Un mendicante che chiedeva l’elemosina davanti ad un supermercato, a Siena, è stato allontanato con foglio di via. Poiché si tratta del destino di un essere umano, e di un essere umano che presumibilmente ha sofferto molto, vorrei provare ad approfondire la faccenda.
“Chiedeva l’elemosina di fronte al supermercato disturbando i clienti con insistenza, poi ha inveito contro la Polizia di Stato intervenuta. Per questo un nigeriano di 22 anni è stato prima sanzionato per accattonaggio e poi denunciato.”
Questi i fatti, in sintesi, così come forniti dalla Questura di Siena.
Il Regolamento comunale vieta all’articolo 35 di “raccogliere l’elemosina con petulanza, esponendo cartelli, ostentando menomazioni fisiche o con l’impiego di minori e/o animali”. Ora, il ragazzo nigeriano non esponeva cartelli, non ostentava menomazioni e non usava né minori né animali. Anche queste condizioni a dire il vero espongono alla libera interpretazione di chi guarda. Per quale ragione una persona sana può chiedere l’elemosina e una persona con menomazione no? Perché è chiaro che è difficile stabilire se la menomazione c’è o è ostentata. Nel caso specifico, l’aspetto decisivo è la petulanza. E qui la faccenda non è meno arbitraria. Chi stabilisce il livello oltre il quale c’è petulanza? Come si dimostra la petulanza? Ho avuto a che fare diverse volte con quel ragazzo. Non è mai stato petulante con me, né con nessuna delle persone che erano con me. Ho sentito molti amici, in questi giorni. Tutti hanno confermato la mia impressione: quella di un ragazzo che nemmeno chiedeva l’elemosina, stava lì ad aspettare che qualcuno desse qualcosa, a volte aiutando a spingere il carrello. Lo stesso atteggiamento di un ragazzo che ho incontrato per più di un mese tutte le mattina andando al lavoro. Era fermo al lato della strada, con un cappello in mano. In rigoroso silenzio. Naturalmente si vedeva bene che aveva bisogno: ma lui non chiedeva, propriamente, l’elemosina.
A chiedere l’elemosina, e anche vistosamente, è una vecchina a piazza Salimbeni, di cui sembra non interessarsi nessuno: nemmeno i bravi cittadini del circolo Sena Civitas, che aprono una loro lettera aperta al prefetto con la constatazione che “ormai da un paio di anni la presenza di ragazzi di colore che chiedono ‘insistentemente’ l’elemosina per le vie del centro, davanti agli esercizi commerciali della città o presso l’ospedale di Santa Maria Le Scotte, sembra sia divenuta stanziale e sistematica”. Ragazzi di colore: della nostra vecchina nemmeno l’ombra. Abbiamo dunque un regolamento comunale discutibile – perché consente una certa libertà di interpretazione, e la libertà di interpretazione in questa faccende non è una cosa buona – e abbiamo una società civile che chiede che si intervenga contro i “ragazzi di colore”. E dunque gli agenti intervengono. Il ragazzo, stando al comunicato della Questura, li ha offesi e poi, portato in Questura, “ha proseguito con le imprecazioni, urlando e rendendo molto difficoltose le operazioni di identificazione”. Imprecazioni e urla non costituiscono un reato, ma le offese sì: e non sarò io a difendere il ragazzo per questo. Mi chiedo però se il foglio di via – il divieto di ritorno a Siena per tre anni – sia una sanzione adeguata al suo comportamento. Il foglio di via è regolato dal Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 / 2011, meglio noto come Codice delle leggi antimafia. Compare all’articolo 2 come misura di sicurezza per persone che rientrino in una di queste tre categorie: “a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”.
Il ragazzo nigeriano che chiede l’elemosina, in modo petulante o meno, rientra in una di queste tre categorie? Il suo è un traffico delittuoso? Mette a rischio l’integrità fisica o morale dei minorenni o la tranquillità pubblica? Pare di no. Immaginiamo davanti al supermercato non il nostro “ragazzo di colore”, ma una prostituta. Anzi, una prostituta che con modi scandalosi adeschi i clienti davanti a tutti. Immaginiamo che gli agenti intervengano e che il Questore le dia il foglio di via. Bene: in un caso del genere la Cassazione ha stabilito che il foglio di via era ingiustificato, perché la legge “pone come presupposto dell’ordine di allontanamento non un qualsivoglia comportamento ‘pericoloso per la sicurezza pubblica’ (nozione che aprirebbe il varco a forme incontrollabili di discrezionalità)”, ma una precisa “condotta pericolosa” che rientri in una delle tre categorie indicate dalla legge (Corte di Cassazione, sezione I Penale, sentenza 17 dicembre 2014-8 gennaio 2015, n. 302). Se non rientra in nessuna di quelle tre categorie e non costituisce “condotta pericolosa” la prostituzione, sia pure con atteggiamenti “adescatori e scandalosi” (questa era l’accusa nei confronti della donna), può costituire “condotta pericolosa” il semplice chiedere la questua, sia pure con petulanza? E’ lecito dubitarne.
Consideriamo un ultimo punto. Il comunicato della Questura ci informa che “il giovane nigeriano era regolare sul territorio nazionale, in possesso di permesso di soggiorno per motivi umanitari”. Dunque non un clandestino. Una persona cui una commissione ha riconosciuto il diritto di ricevere protezione dal nostro Stato per ragioni umanitarie, in base alla Costituzione e al diritto internazionale. Perché un nigeriano riceve protezione umanitaria? Le ragioni possono essere diverse. Può essere, ad esempio, che si tratti di un cristiano in fuga da Boko Haram. L’ultimo attacco del gruppo jihadista nel nord-est della Nigeria c’è stato solo qualche giorno fa: sessanta case bruciate. Una notizia che in Italia non esiste, perché per i giornali italiani non esiste l’Africa. Figuriamoci ora un ragazzo che sia sopravvissuto a questo attentato. Capisce che al prossimo non avrà la stessa fortuna, che deve scappare. Riesce ad arrivare in Italia, riesce perfino ad ottenere la protezione umanitaria. Ce l’ha fatta, pensa. Ma è allora che comincia la beffa. Ottenuto il permesso di soggiorno, viene abbandonato a sé stesso. Potrebbe andare nel Foggiano e diventare un lavoratore-schiavo nelle campagne, portare soldi ai caporali e cercare di non morire nell’incendio del ghetto di lamiere e legno in cui sarà costretto a vivere, nel pieno della civiltà occidentale. Chiedere l’elemosina può essere una buona alternativa. Ma lui, ecco, è petulante. O così pare. E allora al diavolo Boko Haram, al diavolo la protezione umanitaria, al diavolo lui. Prendiamo il birillo nero e spostiamolo. Dove? Affari suoi. Vada a petulare altrove. Ce la stava facendo, ma era sono l’inizio di un gioco crudele che lo porterà ad essere sempre più solo, sempre più disperato, sempre più criminalizzato. E sempre più tentato dalla lotta per la sopravvivenza. Articolo pubblicato su Gli Stati Generali il 13 agosto 2017.
