Agostino

Agostino era operaio presso una piccola azienda che si occupava di idrocarburi. Il suo padrone – così lo chiamava, così era – era impegnato in politica, per metterla su un piano nobile. Consigliere comunale del Movimento Sociale. Ebbe un brutto quarto d’ora quando a qualcuno venne la bizzarra idea di indagarlo per l’assassinio del direttore dell’Ufficio del Registro, Franco Marcone. Fu scagionato.

Benché il suo padrone fosse benevolo, di soldi non ne arrivano troppi. L’operaio Agostino viveva con la moglie e i tre figli in un basso di trentotto metri quadri in via Maria Grazia Barone. Non ebbe mai la casa popolare, e questa fu forse l’unica fortuna della sua vita.

Al momento di andare in pensione, l’operaio Agostino ebbe l’impressione che il suo benevolo padrone gli avesse dato meno di quello che gli spettava, di liquidazione. Gli fece dunque causa. La perse. Sì impegnò poi in una causa con l’avvocato che aveva perso la causa. E perse anche quella causa. Vincere le cause non era nelle sue corde. Pare che sia un difetto degli operai.

Si è goduto la pensione per qualche anno, l’operaio Agostino, girellando per la città su una vecchia bicicletta Bianchi, facendo il solitario con le carte – spesso imbrogliava – guardando Rete 4 e spaventandosi di tutto. Poi ha avuto un infarto. Poi un tumore alla parotide. Poi un tumore ai polmoni. Poi un tumore al fegato.

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Scuola e violenza culturale

Ho scritto questo articolo, su richiesta, per una rivista che si occupa di educazione. Ho chiesto di non pubblicarlo perché il numero della rivista, dedicato alla pace, sarebbe stato legato alla terza marcia mondiale per la pace e la non violenza. Marcia che non condivido, come non condivido le posizioni della maggio parte dell’area della cosiddetta nonviolenza, per ragioni che ho ampiamente illustrato su questo blog.

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Il cattolicesimo queer di Michela Murgia

Femminista e cattolica, Michela Murgia ha cercato di rovesciare il patriarcato attraverso una reinterpretazione radicale del dogma centrale del cristianesimo: la Trinità. Non “due uomini e un uccello”, come nella tradizione occidentale, ma tre figure asessuate, in una posizione aperta, orizzontale, non gerarchica, come nell’icona di Andrej Rublev. Il cui significato profondo è che l’amore autentico è quello che include il terzo. Una reinterpretazione nella quale tuttavia permane la tendenza cattolica, e violenta, di dire cos’è il vero amore, e dunque come bisogna amare.

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La Progettazione didattica condivisa: valutazione finale

Era un’esperienza nuova per tutti, sia per noi alunni che per il professore, ma devo dire che non mi aspettavo riuscissimo a lavorare così bene. Ci sono stati dei momenti in cui abbiamo rallentato o lavorato meno ma penso che siano legati soprattutto alla nostra inesperienza con una didattica di questo tipo. Complessivamente l’esperienza è stata positiva e sarò contento se la continueremo anche l’anno prossimo. (Dalle risposte anonime al questionario finale.)

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Vogliamo una storia

Non vogliamo essere felici. Vogliamo stare in una storia: individuale, collettiva, cosmica.

Nulla disgusterebbe più di un romanzo i cui protagonisti fossero, dall’inizio alla fine, felici; e così la nostra vita. La felicità arriverà alla fine, dopo mille avventure; e allora il romanzo cesserà. Terminata la storia, i personaggi escono di scena. Se li si riporta in scena, occorre che accadano altre avventure: nell’Odissea di Nikos Kazantzakis Odisseo dovrà rimettersi in viaggio per non morire di noia accanto a Penelope. Vogliamo una storia. La felicità iniziale, poi la caduta, mille sofferenze, l’esilio, la lotta, la conquista, e poi ancora la perdita, e ancora la lotta, e la speranza, e la riconquista, e la vittoria finale, che sarà domani, non oggi – e un domani che non arriva — non deve arrivare mai.

Religione è ridurre il cosmo intero ad una narrazione, sottoporre tutto al potere di una storia. Bereshit è la parola che apre la prospettiva di senso della religione, che è sempre una prospettiva narrativa. E poiché all’altro capo c’è la liberazione finale, ogni religione è minacciata dal non senso: perché non c’è nulla che spaventi di più di una felicità priva di storia. Il Paradiso è anche peggio della morte. Il Paradiso è la dimensione nella quale appare il non senso di Dio stesso, in cui riaffiora la domanda che in realtà nemmeno la storia può tacitare: perché? Ecco, ora siamo ricondotti a Dio, ora siamo con Dio leholam. Ma: perché? Perché è Dio e non piuttosto il nulla? Cos’è questo Dio di diverso dall’essere stesso, da questo enigma per sfuggire al quale ci gettiamo nella storia?

La nostra visione del mondo è, oggi, astorica. Il cosmo che ci mostra la scienza non è riducibile a nessuna narrazione. Di qui l’importanza delle filosofie che fin dall’antichità hanno indicato la via di abitare il mondo, piuttosto che ridurlo a una narrazione: le filosofie ellenistiche, Lucrezio, Spinoza ecc. Ma sono filosofie della felicità: e noi non vogliamo essere felici.

Picchiare i fascisti

Durante il fascismo Aldo Capitini perse il posto di segretario alla Normale di Pisa e finì in galera, alle Murate di Firenze, in quanto teorico, insieme a Guido Calogero, del Movimento liberalsocialista. Dopo la fine del fascismo gli capitò, in corso Vannucci nella sua Perugia, di assistere a questa scena: dei poliziotti portavano in Questura un picchiatore fascista, dei più feroci; e degli antifascisti gli si gettarono addosso, lo isolarono e lo picchiarono. E non rimase a guardare, ma intervenne per pregare gli antifascisti di smetterla. Il risultato fu che venne preso lui stesso per fascista e ricevette la sua porzione di percosse.

Ha raccontato l’episodio – che oggi fa tenerezza, ma che fu doloroso (“sebbene non fu ricoverato in ospedale, stette male e stette anche molto a disagio”) – Francesco Innamorati al convegno di Perugia dell’11-12 ottobre del 2019 (si vedano ora gli atti: Aldo Capitini compresente: ripartendo dai suoi temi, a cura di Giuseppe Moscati, Ledizioni, Milano 2023).

Pur senza aver preso mazzate, devo ammettere che qualche disagio l’ho provato anch’io sentendo le affermazioni di Christian Raimo sulla necessità di picchiare i neonazisti. Conoscendo Raimo, sono assolutamente certo che si tratta di una uscita infelice che non rappresenta realmente il suo pensiero.

Poiché si parlava di Ilaria Salis, bisogna ricordare alle persone di destra che ora useranno in modo strumentale quelle parole – e lo faranno anche, naturalmente, per attaccare Raimo in quanto docente – che mentre Salis è in Ungheria in condizioni di detenzione durissime, portata in tribunale con i ferri ai polsi come una pericolosissima criminale, e rischia fino a undici anni di carcere, in Italia Gianluca Iannone è stato condannato a soli quattro anni di reclusione per aver picchiato un carabiniere: cosa che non gli ha impedito e non gli impedisce di godere tutte le libertà democratiche, compresa quella di essere il leader di CasaPound, il movimento dei “fascisti del terzo millennio”, e di candidarsi alle elezioni.