Frontespizio di Ancora cercate ancora, con dedica |
Oggi Arturo Paoli compie cent’anni.
In un’altra Italia, sarebbe festeggiato come uno dei più grandi uomini della nazione. Nell’Italia che abbiamo è una antica quercia solitaria, che parla con voce ferma ma sottile solo ai pochi che hanno voglia di ascoltarla.
Una delle cose che mi interessano da un po’ è la possibilità di incontro tra credenti ed atei. Mi pare che questo incontro sia possibile in due dimensioni, che non so come e quanto siano conciliabili: la mistica e la prassi. La mistica, poiché Dio può essere una consolazione dell’io, il sostegno e puntello metafisico del soggetto – e il mistico e l’ateo possono procedere insieme verso il “Dio prima di Dio”. La prassi, perché anche l’ateo può riconoscere quel Dio-nei-poveri che Vivekananda e Gandhi chiamavano Daridranarayana. Fratel Arturo è uno di quei pensatori religiosi con i quali un ateo può dialogare sulla base della prassi. In Camminando s’apre cammino (Cittadella, Assisi 1994) afferma che la divisione dei cristiani sta nel pensare Cristo “attraverso la filosofia dell’essere o attraverso la filosofia della prassi” (p. 52). E cosa significhi pensarlo attraverso la filosofia della prassi è presto detto:
Prima di parlare di pace e di unione, esci, amico, e osserva attentamente se sulla tua porta è scritto: – Qui non c’è posto per i poveri -, perché se è così, il discorso è falsificato non dall’intenzione, ma dalla scelta. Ci scandalizzano i politici imbroglioni, ma l’imbroglio di noi cristiani può essere più sottile perché va alla radice della coscienza. Se chiedi a un religioso chi è Cristo, magari ti risponde con un’eloquenza fantastica; se gli chiedi che cosa fa il Cristo oggi nel mondo, nella storia, potrebbe balbettare come un bambino. (ivi, p. 61)