Lo stupro di una donna che ha bevuto

Valeria Di Napoli, aka Pulsatilla, ha avviato un blog su Substack, Regina di Spade, in cui tenta tra l’altro una narrazione diversa dei rapporti di genere. L’ultimo articolo tratta il tema delicatissimo dello stupro di una ragazza che ha bevuto (rispondendo a un articolo di Andrea Casadio su “Domani” che non ho avuto modo di leggere, non essendo abbonato a quel giornale). Lo fa in un modo che ritengo inaccettabile, per ragioni che proverò a spiegare facendone una analisi dettagliata; dovrò ricorrere dunque ad ampie citazioni del suo articolo, che naturalmente vi invito a leggere.

Pulsatilla esordisce così:

Nella narrazione e nella ricostruzione dello stupro, di qualsiasi stupro, trovo che vengano fatti degli errori sistematici di bidimensionalità: si mira a dividere i buoni dai cattivi invece di mettere l’accento sulle risorse evolutive delle donne che hanno subìto la violenza. Il discorso sullo stupro si risolve quasi sempre dicendo che lui era un carnefice e lei era una vittima, ergo lui va punito, lei va difesa. Mai, mi risulta, vengono forniti alla donna degli strumenti di protezione o di crescita. Gli unici strumenti che le vengono forniti sono quelli della denuncia.

Cos’è un discorso sullo stupro? L’espressione può includere diverse cose. In primo luogo la sua ricostruzione e narrazione giornalistica. Poi la narrazione che ne viene fatta in tribunale, che come sappiamo ha modalità spesso umilianti per la vittima. Infine la narrazione che ne fa la vittima stessa al di fuori del tribunale, nei casi in cui decida di farlo, ad esempio scrivendo lei stessa articoli o libri sulla sua esperienza.

Il senso di Salvini per gli italiani

Con il consueto equilibrio Matteo Salvini ha commentato il caso di Ilaria Salis, la donna italiana condotta in tribunale con i ceppi in Ungheria perché accusata di aver aggredito dei neonazisti durante una manifestazione. S’è detto scandalizzato, Salvini, perché “questa Salis” fa la maestra: lui ha evidentemente un’altra idea di come dev’essere una brava maestra italiana. E la cosa non sorprende. Quello che un po’ sorprende, perfino in Salvini, è che abbandoni del tutto, perfino cercando di screditarla con una notizia falsa (quella di una passata aggressione a un banchetto della Lega, per la quale la donna è stata assolta), una cittadina italiana:

Ma quella donna se è colpevole deve pagare. E se il reato l’ha commesso in Ungheria deve essere processata in Ungheria. La sinistra ci dice sempre che dobbiamo rispettare la magistratura, ecco, allora rispettino anche la magistratura ungherese.

Non si può fare a meno di ripensare alla reazione ben diversa che Salvini ebbe quando il Tribunale del Mare condannò a restare per altri due anni in India i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che in India non avevano malmenato qualche neonazista, ma avevano ucciso due pescatori. Allora i giornali lo descrivevano come “sconcertato e infuriato”. Al Tempo aveva dichiarato:

Babbo Natale e quello che abbiamo perso per strada

L’ontologia è quella parte della filosofia che si occupa degli enti. Gli enti sono le cose che esistono. L’ontologia si interroga sulle caratteristiche generali degli enti – in soldoni: cos’è una cosa? – ma anche della classificazione degli enti. Proviamo. È evidente che un libro, ad esempio, è diverso da un’opera. Un libro è un oggetto, è questa cosa qui, mentre un’opera può incarnarsi, diciamo così, in diversi libri. Questa Bibbia, edizione 1992, non è la Bibbia. Evidente è che un ciottolo di fiume è diverso da una pietra intagliata: il primo è un ente naturale, il secondo è un ente naturale trasformato dalla nostra azione. E così via.

La cosa si complica quando si giunge a tipi di enti particolarissimi. Ad esempio la bellezza. Una pietra intagliata ad arte è bella. Ma cos’è la bellezza in sé? Per rispondere a questa domanda Platone ha creato un mondo a parte, l’Iperuranio, nel quale ha collocato le Idee: il Bene, il Bello, il Giusto eccetera. Cose che, nella sua filosofia, sono più reali del mondo che vediamo. Oggi non sono molti i platonici. Per lo più consideriamo valori la bellezza e la giustizia, ma non è facilissimo capire cosa sia e che tipo di realtà abbia un valore.

