
Siamo stati domenica con Ermes all’acquario di Livorno. Non ero mai stato in un acquario: mi ha sempre trattenuto il disgusto per quella vita così contenuta, così al servizio del nostro sguardo. Ma è prevalsa la tentazione di mostrare a nostro figlio forme di vita che ha incontrato solo nei libri cartonati per la prima infanzia.
L’attrazione principale dell’acquario è una grande vasca con squali e tartarughe giganti, ma Ermes è stato attratto, più di ogni altra cosa, da una piccola vasca che conteneva, chissà perché, alcuni guanti bianchi gonfiati e sospesi nell’azzurro dell’acqua. Io invece ho osservato a lungo la piccola vasca accanto: quella delle meduse.
Mi sono sembrate, le meduse, semplicemente perfette. E belle. Di una bellezza molto contemporanea, d’avanguardia perfino. Mi chiedo, da domenica, cos’è l’essere di una medusa. Com’è essere una medusa. Nessuno può saperlo, ma se volessimo avanzare un’analisi à la von Uexküll, potremmo dire che una medusa semplicemente è. Aderisce, per così dire, all’essere. Fa tutto ciò che occorre per mantenersi viva, e lo fa con grande efficacia – riuscendo perfino, nel caso della Turritopsis nutricula, a toccare l’immortalità.
A noi manca questa adesione piena. Se la medusa è, l’essere umano _ è. C’è un distacco dall’essere dovuto alla presenza dell’io. Con una formula, potremmo dire che la nostra esperienza è essere(io)[?essere]
, dove per essere
si intende l’essere puro, quale si manifesta alla medusa, mentre [?essere]
è l’essere quale appare a un io: ossia l’essere problematico, l’essere di cui occorre trovare la ragione.
Detto altrimenti: l’uomo è l’ente cui l’essere, a causa dell’io, si manifesta sotto forma di assurdo.
(La foto è mia.)