Cosa resta della Conoscenza

Dopo aver letto il mio post precedente un amico mi ha chiesto su quale base si possano credere cose simili. Come sappiamo che il fondo della realtà è l’Uno? Come sappiamo che dietro il manifestarsi delle cose c’è la Natura? E come sappiamo che dietro il nostro io c’è lo Spirito?

Il Samkhya, il più antico sistema filosofico indiano, risponde che lo sappiamo attraverso la conoscenza analitica del reale. Il testo fondante della scuola, il Samkhyakarika di Ishvarakrishna, si sofferma sul valore dell’inferenza, che insieme alla testimonianza dei sensi e alla rivelazione degna di fede di consente di conoscere l’essenza della realtà. Non sono sicuro però della solidità di tutti i passaggi logici – così come non sono sicuro della solidità dei passaggi logici che portano Platone ad affermare l’esistenza dell’Idea come realtà iperurania.

Ci sono alcune cose però che sappiamo. La prima è che la realtà così come ci appare è illusoria. Sto scrivendo ora allo smartphone, seduto su una panchina, in una radura circondata da alberi; ho di fronte a me una meravigliosa quercia da sughero. So bene che tutte queste cose sono composte di atomi, e so bene che ogni atomo è fatto per lo più di vuoto. Vuota è la panchina, vuoto lo smartphone, vuoti sono gli alberi. E vuoto sono io stesso. Se dovessi dare un nome alla realtà ultima del mondo che osservo, dovrei dunque dire: il Vuoto. Shunyata, dice il buddhismo. Si tratta dell’Uno? No. Ma forse non siano troppo lontani dal Brahman, una essenza impersonale e inafferrabile. Da ateo, non posso concepire nessuna realtà personale al fondo del mondo. Ma posso figurarmi un altro mondo che è il nostro stesso mondo, fatto di vuoto, di processi mutevoli e impersonali.

L’altra cosa che sappiamo è che il nostro stesso io è non meno illusorio delle cose così solide eppure vuote. A voler credere in quella strana superstizione che è la psicoanalisi, il nostro fragile io è costantemente assediato dall’inconscio. Più seriamente le neuroscienze ci mostrano una complessità psichica che relativizza il ruolo del nostro caro io.

Ho detto che sappiamo queste cose. In realtà non le sappiamo davvero. Abbiamo il massimo rispetto per la scienza, ma ci teniamo a rispettabile distanza da essa. Ci teniamo aggrappati alle care vecchie cose ed al carissimo nostro vecchio io. Godiamo delle applicazioni della scienza, ma ci rifiutiamo di trasferirci nel mondo che essa ci mostra. Attaccati in fondo ancora all’idea di un mondo-aiuola, rassicurante benché ci faccia tanto feroci, quel mondo ci sembra inospitale, anzi inabitabile.

Se provassimo ad abitarlo, ci troveremmo a vivere – credo – una esperienza non troppo lontana da quella di cui parlano le Upanishad e i sutra buddhisti.

Author: Antonio Vigilante

antoniovigilante@autistici.org