Vi sono poi gli enti personali non tangibili. Ho sulla mia scrivania una statuetta di Don Chisciotte. La statuetta è materiale, ma il personaggio è di fantasia. Questo non vuol dire che non abbia una sua realtà. La nostra cultura è piena di personaggi non tangibili, che tuttavia hanno avuto ed hanno una grande influenza sul modo in cui percepiamo la realtà. Può accadere anche che un ente personale tangibile si sdoppi, per così dire. Il Dante della Commedia è diverso dal Dante storico: è (era) una persona tangibile che diventa anche un ente non tangibile.

C’è ancora ieri (e non basta)

Il post contiene spoiler sul film C’è ancora domani di Paola Cortellesi.

C’è questa donna picchiata dal marito. Il cinema italiano non è in grado di mostrarci una donna realmente picchiata dal marito; per cui, nonostante l’omaggio al neorealismo, nel film di Cortellesi le botte sono a passi di danza. Questa donna, così infelice, ha una possibile via d’uscita: un suo ex fidanzato che la porterebbe via con sé. E lei si decide a prenderla, questa via d’uscita: e lo spettatore pregusta l’happy end. Ma ecco che avviene l’imprevisto, e la via d’uscita si richiude, e pare che non vi sia speranza. Ma giammai. “C’è ancora domani”, annuncia la protagonista. E lo spettatore immagina che domani, per chissà quale misterioso meccanismo – in fondo è la funzione di sceneggiatori e registi, escogitare misteriosi meccanismi – la nostra protagonista riuscirà e ricongiungersi al suo salvatore. Ma no. Domani è il giorno del voto. Del primo voto per le donne.

La via d’uscita per le donne, dice Cortellesi, non è romantica. Non è in un uomo che sostituisce un altro uomo, e può essere che non sia migliore di lui (come dimostra il fidanzato della figlia della protagonista). La via d’uscita è politica. E questo è un bel messaggio, senza alcun dubbio. E qui lo spettatore, spiazzato, applaude.

La controrivoluzione del merito di Luca Ricolfi

Morta la meritocrazia, ritorna il merito. Si potrebbe sintetizzare così La rivoluzione del merito di Luca Ricolfi (Rizzoli, Milano 2023). La meritocrazia è, per Ricolfi, una ideologia, e come ogni ideologia ha i suoi limiti concettuali e le sue contraddizioni pratiche. Cosa c’è dietro il merito? Almeno tre fattori: l’ambiente socio-economico, la dotazione genetica e lo sforzo personale. Ora, è evidente che i primi due fattori non comportano alcun merito reale e derivano dalla semplice fortuna. Quanto al terzo, si può considerare una qualità non diversa dalle altre, e come le altre indipendente da noi. Alcuni hanno una grande forza di volontà, senza che averla si possa considerare ragione di merito (come non lo è essere belli o intelligenti). In una società organizzata secondo l’ideologia meritocratica ognuno riceve dalla società solo ciò che gli spetta in base ai suoi soli meriti; il problema però è come isolare questo merito individuale da fattori come le doti naturali e l’origine sociale. Per neutralizzare quest’ultima, ad esempio, bisognerebbe imporre un’altissima tassa di successione o, addirittura, togliere ai genitori la responsabilità dell’educazione dei figli affinché tutti, educati dallo Stato, abbiano lo stesso livello culturale di partenza. In altri termini, l’ideologia meritocratica o è irrealizzabile o è realizzabile in società dai netti caratteri distopici.

Per Ricolfi si può e si deve rinunciare alla ideologia del merito senza rinunciare al merito stesso. E si può fare – mossa singolare per un sociologo – ricorrendo al senso comune, per il quale il merito è legato soprattutto allo sforzo individuale. Si tratta dunque di intervenire affinché lo sforzo individuale dei capaci, benché poveri, possa consentire loro di emergere. Ricolfi pone l’enfasi su questo sostegno sociale al percorso di elevazione sociale del povero, più che sul contrasto al vantaggio di chi proviene da un ambiente sociale privilegiato, cosa che gli sembra condurre inevitabilmente alla distopia.

Ancora sulla progettazione didattica condivisa

“Orizzonte Scuola” mi ha intervistato a proposito della mia proposta di progettazione didattica condivisa, anticipata in questo blog. Il titolo scelto – La classe che decide i contenuti da studiare, il metodo di lavoro e i criteri di valutazione: la proposta didattica condivisa – non ha favorito una discussione serena: sulla pagina Facebook i commenti sono stati per lo più scandalizzati: e sospetto che molti di quelli che hanno commentato non siano andati oltre il titolo.