Trump è mafioso?

Di che natura è il potere di Trump? Di che natura è il nuovo potere del secondo mandato di Trump? Una domanda simile sarebbe evidentemente prematura a poche settimane dall’insediamento, ma Trump ha mandato con una rapidità che disorienta all’America e al mondo intero un messaggio tanto chiaro quanto inquietante. L’impressione è che a questo scopo servisse anche lo show – difficile definirlo diversamente – con Zelensky. Umiliare e minacciare in mondovisione il rappresentante di un Paese invaso non serviva solo a chiarire in modo particolarmente rozzo, facendo a pezzi ogni protocollo diplomatico, la sua posizione sul conflitto in corso, ma anche a presentare al mondo il suo stile di governo. Uno stile che a molti è sembrato mafioso. Ed è difficile negarlo, riguardando le immagini di quell’incontro, considerando i contenuti, ma anche il tono e perfino la prossemica. Trump si è posto indubbiamente come un boss mafioso.

Donald Trump is turning America into a mafia state è il titolo di un editoriale di Jonathan Freedland su “The Guardian” di ieri. Trump, nell’analisi di Freidland, è un corleonese della politica, che considera gli altri Stati come cosche rivali da intimidire e ridurre all’obbedienza. Così l’Ucraina, così il Canada. Mafiosi sono anche l’ossessione per il rispetto, richiesto grottescamente a Zelensky nell’incontro allo Studio Ovale, e l’umiliazione dei subordinati come Marco Rubio, che di Trump è stato a lungo un avversario e ora di trova a dipendere da lui. Dopo aver ricordato che i giudici federali stanno ricevendo a casa pizze anonime, una forma di intimidazione (“sappiamo dove abiti”) in purissimo stile mafioso, Freidland conclude con durezza: “Queste sono persone spregevoli, prive persino della moralità del teppista, e ora governano il paese che abbiamo considerato il nostro migliore amico sin dall’epoca edoardiana”. Leggi tutto “Trump è mafioso?”

Salwan Momika

A dicembre ho scritto un articolo su Taleb Al Abdulmohse, il non credente saudita autore dell’attentato di Madgeburgo. Nell’articolo parlavo anche di Salwan Momika, il non credente iracheno rifugiato in Svezia che aveva espresso la sua critica dell’Islam bruciando pubblicamente il Corano. In un post su X Momika denunciava il rischio di essere estradato in Iraq, dove lo attendeva la condanna a morte. Non ve n’è stato bisogno: Momika è stato ucciso ieri l’altro nel suo appartamento nel quartiere di Hovsjö. Il suo atto di bruciare pubblicamente il Corano intendeva richiamare l’attenzione pubblica sulla gravi persecuzioni che subiscono i non credenti nei paesi islamici, dove spesso rischiano la condanna a morte. Ma era politicamente scorretto, perché la priorità è difendere l’identità culturale delle comunità, identificata con la religione. Momika è stato lasciato solo da tutti. La sua morte era solo questione di tempo.

Una città pornografica

Malena ha pubblicato un libro – Pura. Il sesso come liberazione (Mondadori) – in cui racconta il percorso umano che l’ha portata da un piccolo paesino pugliese alla ribalta nazionale come pornostar. Il fatto che sia stata invitata a presentarlo a Manfredonia durante la prima edizione di un premio letterario ha suscitato reazioni sdegnate in quel paese cattolicissimo, tra le quali risaltano in particolare quelle del filosofo cattolico Michele Illiceto, che in un intervento dal titolo “Manfredonia, una città pornografica?” tra l’altro scrive:

E prego l’Amministrazione comunale di essere almeno coerente e onesta con se stessa. Il 31 agosto non andate dietro al sacro quadro della Madonna di Siponto, tutta pura e casta, e la cui purezza è tutt’altro rispetto a quella proposta dalla pornostar Malena.

