Quella che termina oggi è stata, per la mia scuola, la settimana della cogestione.
Lunedì gli studenti hanno occupato – letteralmente: spintonando i bidelli e facendosi strada con la forza del numero – la palestra, dove si sono messi a sedere a terra ed hanno cominciato ossessivamente a cantare in coro: “Autogestione… oooohhh autogestione”.
La parola autogestione nella mia scuola è di quelle che al solo pronunciarle suscitano brividi. Qualche anno fa il preside ha concesso l’autogestione (sì, è un ossimoro), ed è andata così: alcune ragazze hanno chiuso in bagno una loro compagna, che essendo figlia di un carabiniere ha chiamato il padre; ne è seguita una denuncia per sequestro di persona, con la notizia in bella evidenza sui giornali locali. Peggio ancora è finito un gioco che rientrava tra le attività autogestite, una sorta di posta del cuore: una ragazza ha avuto la bella idea di rivelare ad un’altra la sua relazione col suo fidanzato. Il quale fidanzato è venuto a scuola inferocito ed ha tentato, chissà perché, di picchiare il preside.
Tutte queste cose riaffioravano nella memoria del preside mentre gli studenti occupavano la palestra, dandogli un’aria mesta e sconfitta. Dalla quale ha tentato di scuotersi compiendo un atto di forza che presto si è rivelato poca cosa. I carabinieri, chiamati, hanno preso il nome dei rappresentanti di istituto, poi si sono limitati ad una presenza decorativa, ignorati del tutto dagli studenti che in palestra continuavano con il loro slogan ossessivo.
La situazione si è sbloccata quando qualcuno (sì, c’entro qualcosa: fatebor enim) ha proposto una soluzione di compromesso: non l’autogestione ma la co-gestione. Che vuol dire: si va in classe e si fa lezione insieme ai docenti su argomenti scelti dagli studenti. Il preside ha convocato d’urgenza i docenti presenti a scuola per chiedere il loro parere, che è stato favorevole. Qualcuno – sì, c’entro qualcosa – è andato a presentare la proposta ai rappresentanti di istituto, nel forte occupato della palestra. Dopo un quarto d’ora di discussione la proposta è stata accettata e gli studenti sono tornati nelle classi.
E’ cominciata così la settimana della cogestione. Durante la quale ho visto nella mia prima, nell’ordine: Scusa se ti chiamo amore, Tre metri sopra il cielo, Scusa se ti voglio sposare. Nella mia terza ho discusso di diritti degli animali e di educazione, mentre nell’altra terza ho contribuito agli addobbi natalizi. In quinta abbiamo visto I cento passi. Le voci allarmate dei miei colleghi mi hanno riferito come è andata nelle altre classi. Una classe si è beccata la nota in condotta perché si ostinava a voler ascoltare le canzoni di Gianni Celeste invece dei canti natalizi; in altre classi gli studenti hanno improvvisato tombolate e partite a carte. “La scuola non è un cineforum”, ripeteva in sala docenti un collega che ha respinto la richiesta degli studenti di vedere un film.
Chi si aspettava una settimana di dibattiti impegnati, di lezioni di approfondimento, di film di Truffaut sarà senz’altro rimasto deluso. Io sono forse tra questi. Eppure credo che sia stata utile ed importante, questa parentesi. A scuola ci sono due culture. C’è la cultura scolastica e c’è la cultura degli studenti (con, sullo sfondo, quella delle famiglie). La prima è considerata cultura in senso pieno, la seconda è invece una caricatura della cultura. Ma forma la loro identità, questa cultura che tanto orrore suscita; è l’aria che respirano. Rifiutarla vuol dire rifiutare loro. E’ un rifiuto al quale non può che corrispondere il rifiuto della cultura scolastica. Tu rifiuti me, io rifiuto te. Ognuno vada per la sua strada. Questa settimana è servita a far venire fuori questa cultura minore, a farla diventare protagonista, mentre i detentori dell’altra cultura, quella alta e nobile, restavano a guardare perplessi.
Forse andavano ascoltate, quelle canzoni di Gianni Celeste. Discusse, poi; anche criticate. Ma dopo averle ascoltate.