L’audacia e il coraggio

I miei studenti di terza si sono classificati secondi alla finale nazionale del torneo “Dire e contraddire” del Consiglio Nazionale Forense. Un torneo di Debate nel quale si trattava di sostenere una tesi contro l’avversario, indipendentemente dal fatto di ritenerla vera o falsa.

Ho scritto qui cosa penso del Debate, e non tornerò sul tema. Qualcosa voglio dire, però, sul tema di discussione della finale. Si trattava di essere a favore o contrari riguardo alla seguente affermazione di Nelson Mandela:

L’uomo audace non è colui che non ha paura, ma quello che vince la paura.

Ai miei studenti toccava il compito ingrato di essere contrari a questa affermazione. Ingrato, perché è ben evidente che la paura è una cosa negativa, una passione triste, e che vincerla è gran cosa. E c’è tutto un esercito di grandi uomini e di grandi donne da chiamare come testimoni: lo stesso Mandela, Falcone e Borsellino, Franca Viola: eccetera.

Siamo tutti d’accordo che vincere la paura sia una gran cosa. Ma l’audacia? Bisogna vincere la paura nella direzione dell’audacia? Cos’è l’audacia? Audere è compiere un’azione azzardata, con una sfumatura di tracotanza, di hybris. È un termine che appartiene al linguaggio militare; anzi: alla retorica militare. Memento audere sempre è motto dannunziano, e l’acronimo era un omaggio al motoscafo armato silurante (MAS). È con la retorica dell’audacia, dell’osare, dell’impresa azzardata ma eroica che da secoli si mandano i soldati a morire in nome di una causa più grande. E certo, bisogna vincere la paura. Dove non arriva la retorica, funzionano le droghe, di cui s’è fatto largo uso durante la seconda guerra mondiale.

L’audace ha vinto la paura? In sé, forse. Ma non ha vinto la paura negli altri. Non vince né combatte la paura come condizione esistenziale. Al contrario: l’audace vuole la paura. Non in sé, ma negli altri. In quanto virtù militare, l’audacia è finalizzata a trasmettere paura agli altri. Nel mondo dannunziano, cioè fascista, la paura dilaga incontrollata e diventa il principale strumento di potere. L’audacia crea un mondo intero fondato sulla paura.

E Mandela allora? E Falcone e Borsellino? E Franca Viola? Non erano audaci? No, non lo erano.

È interessante leggere la citazione di Mandela nella sua versione originale:

I learned that courage was not the absence of fear, but the triumph over it. The brave man is not he who does not feel afraid, but he who conquers that fear.

Il Consiglio Nazionale Forense ha dunque tradotto brave con audace. Ma c’è da dubitare della correttezza della traduzione. Brave è piuttosto coraggioso. Audacia e coraggio sono due cose diverse. Coraggio viene da cor, cuore. La persona coraggiosa agisce partendo dal cuore. Cerca dentro di sé, nell’intimo, la forza per affrontare la paura. E nell’azione che scaturisce da questo farsi centro, per dirla con Capitini, non c’è alcuna tracotanza, alcuna hybris. Audace è un’azione che non ha alcun rapporto con il cuore, e che anzi è tanto più efficace quanto meno la persona si raccoglie in sé. L’audacia richiede il cameratismo e il contagio emotivo; rifugge la solitudine e la riflessone. L’azione audace mira a stabilire un dominio, creando paura nell’altro. Coraggiosa è invece un’azione (o una vita) che lotta per stabilire o ristabilire la giustizia. La persona coraggiosa vince la paura in sé, ma supera anche la paura in generale. Non vuole incutere paura all’altro, ma cerca un mondo in cui non ci sia più paura per nessuno. L’audacia è una virtù militare. Il coraggio è una virtù civile.

Author: Antonio Vigilante

antoniovigilante@autistici.org