In un intervento successivo Illiceto torna sulla ragioni filosofiche della sua dura presa di posizione, rispondendo alle obiezioni di un suo ex-studente. E lo fa ricorrendo a Kant, che per una curiosa svista definisce “agnostico”, e la cui etica considera pienamente laica. La questione dunque è: il modello di sessualità libera proposto da Malena nel suo libro è universalizzabile? La risposta per Illiceto è scontata: no. Perché? Se la risposta fosse sì, afferma, “allora, perché non insegnarla a scuola come materia di educazione sessuale, convinti che il sesso pornografico sia una forma di liberazione da tutti i tabù e i divieti.” Leggi tutto “Una città pornografica”

Bruciare i libri sacri

Papa Francesco si è detto disgustato per il rogo del Corano, avvenuto qualche giorno fa davanti alla principale moschea di Stoccolma durante una manifestazione autorizzata. “Qualsiasi libro considerato sacro dai suoi autori deve essere rispettato per rispetto dei suoi credenti, e la libertà di espressione non deve mai essere usata come scusa per disprezzare gli altri, e permettere questo va rifiutato e condannato”, ha dichiarato.

Consideriamo le due affermazioni. Partiamo dalla seconda: la libertà di espressione non deve mai essere usata come una scusa per disprezzare gli altri? Potrei essere d’accordo, ma non sono sicuro che papa Francesco abbia il diritto di fare una simile affermazione. L’istituzione di cui è il capo gode della massima libertà d’espressione, che usa per offendere e disprezzare una molteplicità di soggetti. Io convivo da tredici anni con una donna, che è anche la madre di mio figlio. Di noi il Catechismo della Chiesa di cui papa Francesco è capo dice quanto segue (par. 2390):

Si ha una libera unione quando l’uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l’intimità sessuale. L’espressione è fallace: che senso può avere una unione in cui le persone non si impegnano l’una nei confronti dell’altra, e manifestano in tal modo una mancanza di fiducia nell’altro, in se stessi o nell’avvenire? L’espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine. Tutte queste situazioni costituiscono un’offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l’idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l’atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale.

Dunque per quest’uomo e l’istituzione che rappresenta io e la mia compagna siamo ancora, nel 2023, concubini (nel 1956 i coniugi Bellandi denunciarono il vescovo di Prato per averli definiti “pubblici peccatori e concubini”, dal momento che si erano sposati solo in Comune; il vescovo fu assolto), peccatori gravi, contrari alla legge morale. Non solo, per la Chiesa di cui papa Francesco è capo non costituiamo una vera famiglia e non abbiamo fiducia l’uno nell’altra e la nostra vita insieme rappresenta perfino una offesa alla famiglia. Non occorre sottolineare quanto tutto ciò sia offensivo e calunnioso. Ma non pretendo che la Chiesa cancelli questa parole. Credo nella libertà di espressione, con pochissimi limiti (razzismo, apologia del fascismo e poco altro).

Veniamo alla prima affermazione. Qualsiasi libro considerato sacro deve essere rispettato per rispetto dei suoi credenti. Questo vuol dire che i libri non sono tutti uguali e non sono tutti ugualmente degni di rispetto. I dialoghi di Platone, ad esempio, contano meno della Bibbia, perché non sono religiosi ed hanno solo lettori, non credenti. Il valore di un libro non è dato dal suo contenuto, ma dal suo status religioso. Ma questo vuol dire in generale attribuire all’esperienza religiosa un valore e un diritto al rispetto superiori riguardo ad altre esperienze. Se si considera giusta questa affermazione un credente potrà bruciare le opere di Voltaire o di Meslier (o magari di Onfray), mentre un non credente non potrà bruciare la Bibbia; perché le opere dell’ateismo e del libero pensiero hanno solo lettori, mentre i testi sacri hanno credenti. Leggi tutto “Bruciare i libri sacri”

Siena e i fronteggiamenti

Non ho mai amato andare dal barbiere. Vuol dire stare davanti a uno specchio per molto tempo, e per me gli specchi sono una tortura. Da ragazzino attenuavo l’ansia andando da Franco, il barbiere all’angolo, che era quasi uno di famiglia. E quasi uno di famiglia era Adolfo, il suo garzone di bottega. Abitava proprio di fronte a casa mia ed eravamo cresciuti insieme.