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Articoli di analisi e polemica culturale.
A scuola con la mindfulness
Prima gli italiani! Anzi: prima i Rom!
Don Milani, il papa e la lotta di classe
I Testimoni di Geova, Tolstoj e la Russia di Putin
Non sono simpatici, i Testimoni di Geova. Fanno proselitismo in modo fastidioso, bussano alla porta di casa la domenica mattina, ti fermano per strada per parlare di Dio. Credono in cose assurde e lo fanno con una convinzione che sfiora il fanatismo. Credono di seguire la Bibbia in modo meno ipocrita degli altri cristiani, ma si guarderebbero bene dall’uccidere gli omosessuali, come vuole la Bibbia (Levitico, 20, 13). Si vantano di conoscerla, la Bibbia, ma se chiedi loro di Mosè che comanda si uccidere donne e bambini (Numeri, 31, 17) restano confusi, e ti guardano perplessi quando fai notare loro che per Giobbe se avvenisse una calamità che facesse morire in un istante molte persone, Dio “si farebbe beffe della medesima disperazione degli innocenti” (cito dalla Traduzione del Nuovo Mondo, usata dai Testimoni di Geova).
Credono in cose assurde, ho detto; esattamente come i credenti di tutte le religioni. In loro difesa, si può dire che non hanno appoggiato regimi feroci come quello fascista e nazista, non hanno benedetto armi, non hanno brigato per prendere il potere e governare di fatto una nazione, come è avvenuto in Italia ai cattolici con la Democrazia Cristiana, un partito che si è dissolto in una nube di corruzione; né si hanno notizie di terroristi che si fanno saltare in aria urlando “Geova è grande”. Sappiamo invece che diecimila Testimoni di Geova sono finiti nei campi di concentramento nazisti, e duemila e cinquecento di loro sono stati uccisi. Sappiamo, ho detto. Ma lo sappiamo davvero?
Cosa c’è dietro questa nuova persecuzione? Come altre confessioni minoritarie cristiane, i Testimoni di Geova si sforzano si praticare la nonviolenza evangelica. A dire il vero, la tradizione cristiana ha abbastanza tempestivamente corretto il Vangelo su questo come su altri punti, giungendo a giustificare la guerra, purché naturalmente si trattasse di guerra “giusta” (e quale non lo è nella percezione di chi la fa?). L’affermazione del cristianesimo deve molto a queste correzioni, alla base delle quali c’è il mutato atteggiamento verso le autorità. “Ogni persona si sottometta alle autorità che le sono superiori. Non esiste infatti autorità se non proviene da Dio; ora le autorità attuali sono stabilite e ordinate da Dio. Di modo che, chi si ribella all’autorità, si contrappone a un ordine stabilito da Dio”, scrive Paolo nella Lettera ai Romani (13.1-2). Cito da una traduzione cattolica; i Testimoni di Geova traducono “ogni anima” invece di “ogni persona”, e se ne può comprendere la ragione. Fedeli al Vangelo, i Testimoni di Geova rifiutano di prestare servizio militare, ed anche in Italia sono stati i primi (dimenticati) obiettori di coscienza. Interpretando quel passo di Paolo, ritengono che essere cristiani significhi non collaborare con le autorità dello Stato, pur rispettandole formalmente. Noncollaborazione è il termine esatto. Non si tratta per loro di opporsi, di ribellarsi, ma semplicemente di non prendere parte. “Non esercitiamo pressioni politiche, non votiamo a favore di un partito o dei relativi rappresentanti, non ci candidiamo per incarichi governativi e non partecipiamo ad azioni sovversive. Siamo convinti che la Bibbia contenga valide ragioni per prendere questa posizione”, scrivono nel loro sito Internet. Alla base di questo atteggiamento c’è la contrapposizione tra i regni e i sistemi politici di questo mondo e il Regno di Dio. E’ una posizione che, in ambito cristiano, si pone agli antipodi della teologia della liberazione cattolica, per la quale bisogna impegnarsi affinché la realtà storica, economica e politica incarni i principi evangelici, affinché cioè il Regno di Dio annunciato dal Vangelo diventi realtà effettiva già in questo mondo. Per i Testimoni di Geova ogni impegno politico finisce per tradire la purezza della promessa, che non può realizzarsi che in una dimensione escatologica. Sono idee molto vicine a quelle che espresse un grande russo, Lev Tolstoj, nella sua più importante opera filosofica: Il Regno di Dio è in voi (1893). Con la differenza che Tolstoj dava alla nonviolenza evangelica un significato apertamente eversivo, come leva per rovesciare un sistema di dominio che aveva nella Chiesa ortodossa un tassello fondamentale, e di cui erano vittime le grandi masse contadine con la loro fede ingenua. Per le sue idee Tolstoj fu scomunicato dal Santo Sinodo; una scomunica che non è mai stata revocata, ed è stata anzi confermata nel 2010, in occasione del centenario della morte.
“Dominare vuol dire violentare, violentare vuol dire fare ciò che non vuole colui sul quale è commessa la violenza, e certo ciò che non vorrebbe sopportare colui che la commette; per conseguenza, essere al potere vuol dire fare ad altri ciò che noi non vorremmo che fosse fatto a noi stessi, cioè fare del male“, scriveva Tolstoj, sintetizzando in poche efficacissime righe le ragioni del suo anarchismo (Il Regno di Dio è in voi, Bocca, Roma 1894, p. 260). Negare la libertà religiosa è una delle forme più vili di questa violenza sistemica. E il fatto che nella Russia di Putin un cristiano non ortodosso possa finire in carcere per la sua fede dimostra che quel sistema di dominio denunciato dall’autore di Guerra e pace è ancora oggi più solido che mai.
Pubblicato su Gli stati Generali, 21 aprile 2017.
Intervista a Vice
In seguito al suicidio di un sedicenne, tragica conseguenza di un controllo antidroga, un mio articolo dello scorso anno contro i controlli antidroga a scuola ha ripreso a circolare sui social network fin quasi a diventare virale. Sono stato invitato a parlarne in una nota trasmissione televisiva – invito che ho declinato – ed in qualche trasmissione radiofonica. Ho accettato invece un’intervistra a Vice Italia. Eccola.
Facebook come asocial network
Ho chiuso il mio profilo Facebook e ne ho aperto uno nuovo, con nuove regole. Troppo faticoso sarebbe stato cancellare tutte le amicizie o pseudo-amicizie. Ho preferito ripartire da zero. Il mio nuovo profilo funziona così: i post sono pubblici e chi vuole può seguire gli aggiornamenti, proprio come un blog; nessuno però può chiedermi l’amicizia.
