Sanremo e il monologo impossibile

C’è un monologo che è impossibile, sul palco dell’Ariston, una differenza che non può essere socialmente riconosciuta.

sanremo 2023 monologo chiara francini
Chiara Francini a Sanremo

Qualche giorno fa parlavo, in una delle mie quinte, della globalizzazione. Degli aspetti oscuri della globalizzazione: la finanziarizzazione dell’economia, la delocalizzazione, la precarizzazione, lo sfruttamento globale. E dicevo che se c’è una lotta che identifica la mia generazione, è la lotta contro quella globalizzazione. Una lotta che abbiamo perso a Genova.

E ho chiesto loro quale sia, nella loro percezione, la lotta della loro generazione. Ci hanno pensato un attimo, poi hanno risposto senza tentennamenti: la lotta contro il razzismo e l’omofobia. Una lotta importante, in effetti. Faccio notare che sono stati fatti molti passi avanti. Obiettano che non è abbastanza. Hanno ragione.

Non ho visto Sanremo. Affermazione che equivale oggi ad una dichiarazione di snobismo, che forse riuscirò ad attenuare precisando che ho un figlio di poco più di un anno, e per lo più si arriva a sera con una stanchezza che non si concilia troppo con gli orari di Sanremo. I giornali e i social network hanno avuto però la premura di informarmi su tutto quello che è accaduto a Sanremo. Un cantante ha preso a calci delle rose, in un impeto di rabbia che forse era preparato e forse no; un altro cantante ha baciato sulla bocca, con un certo trasporto, un tale davanti a sua moglie; la moglie di questo tale ha tenuto un monologo durante il quale ha parlato della sua sensazione passata di non essere abbastanza. E non è stata l’unica a tenere un monologo: una campionessa sportiva dalla pelle nera ha parlato della sua condizione di donna che è cresciuta sentendosi diversa, mentre un’attrice ha parlato delle donne che non sono madri.

Questa faccende dei monologhi è affascinante. Penso che se vi fosse una trasmissione in cui persone a caso prese dalla strada raccontano per quindici minuti la loro vita, resisterei alla stanchezza e cercherei di guardarla fino in fondo. Non sono sicuro però che sarebbe una trasmissione di successo. Forse la vita dell’uomo e della donna comuni non interessano a nessuno. O peggio: potrebbero essere deprimenti. Il monologo, in altri termini, è concesso solo a qualcuno. Qualcuno che in qualche modo ce l’ha fatta: e va su un palco a dare questo messaggio. Che sì, la nostra società ha molti limiti, ma in fondo ognuno può farcela.

Resterà fuori dalla scena chi invece no, nonostante i grandi meriti della nostra società, non ce la fa proprio. Di chi non ha solo l’impressione di non essere stato abbastanza in passato, mentre ora ha un floridissimo conto in banca; ma non ce la fa ora.

Quella in cui siamo è una società del riconoscimento. La sua prassi più avanzata è l’ampliamento senza precedenti del ventaglio di possibilità esistenziali apertamente riconosciute dalla società. Non vuol dire che non esistano ancora omofobi, razzisti, abilisti eccetera. Vuol dire che un discorso apertamente omofobo, o razzista, o abilista è ormai socialmente inaccettabile, e queste tristi degenerazioni della nostra umanità prendono vie traverse, costrette in qualche modo a mascherarsi.

C’è qualcosa ancora, tuttavia, che non può essere riconosciuto. C’è un monologo che è impossibile, sul palco dell’Ariston. Ed è, ripeto, il monologo di chi non ce la fa. La povertà, il fallimento attuale, non passato e dunque dialettizzato in una storia di successo, il senso di sconfitta di chi non ha il controllo della propria vita: tutto ciò deve restare fuori scena. La differenziazione delle possibilità esistenziali è perfettamente compatibile con una società dei consumi. Si accorda con la targetizzazione dei consumatori: ad ognuno il suo prodotto. Quello che non si accorda, non può accordarsi con nulla, è la povertà. La condizione di chi non può essere un acquirente e dunque un consumatore, e che come tale è fuori dal più significativo gioco sociale, in una condizione che è equivalente a quella di uno scomunicato in una società religiosa.

Author: Antonio Vigilante

antoniovigilante@autistici.org

One thought on “Sanremo e il monologo impossibile”

  1. come sempre, vabbè: spesso, perfetto, un consiglio, oso: Pasqui, gli irregolari. non leggerlo come se fosse un manifesto, leggilo pensando all’uso che ne fai

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *