Il meritevole ministro dell’Istruzione e del merito, chiamato ad esprimersi su chatGPT, evita la condanna secca e riconosce che “Può essere impiegata per aiutare gli insegnanti a personalizzare l’apprendimento, ad adattare i contenuti in base alle attitudini individuali degli studenti, a monitorare i loro progressi e a fornire informazioni su come migliorare il loro rendimento”, pur aggiungendo che “L’intelligenza artificiale non può dunque soppiantare l’insegnante né marginalizzarne il ruolo, che è decisivo in tutti i gradi di scuola, in particolare nella primaria”. È singolare il modo in cui i giornali hanno riportato la notizia: alcuni hanno enfatizzato la prima parte, altri la seconda; per alcuni Valditara dice sì all’intelligenza artificiale, per altri afferma soprattutto che il docente è insostituibile.
Vorrei spiegare per quale ragione auspico invece che il docente, almeno a casa, sia sostituibile dall’intelligenza artificiale.
La scuola italiana è profondamente diseguale, e dunque inutile. Non occorre spendere troppe parole per dimostrarlo: i dati sono noti. I risultati in uscita rispecchiano con assoluta fedeltà la posizione di partenza. Si laureano i figli dei laureati, con uno scarto poco sensibile e poco significativo.
Le ragioni di questo fallimento – perché la scuola ha il compito di scompaginare gli assetti sociali, altrimenti davvero non serve a nulla – sono soprattutto due.
La prima è che la scuola italiana è noiosa. Di più: funebre. Ogni autore, che un tempo pure fu vivo ed ebbe le sue gioie e le sue ribellioni, è introdotto nella classe come un cadavere in chiesa; e il contegno che si chiede allo studente è esattamente quello di chi segua il feretro che accoglie qualcuno di cui non gli importa davvero. Nessuno sta bene a scuola, nessuno vi prova gioia, e ognuno dunque scapperebbe via, se potesse. Chi fa quello che la scuola richiede, lo fa perché il suo contesto fa sistema con quello scolastico, perché entra in classe con una visione del mondo, ricevuta dalla famiglia, alla luce della quale quel funerale, con la compunzione che esige, è cosa della massima importanza. Gli altri ridono della nostra ostentata serietà, si ribellano e, appena possono, tornano alla vita reale.
La seconda è che il docente italiano, nonostante tutta la sua prosopopea, è uno che fa metà lavoro. Una pubblicità degli anni Ottanta parlava di una certa Luisa che “inizia presto, finisce presto e di solito non pulisce il water”. Ecco, il docente italiano di solito non pulisce il water. Lascia, chiede, esige che a farlo sia la famiglia dello studente. Pur considerando la scuola fondamentale e irrinunciabile, abbandona lo studente nel momento decisivo: quando si tratta di applicare e dunque testare le conoscenze. Quando si tratta di fare i compiti. Che, per definizione, sono compiti a casa. E a casa uno studente ha la madre professoressa e un altro la madre operaia. Parlo di madre, perché questa incombenza ricade per lo più sulle spalle delle madri, un lavoro ombra che si aggiunge agli altri. I risultati sono prevedibili.
Le famiglie che non sono in grado di seguire i figli nei compiti ricorrono al professore privato. Il mercato delle lezioni private è molto fiorente e consente ai docenti di arrotondare con qualche extra il magro stipendio. (E a pensare male si potrebbe dire che è per questo, in fondo, che non puliscono il water.) Il che vuol dire che per molti studenti il diritto allo studio è garantito solo per metà. Per l’altra metà occorre provvedere di tasca propria, pagando qualcuno che si assuma il compito ingrato di pulire il water.
Sarebbe bello se i docenti italiani la smettessero di dare compiti a casa, dal momento che è quando si applicano le conoscenze che c’è maggior bisogno del sostegno del docente. Non succederà presto, tuttavia, per il ben noto conservatorismo del sistema scolastico italiano. È più probabile un secondo scenario. Lo studente a casa è impegnato nello studio di Hegel. Trova nel manuale la parola Aufhebung. Il modo in cui il manuale la spiega tuttavia non gli risulta chiaro, e della spiegazione del docente ha un ricordo vago. Prende dunque lo smartphone e chiede a una intelligenza artificiale di spiegarglielo.
Questa seconda scena oggi è tutt’altro che improbabile. Immedesimandomi in uno dei miei studenti, chiedo a chatGPT di spiegarmi cos’è appunto l’Aufhebung. Mi dà una risposta piuttosto convenzionale. Insisto: voglio sapere che differenza c’è tra l’Aufhebung e la normale concezione del superamento. Ecco la sua risposta:
Il concetto di Aufhebung di Hegel differisce dal concetto ordinario di superamento perché implica che una cosa non viene semplicemente sostituita da qualcos’altro, ma piuttosto che la cosa originale viene conservata e trasformata in qualcosa di nuovo. In altre parole, Aufhebung non significa solo abbandonare una cosa, ma trasformarla e incorporarla in qualcosa di nuovo. Per esempio, se un’idea o una società viene superata, questa non è necessariamente negata o dimenticata, ma invece viene conservata e incorporata in un nuovo livello di comprensione o sviluppo. In questo modo, il passato non è visto come qualcosa da abbandonare completamente, ma piuttosto come qualcosa da apprendere e trascendere. Hegel utilizzò questo concetto per descrivere come la storia e la società progrediscono attraverso un continuo processo di superamento e trascendenza, dove il passato non viene negato, ma incorporato e trasformato nel presente e futuro.
Non so se un docente privato avrebbe saputo dare una risposta migliore.
Ma si dirà: un docente, un bravo docente, sa anche calare l’Aufhebung nella vita dello studente, sa trovare una connessione tra Hegel e la sua quotidianità. Anche chatGPT. Provate.
Come è stato rilevato da molti, chatGPT ha alcuni limiti evidenti. In qualche caso le sue risposte sono semplicemente sbagliate. In modo piuttosto curioso, sa riconoscere di aver sbagliato se glielo si fa notare e corregge l’informazione. Non è tuttavia difficile immaginare un futuro in cui questi errori saranno ridotti al minimo, più o meno paragonabili agli errori dei libri di testo e a quelli che i docenti fanno nelle loro lezioni, nonostante tutta la prosopopea. Certo un futuro con una intelligenza artificiale affidabile, in grado di sostenere efficacemente gli studenti nel lavoro a casa, è più realistico di una futura scuola italiana senza compiti a casa.
Bisognerebbe gioire, dunque. Finalmente uno strumento che può aiutarci a minimizzare i danni causati dalla nostra didattica inadeguata. E invece no. E invece le facce sono, nemmeno a dirlo, funeree. Come si farà ora a capire se un compito lo ha fatto lo studente o l’intelligenza artificiale? Il problema, a dire il vero, sussiste anche senza intelligenza artificiale. Come essere certi che i compiti a casa li abbia fatti lo studente e non il suo insegnante privato? Immagino che non sia un prooblema per i docenti perché l’insegnante privato è appunto un insegnante — uno della ditta, per dirla con don Milani — e dunque anche se i compiti li fa lui va bene così.
Tutto questo dibattito, surreale come spesso sono i dibattiti sulla scuola, rivela lo strappo centrale nella trama della scuola. Perché uno studente dovrebbe imbrogliare? Perché il suo interesse è prendere un buon voto, non imparare. E per prendere un buon voto, il vero fine del suo stare a scuola, ogni mezzo vale. Valgono mezzi discutibili come far fare i compiti a qualche altro, mezzi disonesti come copiare e mezzi disonestissimi come studiare, ossia riprodurre alla perfezione il discorso del libro di testo simulando un apprendimento che non c’è. La scuola è un luogo in cui alcuni cercano a ogni costo di strappare un voto e altri stanno lì a sorvegliare che ciò avvenga con merito: se non con quel merito che viene dal possesso della conoscenza, almeno con il merito che viene dall’aver sofferto abbastanza. E questo vuol dire che la scuola ha problemi davvero molto più seri dell’intelligenza artificiale.