Molto mi ha fatto riflettere, tra l’altro, il comportamento socialmente miserabile di una scrittrice abbastanza nota che ha avuto con me una discussione sul mio profilo. Cosa da ordinaria amministrazione; ma ne è seguito un post sul suo, di profilo, con il quale senza nominarmi riportava le mie affermazioni distorcendole apertamente e sostanzialmente incitando i suoi lettori al linciaggio. Cosa che è puntualmente avvenuta.
Io provengo da una condizione di asocialità completa; vorrei poter dire felice, ma felice non era; e tuttavia ne ero in qualche modo soddisfatto. Ma mi sono imposto di uscirne, e di spingermi anche nella sfera pubblica. Per questo ho aperto, ormai più di quindici anni fa, il mio primo blog, e per questo ho contribuito alle fortune di Zuckerberg. Ma, perdonatemi, davvero non ce la faccio. Il misto di meschinità, di piccineria, di stupidità, di violenza mimetica delle situazioni sociali, e ancor di più delle situazioni sociali virtuali, non lo reggo.
Ho visto che in questi ultimi giorni è diventato virale, come si dice, un mio articolo dello scorso anno sui controlli antidroga a scuola. Su una pagina Facebook ha più di novemila like. Altri siti e pagine riprendono l’articolo senza citare la fonte, tutti dicono che è stato scritto adesso, qualcuno dice che è una lettera, qualcuno dice che sono una professoressa. La7 mi invita a parlarne in una trasmissione che non conosco. Qualcuno mi copre di insulti pubblicamente, qualche altro privatamente, qualcuno mi segnala alle forze dell’ordine e all’ufficio scolastico.
Fate come vi pare. Vivete le vostre passioni, accapigliatevi, fatevi adorare dai vostri seguaci. Ma alla larga da me.
Le donne viennesi e il burkini
Che le ragazze anche nella più calda estate giocassero al tennis con abiti corti o peggio a braccia nude, sarebbe stato considerato scandaloso, e se una signora ben educata incrociava i piedi in società, ne erano offesi i buoni costumi, perché avrebbero potuto apparire sotto l’orlo della veste i suoi malleoli. Persino agli elementi naturali, al sole, all’acqua e all’aria, non era lecito sfiorare la pelle nuda delle donne. Esse nuotavano a fatica con pesanti costumi, coperte dal collo al tallone, e nei collegi e nei conventi le ragazze, perché dimenticassero di avere un corpo, dovevano persino fare il bagno in lunghi camici bianchi. Non è leggenda né esagerazione che morissero allora in tarda età donne del cui corpo, all’infuori del marito, dell’ostetrico e di chi ne lavava la salma, non erano mai stati veduti neppure le spalle o i ginocchi. (S. Zweig, Il mondo di ieri, Mondadori, Milano 1954)
La dimostrazione dell’esistenza di Dio
Guarda questa pietra. Ad essere precisi, dovrei dire pietruzza. Sassolino, a voler essere buoni. Certo non sasso: sasso è eccessivo. Eppure il biglietto che l’accompagna la chiama senz’altro sasso. Ed a ragione. Perché questa pietruzza o sassolino non è una pietruzza qualsiasi. Leggi bene. E’ un “Sasso della grotta ove si rifugiò in Egitto la Sacra Famiglia”. Vogliamo negargli lo status di sasso? Giammai: tanto più che questo mirabile reperto, che si trova oggi in una teca a palazzo Pfanner, a Lucca, dimostra l’esistenza di Dio.
Chiudi gli occhi e seguimi. Siamo in Egitto, siamo in una grotta. Ecco qui Giuseppe e Maria. Sì, Giuseppe ha il mantello e il bastone e Maria è bionda con gli occhi azzurri ed il manto immacolato. E’ giovane, mentre Giuseppe mostra il triplo dei suoi anni. Poi c’è il bambino, anzi il Bambino, anche lui, anzi Lui, biondo con gli occhi azzurri e paffutello anzi che no. Dunque Giuseppe e Maria sono in questa grotta con Gesù. Che fanno? Direi che Maria sta cucinando, se la cosa non sembrasse blasfema. Cucinava, Maria? Certo la sacra famiglia (la Sacra Famiglia) mangiava, ed essendo poveri certo non avevano la cuoca. Ma non si può escludere che scendesse qualche angelo a sbrigare la faccenda, o che le pietanze comparissero miracolosamente sulla tavola. Dunque Maria non cucinava, pregava ardentemente Dio o leggeva qualche libro rilegato in marocchino, magari le bozze in anticipo del Vangelo di Luca. Giuseppe invece lavora: a lui lavorare era concesso, è perfino il protettore dei falegnami. Era lì, allora, a piallare una tavola di legno. Finché la pace della grotta viene turbata da un urlo. E’ Giuseppe. All’urlo non segue una bestemmia, perché Giuseppe è San Giuseppe e non bestemmia. La Madonna lo guarda con sguardo interrogativo, epperò pieno di amore – di un amore, sia chiaro, privo di qualsiasi concupiscenza, sia perché Maria è vergine (è Vergine) e non pensa a queste cose, sia perché Giuseppe va per la cinquantina e non è quello che si dice un bell’uomo. Si guarda i poveri sandali, Giuseppe, e ne estrae una pietruzza. Poi la mostra a Maria, sorridendo. Maria risponde al sorriso, pacificata. Giuseppe riprende il lavoro, non prima però di aver preso un biglietto, di avervi scritto “Sasso della grotta ove si rifugiò la Sacra Famiglia” e di averlo riposto in un canto della grotta, pensando già a quando, secoli dopo, il sassolino, promosso a sasso, sarebbe diventato una preziosa reliquia, dimostrazione infallibile dell’esistenza di Dio.
E veniamo alla dimostrazione.
Alcuni malnati sostengono che Dio non è. Se Dio non è, il mondo non è stato creato, ma ha cause meramente fisiche. Se Dio non è, le specie animali non sono state create da Dio; la vita è nata grazie a processi chimico-fisici, e le specie si sono evolute secondo le ben note leggi della selezione naturale. La vita si è sviluppata in forme sempre più intelligenti, fino a giungere all’essere umano, l’essere più evoluto ed intelligente di tutti, il risultato di milioni di anni di selezione.
Ora, se così fosse, se cioè davvero la specie umana fosse il risultato di una evoluzione di milioni di anni, non si spiegherebbe la spaventosa idiozia di chi crede che quella pietruzza possa provenire dalla grotta egiziana della Sacra Famiglia. Se una pietruzza del genere esiste – accompagnata da quel biglietto, voglio dire – è perché l’essere umano è radicalmente, disperatamente, irrimediabilmente idiota. Sia chiaro: non è, quella pietruzza, l’unica dimostrazione. Basterebbe prendere un pezzo qualsiasi della storia sacra per dimostrare lo stesso assunto. Il fatto che un coacervo di idiozie ed assurdità come il cristianesimo abbia ormai duemila anni dimostra abbondantemente l’idiozia umana. Se non vi basta, aprite a caso un libro di storia. O un giornale.
