La scuola è antifascista?

“La scuola è antifascista”, certo. Ma orienta le donne verso alcuni indirizzi e i poveri verso altri, e ritiene che alcuni saperi siano più importanti di altri. E questa è l’eredità del fascismo.

Qualche settimana fa in una mia classe abbiamo fatto un seminario sulla libertà. Cos’è la libertà? Cosa vuol dire essere liberi? Abbiamo cominciato con molte certezze, ci siamo lasciati con tanti dubbi. La libertà di movimento, ad esempio, è una libertà fondamentale, e non si può considerare libera una persona cui sia negata. Ma in un regime chi è più libero, chi ha libertà di movimento perché si adegua o chi finisce in galera perché combatte il regime? Chi era più libero, Gramsci in carcere o uno dei tanti italiani che avevano la tessera del PNF per necessità familiare? È una domanda retorica. Meno retorica è un’altra domanda. La libertà di fare del male è o non è una libertà? Va difesa? Sì può negare la libertà per garantire la sicurezza? Ma poi, alla fine, siamo in grado di dare davvero una definizione di libertà?

Quelli della mia generazione hanno assistito alla progressiva appropriazione della libertà da parte della destra. Abbiamo protestato contro il Popolo della Libertà berlusconiano, abbiamo gridato che no, la libertà è un’altra cosa, ma non siamo riusciti a impedire che essa diventasse un valore ambiguo, trasversale ed evanescente. Un guscio vuoto, ormai. La pandemia ha fatto il resto: quel guscio si è riempito di ignoranza, complottismo, comportamenti antisociali, rivendicazioni deliranti. Non sorprende, dopo queste peripezie, lo striscione “La scuola non è antifascista, è libera” ostentato dai militanti del Blocco Studentesco davanti al Liceo Tito Livio di Padova. Dopo Berlusconi, dopo i no-vax, chi vorrà impedire ai fascisti di mettere le loro mani sulla libertà?

Quello striscione però è falso. La scuola italiana non è libera. Di tutti i posti che frequento, la scuola è quello meno libero, in qualunque modo si consideri la libertà. Si dirà che “La scuola è libera” non è un giudizio di fatto, ma di valore. Non indica cioè, quello che la scuola è, ma quello che la scuola dev’essere. E mi piacerebbe dire che sì, la scuola dev’essere senz’altro libera, ma non mi sentirei a mio agio. Sia perché libertà vuol dire tante cose, sia perché mi riesce davvero difficile credere che la scuola italiana, quella che ho conosciuto da docente è quella che vivo e soffro da docente, possa mai essere libera.

Lo stesso disagio, a dire il vero, mi provoca lo slogan “La scuola è antifascista”. La scuola italiana, che non è libera, non è nemmeno antifascista. E non lo è perché la sua struttura, la sua ossatura, la sua anima è ancora quella disegnata, progettata, voluta dal fascismo con la Riforma Gentile, la più fascista delle riforme. Una riforma diabolica, in senso etimologico: una concezione della scuola basata sulla separazione sociale. Di qui alcuni, di là altri.

Che la scuola italiana abbia questo dispositivo diabolico nella sua struttura lo constato ogni giorno, entrando nelle mie classe. Nelle quali trovo quasi solo ragazze. In alcune classi uno o due ragazzi, in qualche altra un po’ di più — a volte perfino cinque — ma sempre in assoluta minoranza. Insegno in un Liceo delle Scienze Umane e in un Liceo Economico-Sociale. Scuole che derivano dal vecchio Magistrale. E il Magistrale era la scuola pensata dal fascismo per le donne. Che dovranno fare le maestre, perché la cura dei bimbi è cosa femminile, e dunque un po’ di sapere occorre che lo abbiano; ma attenzione, non troppo sapere. Niente greco, non sia mai. E decurtiamolo di un anno, per marcare per bene la differenza con il Classico.

Sono passati decenni, il Liceo delle Scienze Umane e soprattutto il Liceo Economico-Sociale hanno poco a che vedere con il vecchio Magistrale, eppure il meccanismo diabolico funziona ancora. Quella prima separazione opera ancora in modo efficacissimo. Ed è una separazione fascista. Se non ci credete, (ri)leggetevi Le tre ghinee di Virginia Woolf.

Una seconda separazione è quella tra il sapere umanistico e il sapere tecnico-scientifico. Una separazione che non ha nulla di umanistico o di classico: nel mondo greco-romano il sapere letterario, quello filosofico, quello artistico e quello scientifico-matematico costituivano un continuum, senza alcuna separazione. E sì, anche questa separazione è fascista. Sono fasciste le pratiche di orientamento che vietano il Classico a tutti quegli studenti che, pur portati per le discipline che vi si insegnano, non brillano negli studi. L’idea che possa e debba esistere una scuola d’élite, verso la quale orientare gli studenti più capaci, è fascista, così come è fascista operare una gerarchia nei saperi, dando maggiore dignità ad alcuni e squalificando altri.

La terza separazione è quella, conseguente, tra scuole frequentate dalla buona borghesia, scuole frequentate dalla classe media e scuole frequentate dai poveri. Per questi ultimi naturalmente esistono gli istituti professionali e le scuole tecniche.

Dietro queste tre separazioni c’è una visione gerarchica della società, che è l’essenza stessa del fascismo. Perché il fascismo questo è: gerarchia. Pensare la società in modo gerarchico vuol dire essere fascisti. Pensare un sistema scolastico in modo gerarchico vuol dire, che se ne sia consapevoli o meno, fare una scuola fascista. Pensare i saperi in modo gerarchico — programmare in Python è esattamente formativo quanto studiare il greco: fatevene una ragione — è fare una scuola fascista. Avviare le ragazze verso alcune professione e i ragazzi verso altre — e casualmente le prime offriranno un minore status sociale — vuol dire fare una scuola fascista.

Separare, segregare, gerarchizzare: questa è lo scheletro del fascismo. Sul quale cresce un corpo fatto di nazionalismo, culto del popolo, retorica e stronzate religiose. Nella scuola di oggi — e vorrei dire: nella società di oggi, ma questo è un altro discorso — lo scheletro resta più o meno intatto. Il posto del nazionalismo, della retorica e delle stronzate religiose è stato preso da buoni principi: sullo scheletro fascista si ammassa un corpo che si pretende inclusivo e democratico. Ma lo scheletro resta lì. E poiché la scuola italiana è vecchia, le capita quello che capita a tutti i vecchi: le ossa scricchiolano, fanno male: si fanno sentire.

La scuola dunque no, non è antifascista. Se dicessi che è fascista mancherei di rispetto ai tanti docenti che quotidianamente provano a portare nelle nostre classi i cari valori della classe media educata e civile. Non è né fascista né antifascista, la scuola italiana. Come non è tante altre cose.

Foto di Studio Blackthorns su Unsplash

Author: Antonio Vigilante

antoniovigilante@autistici.org