Adolfo è morto a vent’anni. La sua fidanzatina gli riferì un giorno che un tale l’aveva infastidita. Lui fissò un appuntamento con il tale e, come chiedeva la cultura del luogo, si presero a botte. Fu colpito da un pugno in un occhio. Perse i sensi. Morì qualche ora dopo in ospedale. Per quello che ne so sua madre – sono passati decenni – veste ancora di nero.

A Siena una sentenza che i giornali definiscono storica ha assolto ventisette contradaioli per la rissa in piazza alla fine del Palio di agosto del 2015; altri tre contradaioli sono stati condannati a multe dai seicento euro in giù. Non è possibile conoscere la motivazione della sentenza, che sarà depositata tra novanta giorni. Ma intanto i senesi – o meglio: i contradaioli – esultano. Sicuri che quella sentenza avalli il loro teorema: quelle in piazza durante il palio non sono volgari risse, ma nobilissimi fronteggiamenti, che fanno parte della cultura e dell’identità senese, e che come tali sono incensurabili; e processare dei contradaioli che si picchiano vuol dire, pertanto, attaccare Siena. Leggi tutto “Siena e i fronteggiamenti”

La violenza delle radici

Michele Illiceto è intervenuto sull’Attacco del 17 settembre sul mio Dio è falso. Di seguito la mia replica, pubblicata sempre sull’Attacco il 22 settembre, con il titolo Perché Dio è falso.

Sono grato a Michele Illiceto per la sua lunga lettura del mio Dio è falso sull’Attacco di sabato 17 settembre. Sono abbastanza felice che sia riuscito a resistere alla tentazione di convertirsi all’ateismo, come scrive: perché l’obiettivo di quel libro non è quello di convertire chicchessia all’ateismo. In genere gli atei non fanno proselitismo. Si accontentano di poter dire le loro ragioni, una cosa che non è affatto scontata ancora nella nostra società. Ma in quel libro non cerco solo di spiegare le ragioni dell’ateismo. Il punto centrale è un altro, ed ha a che fare con ciò di cui mi occupo da sempre: la violenza.

La mia tesi non è affatto, come sembra ritenere Illiceto, che Dio è falso perché non è razionalmente dimostrabile. Una tesi che sarebbe tutt’altro che peregrina, a dire il vero, ma che richiederebbe una analisi preliminare di cosa è ragione. Nel libro in realtà mi sbarazzo abbastanza rapidamente della questione delle prove razionali, o presunte tali, dell’esistenza di Dio, sia perché esistono intere biblioteche sul tema, sia perché la questione per me è un’altra. A me interessano le ragioni reali della fede e non l’intellettualismo dei teologi. Chi crede in Dio non lo fa perché Dio è razionalmente dimostrabile, perché conosce la prova ontologica di Anselmo o è persuaso da quella cosmologica. Quello in cui si crede non è un Dio razionalmente dimostrabile, un Dio buono. Anzi, un Dio che è il Bene stesso.

Proviamo ad andare oltre la ragione, non senza aver prima osservato che ciò che chiamiamo ragione consiste in una serie di criteri logici che sono stati creati in Occidente per rendere possibile il discorso pubblico su ciò che è vero e ciò che è falso. Criteri ai quali la logica aristotelica ha contribuito in modo determinante e che la Chiesa ha accettato pienamente. Sospendiamo per un po’ la logica corrente e la ragione. Ammettiamo che vi possano essere narrazioni non strettamente razionali e tuttavia significative, profonde, in grado di orientare un’esistenza. Il punto, nel caso del cristianesimo, è che anche sospendendo la logica e facendo una generosa apertura di credito, la storia non torna. E non perché sia piena di offese alla logica e alla ragione — lo è — ma perché è piena di elementi che contraddicono e offendono il suo stesso fondamento.

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