Dunque: l’essere umano è idiota. Scemo, se preferite. Coglione, se gradite questa sfumatura. Questa coglionaggine è incompatibile con la selezione naturale. Non è credibile che la natura in milione di anni abbia selezionato una specie di coglioni. Logica vuole che le cose siano andate diversamente. E precisamente, come racconta la Bibbia. Un essere umano così idiota non può che essere l’opera di un Dio quale è quello (Quello) che compare nella Bibbia. Un Dio bizzoso, rissoso, umorale, illogico, violento. Un degno padre (Padre) di un tale figlio.
Dio è, perché un essere umano così idiota non può che venire da lì (da Lì). E quella pietruzza, seu sasso, ce lo dimostra in modo inconfutabile.
Raca!
Ora, quale appartenente al mondo laicista, o più banalmente come persona che non appartiene alla setta cristiana, dovrei essere anch’io teologicamente ignorante, ma non lo sono fino al punto di ignorare quel passo del Vangelo secondo Matteo in cui Gesù, o chi per lui, dice:
Voi avete udito che fu detto agli antichi: “Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale”; ma io vi dico: “chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto a suo fratello: ‘Raca’ sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto: ‘Pazzo!’ sarà condannato alla geenna del fuoco.”
Raca. E che vuol dire raca? Lo lascio dire a San Girolamo, il traduttore della Vulgata:
Hoc verbum proprie Hebraeorum est: RACA enim dicitur κενὸς, id est, inanis aut vacuus: quem nos possumus vulgara iniuria, absque cerebro, nuncupare.
In altri termini, raca vuol dire cretino. Ci sarebbe, a dire il vero, da notare che cretino propriamente deriva da cristiano, ma dubito che il monsignore volesse dare a Renzi del cristiano. Cretino sta proprio per inanis e vacuus. Ora, ci sarebbe da prendere questo monsignore e portarlo al tribunale, giusto per mettere in pratica una volta tanto in Vangelo, ma i giudici hanno già il loro bel da fare: e una risata è più che sufficiente per questo pastore di pecore cristiane e “studioso” che non ha troppa memoria del Vangelo.
Allahu Akbar
Allahu Akbar. Nel mio studio su Gandhi ho cercato di mostrare l’importanza che nel suo pensiero ha l’idea di Dio come Daridranarayana: Dio come povero. E’ il rovesciamento di quella idea di Dio che, in campo hinduista, si trova nella Bhagavad-Gita, libro che pure Bapu considerava fondamentale per la sua formazione spirituale, etica e politica. Dio è povero, è debole, è umile. Dio è negli intoccabili, che non a caso Bapu chiamava harijan, figli di Dio. Dio non è grande, Dio è piccolo. Dio è nelle cose piccole, e credere in Dio significa prendersi cura delle cose piccole. L’idea non è una creazione di Gandhi: l’ho trovata in Vivekananda, un pensatore che andrebbe riscoperto, ma forse si potrebbe risalire più indietro. Dio è grande: su questa convinzione si regge tutta l’arte occidentale; senza questa convinzione non avremmo il duomo di Monreale, Santa Maria Novella, San Pietro: eccetera. Dio è grande, e dunque bisogna onorarlo con la grande architettura, con la grande arte, con la grande musica. Ma Dio è grande vuol dire anche glorificare la potenza, la violenza, l’imposizione. Il Dio grande è sempre, anche, il Signore degli eserciti della Bibbia, il Dio assassino che guida i massacri e le crociate. Bisognerebbe cominciare a pensare che Dio è piccolo e sta nei piccoli. E che le pratiche religiose sono pratiche di attenzione e di cura verso ciò che è piccolo, debole, indifeso.
Luca Volontè e la fiducia nel genere umano
Quando la Bibbia insegna l’odio
Meno di un mese fa, il 28 maggio scorso, il parroco di Decimoputzu (Cagliari), don Massimiliano Pusceddu, ha tenuto una omelia che ha fatto e fa discutere. Ecco la sintesi del suo discorso nel titolo del Fatto quotidiano: “‘Gli omosessuali meritano la morte’. L’omelia del parroco contro le unioni civili”. Parole che indignano: ho letto sui social network commenti di fuoco, e non pochi chiedono che il parroco venga incriminato. Certo, si tratta di hate speech, ed appare ancora meno tollerabile all’indomani della strage di Orlando. Ma c’è un particolare che a molti sfugge: le parole incriminate sono una citazione di San Paolo. Ecco esattamente cosa ha detto il parroco:
Noi abbiamo la Parola di Dio, la Bibbia è la Parola di Dio, no? E allora dalla Parola di Dio dobbiamo partire perché non devono essere parole nostre, ma dobbiamo predicare quello che è scritto qui, questa è la Parola del Signore e che noi siamo chiamati a predicare. Allora cosa dice la Parola di Dio? Voglio leggervi solo un passo della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani, perché secondo me questo passo vale più di tante prediche fatte e che si possono fare, ma è un passo molto chiaro per leggere questi tempi che stiamo vivendo oggi, questo passo di San Paolo è un passo profetico. Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani, siamo al capitolo primo, vi leggo direttamente dal versetto 26: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami, infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura, similmente anche i maschi lasciando il rapporto naturale per la femmina si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri commettendo atti ignominiosi, maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la persecuzione dovuta al loro cambiamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata, ed essi hanno commesso azioni indegne. Sono colmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia, pieni di invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità. Diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore e senza misericordia, e pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa”.
Si tratta di un passo iniziale della Lettera ai Romani, un testo fondamentale per il cristianesimo, denso di profondità dottrinale e di spiritualità, fonte di ispirazione per i più raffinati teologi (è appena il caso di ricordare L’Epistola ai Romani di Karl Barth, uno dei capolavori della teologia del Novecento). Ma si tratta anche, come si vede dal testo citato dal parroco, di un testo intriso di violenza, in particolare contro i pagani, di cui parla quel passo. Una violenza verbale che, passato qualche tempo e conquistato il potere, diventerà violenza reale. I pagani sono stati perseguitati dai cristiani con una violenza non inferiore a quella subita dagli stessi cristiani; il loro culto è stato proibito, i templi demoliti con uno zelo non troppo diverso da quello dei fanatici attuali del cosiddetto Stato Islamico. La figura di Ipazia, la filosofa e matematica pagana squartata da una folla cristiana, è il simbolo tragico di queste violenze sulle quali cala ancora un velo pesante e difficile da scostare.
