Di cosa parliamo quando parliamo di burocrazia scolastica

Come tutti i docenti in questo periodo sono alle prese, oltre che con il complesso lavoro di valutazione finale, con la compilazione di un bel po’ di documenti, prime fra tutti le relazioni finali riguardanti il lavoro svolto con gli studenti. Documenti importanti, che servono a valutare il proprio lavoro, ad interrogarsi su cosa ha funzionato e cosa no, e su come si può migliorare, ma che per lo più vengono stilati seguendo modelli che richiedono il ricorso a crocette, mentre le parti testuali vengono risolte ricorrendo a formule più o meno stereotipate – più o meno copia-incollate – in puro didattichese.

Tra le altre carte quest’anno ho dovuto occuparmi di quelle relative alla mia attività di tutor di una docente immessa in ruolo. Ho osservato alcune sue lezioni, lei ha seguito le mie, e qualche lezione l’abbiamo fatta insieme. Alla fine ho scritto una relazione il più possibile onesta. Ma con il Signor Miur naturalmente non è possibile cavarsela così a buon mercato. Ed ecco dunque la meravigliosa scheda di osservazione approntata dal Ministero. Dieci pagine di crocette per ogni singola osservazione. Dieci pagine di crocette che, a volerle compilare in modo onesto, manderebbero in crisi chiunque. Perché, per cominciare con le Informazioni di contesto, cos’è uno studente straniero? Da cosa distinguo uno studente straniero da uno italiano? Lo studente filippino adottato da una famiglia italiana è straniero o italiano? La studentessa dalla pelle scura, ma nata in Italia, è straniera o italiana? E soprattutto: perché me lo chiedi? Perché dovrebbe avere qualsiasi rilevanza? Perché accomunare gli studenti stranieri agli studenti disabili?

Alla voce Caratteristiche salienti dell’ambiente qualcosa un po’ mi piacerebbe scrivere. Perché una delle aule in cui si è svolta l’osservazione era una sorta di refettorio del seminario religioso in cui siamo stati costretti a mandare alcune nostre classi: perché lo Stato italiano non investe in edilizia scolastica, e tocca fare scuola dove capita. Nel caso specifico una stanza con affreschi, vetrate colorate e camino, per accedere alla quale è impossibile sottrarsi all’abbraccio di una grande, fraterna statua del Cristo. Nella stessa struttura ho fatto lezione in una vera e propria chiesetta, con una ventina di figure di santi alle vetrate.

L’indicatore successivo mi chiede di specificare se “Tutti gli alunni… mostrano attenzione”. E qui è chiaro che chi ha buttato giù questa roba non ha mai insegnato. Perché puoi essere anche John Keating, ma non succederà mai che tutti gli studenti mostrino attenzione. Peraltro, a voler essere proprio pignoli, mostrare attenzione ed essere attenti sono cose diverse. Uno studente può seguire con assoluta attenzione una lezione scarabocchiando sul diario e un altro avere la testa altrove anche se lo sguardo è fisso sul docente. Ma anche queste sono cose che sa solo chi insegna.

Potrei andare avanti per ogni indicatore. Una scheda che non è possibile compilare onestamente pur avendo le migliori intenzioni: e che dunque va compilata mettendo le crocette così, a caso. E l’attività di mettere crocette più o meno a caso, spiegava David Graeber, è una delle caratteristiche di quelli che chiamava, con assoluta efficacia, bullshit jobs: lavori stronzata. Stronzate come questa griglia sono il contributo – quotidiano, ammirevole per lo zelo e la cura – del Miur per trasformare il lavoro del docente, altamente significativo, in una stronzata.

Author: Antonio Vigilante

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