarebbe da prendere questo monsignore e portarlo al tribunale, giusto per mettere in pratica una volta tanto in Vangelo, ma i giudici hanno già il loro bel da fare: e una risata è più che sufficiente per questo pastore di pecore cristiane e "studioso" che non ha troppa memoria del Vangelo.

Quando la Bibbia insegna l’odio

Meno di un mese fa, il 28 maggio scorso, il parroco di Decimoputzu (Cagliari), don Massimiliano Pusceddu, ha tenuto una omelia che ha fatto e fa discutere. Ecco la sintesi del suo discorso nel titolo del Fatto quotidiano: "'Gli omosessuali meritano la morte'. L'omelia del parroco contro le unioni civili". Parole che indignano: ho letto sui social network commenti di fuoco, e non pochi chiedono che il parroco venga incriminato. Certo, si tratta di hate speech, ed appare ancora meno tollerabile all'indomani della strage di Orlando. Ma c'è un particolare che a molti sfugge: le parole incriminate sono una citazione di San Paolo. Ecco esattamente cosa ha detto il parroco: Noi abbiamo la Parola di Dio, la Bibbia è la Parola di Dio, no? E allora dalla Parola di Dio dobbiamo partire perché non devono essere parole nostre, ma dobbiamo predicare quello che è scritto qui, questa è la Parola del Signore e che noi siamo chiamati a predicare. Allora cosa dice la Parola di Dio? Voglio leggervi solo un passo della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani, perché secondo me questo passo vale più di tante prediche fatte e che si possono fare, ma è un passo molto chiaro per leggere questi tempi che stiamo vivendo oggi, questo passo di San Paolo è un passo profetico. Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani, siamo al capitolo primo, vi leggo direttamente dal versetto 26: "Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami, infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura, similmente anche i maschi lasciando il rapporto naturale per la femmina si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri commettendo atti ignominiosi, maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la persecuzione dovuta al loro cambiamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata, ed essi hanno commesso azioni indegne. Sono colmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia, pieni di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità. Diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore e senza misericordia, e pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa". Si tratta di un passo iniziale della Lettera ai Romani, un testo fondamentale per il cristianesimo, denso di profondità dottrinale e di spiritualità, fonte di ispirazione per i più raffinati teologi (è appena il caso di ricordare L'Epistola ai Romani di Karl Barth, uno dei capolavori della teologia del Novecento). Ma si tratta anche, come si vede dal testo citato dal parroco, di un testo intriso di violenza, in particolare contro i pagani, di cui parla quel passo. Una violenza verbale che, passato qualche tempo e conquistato il potere, diventerà violenza reale. I pagani sono stati perseguitati dai cristiani con una violenza non inferiore a quella subita dagli stessi cristiani; il loro culto è[…]