La maldestra omelia del parroco – davvero “l’ultimo dei sacerdoti”, secondo la sua definizione che mi sento di condividere – solleva un problema reale: quello della violenza nella Bibbia. Il prete ha citato San Paolo. Avrebbe potuto citare il Levitico: “Chiunque abbia giaciuto con un uomo come si giace con una donna, hanno compiuto tutti e due un’abominazione; siano messi a morte” (20, 13). E, già che c’era, avrebbe potuto continuare a leggere la Parola di Dio. “Chiunque commetta adulterio con una donna sposata, chiunque commetta adulterio con la donna del suo prossimo, siano messi a morte l’adultero e l’adultera” (20, 8). L’elenco delle persone da mettere a morte è abbastanza lungo: c’è anche chi, preso da incontenibile passione, faccia l’amore con la sua donna mentre lei ha le mestruazioni. Messi a morte entrambi, lui e lei.
Mettere in pratica la Parola di Dio oggi significa riempire le nostre strade e le nostre piazze di lapidazioni: qui un’adultera, lì una strega, lì un quindicenne che ha maledetto suo padre o sua madre (anche per questo è prevista la pena di morte). Non credo che l’ultimo dei sacerdoti voglia davvero questo, né credo che lo vogliano quelli che ascoltavano la sua omelia contro gli omosessuali senza battere ciglio. Come tutti, il parroco usa la Bibbia fin quando gli fa comodo, prende quello che è utile ad alimentare i suoi pregiudizi, le sue fobie, le sue piccinerie, e ignora il resto. I cattolici vivono in questa ambiguità. E’ evidente che la Bibbia dice molte cose inaccettabili. Non parlo di inaccettabilità per la ragione; parlo di inaccettabilità morale. La Parola di Dio, qua e là sublime, qualche volta dice cose che offendono profondamente la nostra sensibilità morale. I cattolici e i cristiani in generale si difendono dicendo che per la sensibilità dell’epoca quelle parole così dure, quelle leggi feroci rappresentavano comunque un progresso. Una giustificazione molto discutibile, per diverse ragioni. Perché il popolo ebraico, guidato da Dio, è talmente rozzo da progredire attraverso l’omicidio, anzi lo sterminio, mentre dall’altra parte del mondo gli indiani, con buddhismo e jainismo, affermano il valore della stessa vita animale? Si prenda Mosè. Nel libro dei Numeri si arrabbia di brutto con i comandanti del suo esercito, che hanno appena sterminato i madianiti, uccidendo tutti gli uomini, bruciando le città, razziando cose ed animali e riducendo in schiavitù le donne e i bambini. Che hanno fatto di male? Non hanno ucciso le donne e i bambini. E sentite Mosè: “Ora uccidete ogni maschio tra i bambini e ogni donna che si sia unita con un uomo. Tutte le ragazze che non si siano unite con un uomo le lascerete vivere per voi” (31, 17). Non è difficile immaginare cosa significasse lasciar vivere per loro le bambine, perché di bambine si tratta. C’è una sola definizione per chi in guerra comanda di massacrare delle donne e dei bambini: criminale di guerra. Ma questo criminale di guerra è, al tempo stesso, l’uomo di Dio che ha guidato il popolo ebraico verso la terra promessa.e il passo dimostra che c’era, in quella situazione, chi aveva una sensibilità morale migliore di quella dell’uomo di Dio, pur nella ferocia. Nessuna pedagogia divina, dunque.
Mi pare che la violenza della Bibbia sia uno dei nodi che il cattolicesimo deve affrontare oggi. Anni fa fece rumore la presa di posizione di Enrico Peyretti, tra i protagonisti dalla nonviolenza italiana e del cattolicesimo di base, che sul Foglio (“Mensile di alcuni cristiani torinesi”) parlò apertamente di dissociazione morale dai passi violenti della Bibbia. Ma fu un rumore – non un vero scandalo – che durò poco, e poi si spense. E il problema resta. La Bibbia è scomoda non solo per la violenza che la abita, ma anche perché rischia facilmente di ritorcersi contro chi la usa per i propri scopi. Prendiamo questo parroco, ultimo dei sacerdoti. Cita la Lettera ai Romani per attaccare gli omosessuali, accomunati agli antichi pagani. Bene. Ma andiamo indietro di qualche riga, nel testo di San Paolo. Leggiamo: “Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili” (1, 22-23). Sono sempre i pagani, colpevoli questa volta di idolatria, di venerare statue invece del Dio vivente. Ora, l’ultimo dei sacerdoti parla avendo alle spalle ben due statue: una madonna con bambino ed un angelo. Molto probabilmente San Paolo, se avesse assistito alla scena, si sarebbe arrabbiato di brutto, ed avrebbe associato il nostro ultimo dei sacerdoti alla brutta genia pagana contro la quale si scaglia. Sfogliamo ancora a ritroso la Bibbia. Prendiamo il Vangelo di Matteo, 23, 1-14:
Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci.
Dunque: non fatevi chiamare maestri, non fatevi chiamare padre. Il nostro parroco di Decimoputzu, pur essendo l’ultimo dei sacerdoti, ha il diritto di essere chiamato don. E don viene da dominus: signore. Per quanto sia l’ultimo, non manca di farsi chiamare signore. Fa parte di una organizzazione nella quale molti si fanno chiamare padre ed il cui capo ha l’appellativo di papa, che vuol dire appunto padre. Una organizzazione i cui rappresentanti più potenti vestono in modo sgargiante, perfino bizzarro, sono molto ricchi e potenti, e reclamano i posti d’onore in tutte le manifestazioni pubbliche. C’è qualcuno davvero così distratto da non accorgersi che è esattamente della Chiesa che sta parlando Gesù in questo passo? Basta davvero il rituale ipocritamente umile della lavanda dei piedi per credere che la Chiesa sia qualcosa di diverso dalla struttura sacerdotale dei farisei? La descrizione è talmente precisa, da inquietare un non credente: si ha l’impressione che quell’uomo sapesse davvero cosa sarebbe successo, quale struttura di potere sarebbe stata edificata sulla sua croce. Ora, se il nostro ultimo dei sacerdoti volesse prendere sul serio la Bibbia, piuttosto che prendersela con gli omosessuali dovrebbe smetterla di farsi chiamare don, togliersi di dosso gli abiti sgargianti che tanto impressionano la gente, uscire da una struttura sacerdotale che pontifica sul bene e sul male ben sicura nel suo benessere economico e nei suoi privilegi, e magari trovarsi un lavoro.
Articolo pubblicato su Gli Stati Generali, 13 giugno 2016.
