L’educazione popolare

Vediamo dunque come opera l’educazione popolare. Non ha, intanto, gli spazi della scuola. Può anche farli propri, ma trasformandoli in modo decisivo. Barbiana, di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo, ha una sala per lo studio, con tutt’intorno una piccola biblioteca, ma ha anche – cosa inaudita per la scuola – un’officina e una piscina. Non ha poi la struttura relazionale della scuola. Può permanere la figura dell’insegnante, del maestro o del professore, e può essere perfino rivendicata la sua autorità (nel caso di Freire, come abbiamo visto, è una autorità funzionale), ma la relazione è umana, non burocratica. Nessun conflitto, in una situazione di educazione popolare, può essere risolto con una nota sul registro. Quando l’operaio lo contesta, Freire non può far altro che riflettere su quella contestazione. Una situazione di educazione popolare è fondata sul riconoscimento reciproco. L’educatore può svolgere il suo compito perché è riconosciuto dagli studenti, che siano bambini, adolescenti e adulti. Ma può educare solo se a sua volta riconosce pienamente, e non retoricamente, i bambini, gli adolescenti e gli adulti con cui sta lavorando: solo se è disposto a lasciarsi educare da loro. Questo vuol dire che l’educazione popolare non opera per sostituzione, come fa la scuola, ma per dialettica. Non c’è un mondo culturale (quello orale contadino o quello del sottoproletariato urbano) da cancellare, sostituendolo con il mondo della cultura, quello che passa attraverso la scrittura e i libri. C’è invece il confronto tra due mondi, tra i quali l’educatore è chiamato a fare da mediatore, da asse, da punto di giunzione. E se il suo lavoro è efficace, il risultato sarà un superamento dialettico di entrambe le culture, una cultura nuova che non appartiene a nessun mondo sociale e culturale dato, e per questo è capace di novità.

Da Senza cattedra. Per un’altra scuola, in preparazione.

Controindicazioni Nazionali

Le oscene nuove Indicazioni Nazionali stanno suscitando uno sdegno unanime da parte di chi ha a cuore la scuola democratica, ossia la scuola tout court. Su “Educazione Aperta” siamo intervenuti, fino ad ora, con tre articoli: uno mio (Fare il vuoto. La pedagogia delle nuove Indicazioni Nazionali), uno di Paolo Vittoria (Fantasy o Horror? L’insegnamento della storia “Made in Italy” nelle nuove Indicazioni Nazionali) e uno di Michela Fregona (Indicazioni Nazionali: la scuola come volontà e rappresentazione). A dimostrazione che dal male viene spesso qualcosa di buono, quel documento disastroso ci sta ricordando un po’ di cose importanti che forse avevamo dimenticato e perso per strada. E sarebbe davvero bello se, oltre la polemica, si riuscisse a buttar giù delle Controindicazioni Nazionali: per dirci quale è la scuola che vogliamo davvero e quale la scuola che non vogliamo più fare.

I nomi degli altri

Dopo aver insultato (in Insegnare l’Italia, scritto con Loredana Perla), gli autori delle attuali Indicazioni Nazionali, dando loro degli “scervellati”, Ernesto Galli della Loggia riesce a ricorrere al più classico vittimismo quale risposta alle dure, e giustificatissime, critiche fatte al lavoro svolto da lui ed altri per le nuove Indicazioni Nazionali, nelle quali si legge, tra l’altro, che “Solo l’Occidente conosce la Storia”.

“In Italia è rarissimo che si possa discutere nel merito: meglio denigrare l’interlocutore. Parlo per esperienza personale”, scrive sulle colonne del Corriere della Sera. Un’affermazione peraltro in gran parte vera ma anche grazie a, e per colpa di, persone come Galli della Loggia. Che precisa di non aver mai voluto dire che solo l’Occidente ha creato storia, e si offende perché pensarlo vuol dire, evidentemente, considerarlo un idiota. Intendeva invece dire, spiega, che solo in Occidente s’è creata “una dimensione culturale particolarissima nella quale il realismo analitico più crudo si è mischiato al profetismo sociale più estremo”. Il che significa che solo in Occidente è nato il senso occidentale della storia: che è una tesi che si potrebbe commentare con una colorita esclamazione in romanesco che risparmio al lettore.

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Mastrojanni chiede di parlare

Sto studiando gli atti della Costituente, per approfondire la visione che i Padri e le (poche) Madri costituenti avevano della scuola. Importante è la seduta di giovedì 13 marzo del ’47, sulla disposizioni generali. Seduta che comincia con una dichiarazione di Ottavio Mastrojanni, esponente siciliano del Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque, che ho riletto non meno di cinque volte, nel tentativo vano di capirci qualcosa; alla sesta lettura m’è scappato da ridere.

Ieri l’onorevole Ruini, durante la sua analitica relazione sulle critiche al progetto di Costituzione avevano apportato i vari oratori, mi ha attribuito il fatto di avere elogiato la Costituzione, e anzi l’onorevole Ruini ha riportato testualmente alcune parole che io avevo premesso in senso elogiativo. Egli infatti ha detto che io avrei, elogiando la Costituzione, rilevato che essa è coerente, che ha uno stile impeccabile e altri attributi che in questo momento mi sfuggono. Desidero precisare che è vero che ho rilevato nel progetto di Costituzione uno stile coerente, e ho rilevato che esso non è il risultato di compromesso, ma ho rilevato altresì che è la elaborazione meditata di un programma particolaristico e che in questo stile e in questa coerenza identificavo gli obiettivi particolaristici che la Costituzione si è prefissa di raggiungere, finalizzando le libertà e subordinando le stesse alla realizzazione dei fini economici e sociali che costituiscono la parte essenziale della Costituzione.
Questo intendevo dire perché non abbia a presumersi che abbia voluto elogiare la Costituzione per elogiarla.

Ho dormito tre ore questa notte

Ho dormito tre ore questa notte
fors’anche meno alle cinque ero sveglio
e il seguito non so se sonno o veglia
un breve sonno pieno di ricordi
più che di sogni o almeno così pare
all’ora convenuta ho messo su
il mio-me la mia faccia la mia storia
ed ho ricominciato tutto quanto.
Cerc’ora di comprendere il qualcosa
che fa di me un essere vivente
e non una struttura di pneumatici
un non troppo simpatico bibendum
un povero attorello sussiegoso
che si dimena sopra un palcoscenico
con quel che segue. Sento dentro il vuoto
e questa è proprio una frase del cazzo
ci si aspetta ben altro da un poeta
sia pure un poetucolo di quelli
che vanno ai concorsucoli poetici
di Maiolati Spontini o Rocchetta
Sant’Antonio; sto male, tutto qui
ed è cosa che sempre mi stupisce:
posso dire che sto in qualche modo
senza che questo mi distrugga? Posso
essere in qualche modo senza essere
un nulla? Posso sfuggire al mio vuoto?
Perché sono e non sono, mi trascina
la tristezza, mi svuota la mancanza
mi fa sorridere il sole sui colli
mi dà pace il pensiero della morte:
quando avrò consistenza nel non essere.
Vivo come uno strazio la presenza
di me a me stesso, l’accadermi, il nome
l’identità, la storia, the conundrum
il tohu wa bohu che mi trattiene
come un criceto nella sua gabbietta.

(22 luglio 2023.)