L’importanza di essere ignoranti

L0027331 MS Indic 37, Isa upanisad. Credit: Wellcome Library, London. Creative Commons Attribution only licence CC BY 4.0

Quand’ero adolescente raggiunsi la Conoscenza. Bastano poche parole per dirla. Noi non siamo il nostro io e la nostra mente, così come non siamo il nostro corpo. C’è un fondo, un al di là di quello che crediamo di essere, che è la nostra natura autentica. Attingere questo al di là è lo scopo della vita. E questo al di là è, al tempo stesso, il fondo dell’essere, che potremmo chiamare Dio. E questo fondo è Uno. La profonda unità di tutto. Limai una medaglietta, vi scrissi “Tutto è uno” e me la misi al collo. Non avevo altro da sapere.

Giunsi a questa Conoscenza dopo aver letto un po’ di testi di filosofia indiana. Stabilirmi, almeno con l’immaginazione, in questo altrove da me mi dava un senso di liberazione che rendeva quasi tollerabile il tempo sprecato a vegetare tra i banchi. Ma, anche, mi isolava terribilmente. Perché io ero quello che sapeva, gli altri vagavano nell’ignoranza. Mi rese, insomma, insopportabilmente arrogante.

Verso i diciassette anni mi accorsi di questa arroganza e me ne liberai, ricominciando tutto da capo. Lasciai perdere la Conoscenza, cercando piuttosto le conoscenze.

Mi è capitato sottomano, ora, uno dei testi che lessi in quel periodo adolescenziale: la Īṣa Upaniṣad, che ho riletto con il commento di Sri Aurobindo, la cui Guida allo Yoga fu per me fondamentale in quel periodo. E rileggendolo mi ha sorpreso una cosa che allora dev’essermi sfuggita. O che semplicemente non ero abbastanza maturo per comprendere. Eccola:

अन्धन्तमः प्रविशन्ति येऽविद्यामुपासते ।
ततो भूय इव ते तमोय उ विद्यायां रताः ॥ ९ ॥

Aurobindo traduce:

In cieche tenebre entrano coloro che seguono il cammino dell’ignoranza, e in tenebre se possibile ancora più fitte coloro che si dedicano alla conoscenza soltanto. (Sri Aurobindo, Īṣa Upaniṣad, Astrolabio, Roma 2011, p. 55.)

È un testo ben strano. Che vuol dire che coloro che si dedicano alla conoscenza sono in tenebre anche peggiori di quelli che sono ignoranti?

Chi conosce la realtà dal punto di vista spirituale – secondo la spiritualità upanisadica, s’intende – apprende che, appunto, tutto è Uno. Ma in questo Uno che ne è della molteplicità del mondo? Non è una domanda astratta. Si tratta di decidere delle vite dei singoli, dei destini, delle sofferenze.

Ho discusso qui alcune posizioni mistiche o nondualistiche di fronte alla guerra in Ucraina. Posizioni per le quali distinguere, ora, un aggressore da un aggredito vuol dire restare prigionieri di una visione dualistica della realtà. Nel fondo di tutto c’è solo l’Uno, e nell’Uno non ci sono aggressori e vittime. Putin continua a massacrare gli ucraini e a deportare i loro bambini, mentre i nostri mistici provano il brivido della loro unione con l’Uno.

Questa è l’ignoranza nera di chi non segue che la conoscenza. Vale a dire: di chi pensa che l’Uno annulli il molteplice. È, in fondo, la critica di Hegel a Schelling. La prospettiva nonduale dei nostri mistici nonviolenti annulla qualsiasi volto. Lo fa teoricamente, spiritualmente, mentre il fascismo russo si occupa di farlo fisicamente. Sono due forme di barbarie che si pretendono spirituali.

Author: Antonio Vigilante

antoniovigilante@autistici.org