Nell’Egitto di al-Sisi la libertà di pensiero si paga con il carcere
Dio chiede ad Abramo di sacrificargli il figlio Isacco. Quando tutto è pronto per il sacrificio – Isacco ha portato anche sulle sue spalle la legna che sarebbe servita per il suo olocausto – e la mano del padre sta per scannare il figlio, Dio interviene. “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che rispetti Dio e non mi hai risparmiato il tuo figliuolo, l’unico tuo!” (Genesi, 22, 12). E per non restare privo d’un sacrificio, Dio fa comparire un ariete, che viene sacrificato al posto del ragazzo. Per ricordare questo episodio biblico, non dei più luminosi, ogni anno si celebra nel mondo musulmano la “festa del sacrificio”, Id Al-Adha. Si prende un animale, lo si sgozza e lo si lascia dissanguare, a maggior gloria di Dio. Può essere un montone o una pecora, una mucca, un cammello. “Milioni di innocenti creature saranno condotte al più orribile massacro compiuto da esseri umani per dieci secoli e mezzo. Un massacro che si ripete ogni anno a causa dell’incubo di un uomo giusto riguardo al suo bravo figlio”, ha scritto sul suo profilo Facebook ad ottobre dello scorso anno la scrittrice egiziana Fatima Naoot. E per queste parole il 28 gennaio è stata condannata a tre anni di carcere con l’accusa di aver disprezzato l’Islam, di aver diffuso odio settario e di aver attentato alla pace pubblica. [read more]
Fatima Naoot, già candidata al parlamento, è poetessa e scrittrice, traduttrice (ha tradotto tra l’altro Virginia Woolf) e giornalista, nota per le sue prese di posizione in favore delle minoranze del paese, come quella copta. Durante il processo non ha negato di aver scritto quel post, ma ha rigettato l’accusa di aver voluto offendere l’Islam, sostenendo che la religione è solo un pretesto per giustificare il gusto di uccidere animali. La poetessa è stata condannata in base all’articolo 98 del Codice Penale egiziano, che così recita: “Chiunque sfrutti la religione per promuovere ideologie estremiste attraverso la parola, gli scritti o in altro modo, con il fine di fomentare la sedizione, di denigrare o disprezzare qualsiasi religione divina o i suoi aderenti, sarà punito con il carcere da sei mesi a cinque anni, o al pagamento di una multa di almeno 500 sterline egiziane”. Una norma che ha lo scopo di combattere il fondamentalismo e lo hate speech religioso, e che nell’Egitto di oggi – l’Egitto nel quale un giornalista coraggioso come Giulio Regeni viene ucciso dopo essere stato orribilmente torturato – finisce invece per colpire la semplice espressione di opinioni non conformiste.
Intervistata il 30 gennaio dall’emittente egiziana CBC TV, la scrittrice ha dichiarato che la legge contro la blasfemia, che doveva servire a proteggere i cristiani dagli attacchi dei fondamentalisti islamici, è diventata un cappio al collo per gli stessi cristiani e per gli intellettuali progressisti. Ed ha aggiunto: “Lo Stato sta combattendo i terroristi, ma non il terrorismo. Il terrorismo è una ideologia. Il mio imprigionamento è terrorismo. L’imprigionamento di Islam Behery è terrorismo. L’imprigionamento di chiunque esprima la propria opinione è terrorismo”.
Islam Behery, citato da Naoot, sta scontando la pena di un anno di carcere nella prigione di Tora in base allo stesso articolo del Codice penale. Studioso dell’Islam con una laurea all’università di Wales, Behery conduceva un programma televisivo di grande successo presso il canale televisivo Al Kahera Wal Nas, ripreso sul suo canale YouTube, nel quale parlava di un Islam purificato dai suoi aspetti violenti. Gli hadith, le narrazioni dei fatti e dei detti di Muhammad che costituiscono la seconda fonte dell’Islam dopo il Corano, parlano di un Profeta che sposa una bambina ed ha rapporti sessuali con lei. Che pensare di un uomo di Dio che compie un crimine del genere? Come conciliare questo crimine con l’altezza morale che il Profeta mostra in molti passi del Corano? Per Behery bisogna porre in questione l’attendibilità degli hadith, se si vuole liberare l’Islam dai suoi aspetti oppressivi e violenti. Se non si compie questa operazione, sarà inutile la lotta contro contro il Califfato. Ridiscutere l’autorità degli hadith vuol dire estirpare la radice del fondamentalismo. Una posizione coraggiosa, che ha suscitato le ire di Al-Azhar, l’Università del Cairo che rappresenta la più importante autorità culturale del mondo sunnita, che ha chiesto ed ottenuto la sospensione del programma di Behery. Il processo invece è stato avviato in seguito alla denuncia di un semplice cittadino. Dopo la condanna, l’intellettuale egiziano ha commentato ironicamente: “Molte grazie al presidente Abdel-Fattah El-Sisi ed alla sua rivoluzione religiosa… Sono grato per la libertà di espressione in Egitto”.
Articolo pubblicato su Gli Stati Generali, 28 febbraio 2016.[/read]
Padre Pio e la religione del selfie
Suor Giulia tra sesso e santità
Note
1. La carità carnale. Istoria di Suor Giulia di Marco, a cura di A. Vigilante, Rainone Editore, Bergamo 2006, p. 81.
2. Così nella sua abiura: ivi, p. 78.
Articolo pubblicato su Gli Stati Generali
Buon anno vecchio
Gli omosessuali mangiano i bambini: parola di Ida Magli
Articolo pubblicato su Gli Stati Generali.
Educazione Democratica è morta: viva Educazione Democratica
10 novembre, martedì
Empatia verso gli animali e violenza
Papa Francesco e la diversità culturale
Disgustato da tanta violenza, il buon Bartolomé de Las Casas scriverà nel suo testamento:
Credo che, a causa di queste opere empie, scellerate e ignominiose, perpetrate in modo così ingiusto, barbaro e tirannico, Dio riverserà sulla Spagna la sua ira e il suo furore, giacché tutta la Spagna si è presa la sua parte, grande o piccola, delle sanguinose ricchezze usurpate a prezzo di tante rovine e di tanti massacri(3).
Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui senza conoscere limite(4).
Note
Nell’immagine: Theodor De Bry, illustrazione della Narratio Regionum indicarum per Hispanos Quosdam devastatarum verissima di Bartolomé de las Casas.
Articolo pubblicato su Gli Stati Generali, 22 giugno 2015.
Se la psico-fuffa entra in ospedale
Il vero motore è la grande luce interiore contenuta in ognuno di noi, una forza vibrante di intensità frequenziale altissima, da cui tutto parte e da cui tutto prende forma, che ci collega alla fonte della creazione e permette che noi stessi, attraverso il nostro pensiero, attraverso le nostre azioni, possiamo dar vita al reale che ci circonda e che ci appare ancora così misterioso da non poter essere compreso.
Ora, ognuno è libero di credere in quello che gli pare, che si tratti dell’Anima, delle vibrazioni, dello ying e dello yang, dell’aura, dei chakra, del prana e dell’apana, e così via. Una cosa però dev’essere chiara: tutte queste convinzioni appartengono alla religione, e non alla scienza. Vero è che la psicologia ha esplorato spesso la zona di confine tra l’una e l’altra, e che autori come Jung hanno fatto ricorso a categorie e termini religiosi come quello, appunto, di Anima (ed Animus), mentre altri, come il nostro Assagioli, si sono interrogati sulle pratiche spirituali orientali ed occidentali. Ma in questi casi, ed in altri, lo studio è stato condotto con un rigore analitico che ad alcuni critici della scientificità della psicoanalisi appare ancora insufficiente, e che tuttavia è lontano anni luce dalla disinvoltura d’una dottoressa Di Muro, con la sua psico-quantistica. La quale è, peraltro, in ottima compagnia. L’interesse crescente per le faccende interiori, di cui sarebbe interessante approfondire il legame con il sistema socio-economico, per saggiarne le motivazioni reali, spinge molta gente verso lo scaffale dei libri di psicologia. Molta gente che, spesso, non ha la preparazione necessaria per leggere Freud o Adler, e nemmeno la pazienza per cominciare dall’abc della psicologia scientifica, e grazie alla quale si apre un nuovo mercato, affine a quello, tutt’altro che in crisi, della New Age. Ed allora si dà loro in pasto una psicologia per creduloni.
Riconoscere questa pseudo-psicologia, questa psico-fuffa, non è difficile. Un primo indizio sono i toni trionfalistici. Il povero Freud aveva molti dubbi sulla possibilità di guarire realmente con la psicoanalisi. Gli pseudo-psicologi non hanno dubbi: basta comprare il loro libro per trasformare interamente la propria vita e trovare la felicità con il minimo sforzo. Il secondo indizio è, appunto, l’uso disinvolto di categorie che appartengono alla religione, e molto spesso alle religioni orientali. Il terzo indizio è il narcisismo. Per la psico-fuffa ognuno di noi è al centro dell’universo, o quasi; ognuno è un essere meraviglioso, speciale – una creatura di luce o qualcosa del genere. Un quarto indizio è un uso dei risultati della scienza non meno disinvolto di quello delle categorie religiose. Quale sia il vero senso delle ultime scoperte della fisica è una questione che fa tremare i polsi ai maggiori fisici viventi, ma uno psico-fuffologo non ha dubbi, e potrà spiegarti senza alcuna difficoltà il rapporto tra i quanti ed il tuo benessere psicofisico e la tua felicità. Come fa, appunto, la dottoressa Di Muro. Tutto questo, dicevo, può piacere, ed ognuno è libero di leggere le sciocchezze che preferisce. Ma se queste cose vengono insegnate in un luogo che dovrebbe essere messo sotto il segno della scienza e della ragione, allora c’è qualche problema. Ed anche abbastanza serio. Non amo gridare allo scandalo, ma è assolutamente inaccettabile che medici e infermieri, persone che dovrebbero, anzi che devono avere una formazione scientifica, e che lavorano in un campo delicatissimo, con persone che soffrono, si formino ricorrendo a teorie pseudo-scientifiche.
Peraltro, che medici ed infermieri (ma anche docenti e studenti) possano trarre giovamento dallo studio e dalla pratica della meditazione, è un’affermazione che mi guardo bene dal contestare. Ma si tratta di capire quale meditazione, e quali concezioni si veicolano attraverso la pratica. La meditazione vipassana esiste da duemila e cinquecento anni. Fa parte della pratica buddhista, ma è fatta di esercizi che si possono praticare anche senza avere alcuna fede religiosa, meno che mai buddhista. Esercizi sulla consapevolezza del respiro, delle sensazioni, degli stati mentali. In occidente la vipassana è nota in ambito scientifico come mindfulness. La sua sperimentazione risale alla fine degli anni Settanta, quando il medico Jon-Kabat Zinn ha cominciato ad usarla presso la Clinica per la Riduzione dello Stress da lui fondata presso la Massachusetts Medical School. C’è un’ampia letteratura scientifica sull’efficacia della mindufulness nella cura della depressione, nella riduzione dell’ansia e dello stress, nella prevenzione degli attacchi di panico e nella cura di altre problematiche psicologiche. Se quello dell’Azienda Ospedaliera di Foggia fosse un corso sulla mindfulness, non starei ora scrivendo questo articolo.
Esiste in questo paese, oggi, un attacco alla scienza ed alla mentalità scientifica senza precedenti. C’è un esercito di fanatici dell’omeopatia, delle cure alternative, dei rimedi miracolosi contro il cancro, della New Age, dello sciamanesimo e così via che ritiene che la mentalità scientifica vada abbattuta per sostituirla con teorie olistiche, cure miracolose naturalmente occultate dalla scienza ufficiale, antichi rimedi tramandati dalla Tradizione, gemme sacre, fiori dal profumo salvifico, eccetera. Un nuovo attacco che si aggiunge a quello, mai sopito, della Chiesa cattolica, con la sua passione per l’irrazionale e la superstizione, il sangue di San Gennaro e le sacre particole. Fino a quando questo esercito resterà fuori dai luoghi in cui si trasmette e si pratica la cultura scientifica – le scuole, le università, gli ospedali – si può essere relativamente tranquilli. Ma fatti come quello di Foggia, al quale altri si potrebbero aggiungere (anche riguardanti la scuola), dimostrano che si stanno aprendo delle brecce pericolose.
Perché è moralmente doveroso non mangiare carne
Sono vegetariano dall’età di sedici o diciassette anni. Erano gli anni Ottanta, ed il vegetarianesimo non era propriamente di moda. Per quello che riesco a ricordare, a spingermi verso quella scelta furono le mie letture di filosofia indiana: la Bhagavadgita, Aurobindo, cose così. A convertirmi al vegetarianesimo è stata, cioè, una motivazione che oggi sembra essere del tutto tramontata: non etica, ma ascetica. Non mangiare carne come forma di rinuncia, di controllo sul proprio corpo e sui propri desideri. Con il tempo questa prima spinta ascetica si è arricchita di motivazioni etiche – risparmiare la vita degli animali, che è dotata di valore – e perfino estetiche (il disgusto per i corpi squartati, per la loro esibizione nelle macellerie, per il tetro allestimento di pezzi di corpi nei piatti). Tra le motivazioni non è mai comparsa quella salutista, che per molti è determinante: sia perché ho l’abitudine di avere convinzioni fondate su conoscenze certe, e non ho conoscenze che mi consentano di affermare con certezza che una dieta vegetariana o vegana è più salutare di una dieta che comprenda la carne, sia perché, per dirla tutta, non mi sono curato mai troppo della mia salute. Ultime sono arrivate le motivazioni politiche, di cui vorrei parlare qui.
Articolo pubblicato su Gli Stati Generali il 27 maggio 2015.
Ripartire dai Rom
Gli zingari sono la feccia della società, ha detto Buonanno. La feccia rappresenta lo scarto di una lavorazione, quel che resta di una trasformazione. In enologia, non è infrequente che la feccia venga chiamata “la mamma del vino”. Il cambiamento di cui abbiamo bisogno consiste nel riconoscere nella madre Rom che finisce in galera solo perché si è avvicinata a un bambino – anzi, solo perché un bambino le si è avvicinato – “la mamma della società“: quel residuo delle nostre logiche violente, discriminanti, omicide che occorre guardare in faccia e prendere per mano per cambiare la nostra società, prima che sia troppo tardi.
Articolo pubblicato su Gli Stati Generali.
Giusti
Commenti al mio articolo Soggetti pericolosi sulla bacheca di Francesco Giusti, segretario senese della Lega Nord.
Soggetti pericolosi
Pedagogias da libertaçao
E’ uscita presso l’editore Quartet di Rio de Janeiro l’edizione brasiliana di Pedagogie della liberazione, libro che ho scritto a quattro mani con Paolo Vittoria, docente di Filosofia dell’educazione all’Università di Rio de Janeiro. Nel libro io e Paolo ragioniamo di educazione e liberazione facendo interagire il pensiero e la prassi educativa di Freire, Boal, Capitini e Dolci. Un lavoro di pedagogia politica ed interculturale che mi ha arricchito molto, e che spero possa servire, ora, a far conoscere meglio in Brasile i nostri Aldo Capitini e Danilo Dolci. Sono particolarmente grato a William Soares dos Santos, per essersi sobbarcato la fatica della traduzione e per la bella introduzione all’edizione brasiliana del libro (che si aggiunge a quella dell’edizione italiana, di Peter Mayo).
Una nuova scena di meraviglia e di amore
La tesi evidentemente non scandalizzava solo le nobildonne, che si ritrovavano a dover sospettare che il cane che avevano in salotto ospitasse lo spirito di un dèmone, se i suoi superiori lo mandarono a La Fleche a schiarirsi le idee per qualche tempo. Il libro ad ogni modo ebbe successo, e fu tradotto in Germania ed Inghilterra. Qui finisce tra le mani del reverendo John Hildrop (1682–1756), educato ad Oxford e rettore di What, presso Ripon (Yorkshire): il quale, indignato più la superficialità con cui il francese aveva affrontato un tema così delicato, scrive una risposta. Nascono così i Free Thoughts upon the Brute-creation; or, an Examination of Father Bougeant’s Philosophical Amusement, che costituiscono uno dei documenti più interessanti della riflessione cristiana sul mondo animale nell’Europa del Settecento.
Hildrop non si limita a negare la tesi di Bougeant. Rivendica la razionalità degli animali ed il possesso da parte loro di un’anima, anche se diversa da quella umana. Gli animali sono decaduti dal loro stato di perfezione originaria per colpa del peccato dell’Adam, che ha compromesso l’armonia dell’intero universo. In origine, l’Adam faceva da ponte tra Dio ed il mondo naturale, era il canale attraverso il quale la vita e la felicità divine passavano negli animali e nelle piante. Con il peccato questo canale di è interrotto, e tanto l’uomo quanto l’animale sono decaduti. Ma Dio promette la salvezza. Come è possibile pensare che l’animale, che è caduto per colpa dell’uomo, non sia ristabilito insieme all’uomo nella perfezione originaria? L’apocatastasi ricondurrà l’intero universo al suo stato d’origine. Ogni essere vivente, dunque, partecipa della salvezza, ed è qui ed ora degno di rispetto, sia perché eterno come l’essere umano, sia perché è incolpevole del suo stato attuale di decadenza.
Traduco da: John Hildrop, Free Thoughts upon the Brute-creation; or, an Examination of Father Bougeant’s Philosophical Amusement, R. Minors, Bookfeller and Stationer, London 1742, pp. 75-77.
E questo, Madame, ci apre una nuova scena di meraviglia e di amore, meritevole della più seria attenzione di una mente razionale e religiosa. Ci sarà una universale Restituzione di tutto ciò che è caduto con la trasgressione dell’Adam; tutto ciò che è andato perso nel primo Adam sarà rinnovato nel secondo Adam: ci saranno nuovi cieli e una nuova terra, che saranno la dimora della giustizia. Dio lo ha chiaramente ed abbondantemente promesso per bocca di tutti i suoi santi profeti fin dall’inizio del mondo: Atti III, 19, 20, 21; Isaia LXV, 17, LXVI, 22; 2 Pietro, III, 13; 1 Corinzi, XV, 21, 22; Apocalisse, XXI, 1. E se l’intero mondo materiale sarà ripristinato nella sua primitiva perfezione, se ci sarà un rinnovamento della faccia della terra, Salmi CIV, 30, ci sarà di conseguenza un rinnovamento di tutti i suoi poteri seminali, di tutte le varie produzioni di frutti, fiori, animali, e tutti i diversi abitanti delle diverse parti della natura. Tutta la discordia degli elementi, tutta la malignità delle creature cesseranno interamente. Tutta la Natura si libererà della corruzione, della deformità, dell’oscurità, della confusione del suo presente stato, e sarà ripristinata nella purezza, nello splendore, nella bellezza della sua prima creazione.
La bestemmia più grave
C’è una bestemmia molto più grave di qualsiasi vignetta di Charlie Hebdo, una bestemmia che colpisce al cuore qualsiasi religione. E’ la bestemmia per la quale Gesù Cristo è stato mandato sulla croce dagli ebrei. E’ la bestemmia per la quale ad Al-Hallaj i musulmani fecero subire, nell’ordine, i seguenti supplizi: amputazione delle mani e dei piedi, crocefissione, decapitazione. E dopo morto diedero il suo corpo in pasto alle belve. La colpa di Cristo e di A-Hallaj, “Cristo dell’Islam”, è quella di aver detto: “Io sono Dio.” La colpa di aver superato quell’alienazione religiosa che fa credere che Dio sia qualcosa che può essere creduto, o che dev’essere pregato, e non qualcosa che si può essere. Che si deve essere. Che da sempre siamo.
Dalla bestemmia del Cristo i cristiani – la cui stessa esistenza è una bestemmia – si sono difesi facendo del Cristo un altro Dio, un altro Altro da venerare: un’altra via di alienazione religiosa. Quei pochi che hanno capito, sono diventati a loro volta bestemmiatori. Ed hanno subito a loro volta il supplizio – come Margherita Porete – o l’hanno evitato per poco, come Meister Eckhart. Si venera il Cristo crocifisso, evitando di prendere la croce (o prendendola in senso penosamente metaforico: sopportare i dolori, e sciocchezze simili). Su questo equivoco si fondano due millenni di alienazione religiosa occidentale.