Scuola e alienazione

Una delle caratteristiche più vistose della nostra società è la complessità tecnologica. L’essere umano è tecnologico: costruisce da sempre oggetti con i quali interviene sul mondo per trasformarlo. Dalla prima rivoluzione industriale in poi, questi oggetti sono diventati particolarmente complessi ed efficaci. Nel tempo – quello attuale – che segue la terza rivoluzione industriale, l’essere umano è circondato da oggetti talmente evoluti dal punto di vista tecnologico da diventare al tempo stesso estremamente affascinanti e sottilmente inquietanti. Affascinanti, perché riescono a fare cose che in passato sarebbero apparse opera di magia: inquietanti appunto per questo: perché pochi riescono davvero a comprendere come funzionino. Cessa, con l’ultimo sviluppo tecnologico, la padronanza sull’utensile. L’utilizzatore diventa utente: usa uno strumento, o un servizio, che lo trascende e che non è in grado di dominare cognitivamente.

Hartmut Rosa (2015) ha analizzato l’alienazione che consiste nell’essere circondati da oggetti che, per il loro rapido decadimento, non diventano mai realmente nostri. C’è una rapida sostituzione degli oggetti, che vengono gettati via e sostituiti quando si rompono, invece di essere riparati; e in questo modo nessun oggetto ci accompagna realmente nel corso della vita. C’è tuttavia un’altra, più grave forma di alienazione, legata al fatto che siamo sempre più circondati da oggetti che non comprendiamo. Pochi sono in grado di comprendere il funzionamento di un computer o di uno smartphone, sia dal punto di vista dell’hardware che del software, così come pochi conoscono gli algoritmi che regolano il funzionamento dei social network cui accedono attraverso i computer e gli smartphone. Siamo costantemente immersi in una situazione di non conoscenza. E tuttavia non ci sentiamo ignoranti. Il sistema simbolico attraverso cui diamo valore e significato alle cose fa sì che ci si senta diminuiti se non si conosce un autore vissuto nel tredicesimo secolo, ma ci si possa considerare perfettamente colti e socialmente riconosciuti se non si è in grado di comprendere il funzionamento del più comune degli strumenti adoperati quotidianamente. Ma il sistema simbolico non ci salva dal sottile disagio di maneggiare costantemente oggetti che ci trascendono.

C’è, è chiaro, uno scollamento tra sistema simbolico e realtà. Di fatto la nostra libertà, che non è altro che la nostra possibilità di azione, è legata alla capacità di dominare anche cognitivamente il mondo in cui siamo, a cominciare dagli oggetti che ci circondano. Per farlo occorrono conoscenze tecniche: informatica, elettronica, agricoltura (perché lo stesso cibo ci è ormai estraneo), economia e così via. Ma queste conoscenze, in quanto tecniche e professionali, sono socialmente screditate. Cultura vera, alta è considerata quella che non ha alcuna immediata ricaduta pratica. Quella, cioè, che ci conduce in modo estremamente suggestivo in mondi lontani – discuteremo di filosofia con Platone e accompagneremo Dante nel suo viaggio ultraterreno – ma ci lascia inermi, fragili e alienati nel mondo attuale.

La scuola ha, in questo scollamento, responsabilità precise. Essa ha una struttura piramidale che riflette il sistema simbolico che essa stessa riproduce. Al vertice le conoscenze disinteressate, il sapere puro; alla base le conoscenze tecnico-professionali. Una piramide che riflette, sostiene e giustifica la piramide sociale. Perché gli istituti tecnici e professionali sono frequentati – per orientamento esplicito o per auto-posizionamento – dagli studenti che provengono dalle famiglie dotate di uno status sociale meno elevato, spesso per via dello stigma che viene dalla condizione di immigrato, mentre lo status aumenta via via che si sale verso l’Olimpo del liceo classico.

Se c’è una situazione nella quale si può invocare la dialettica servo-padrone di Hegel, è esattamente questa. Questa piramide può essere rovesciata; si può scoprire, con sconcerto e scandalo di molti, che in realtà gli ultimi sono i primi. Che, nonostante tutta la consolidata retorica sugli studi classici che rendono liberi e che formano al pensiero critico, coloro che hanno una conoscenza tecnica sono effettivamente più liberi nel quotidiano. Gli altri, alienati rispetto agli oggetti, potranno diventare espertissimi nei giochi sociali – la scuola di fatto li prepara per questo – e conquistare così via via uno status sociale sempre più elevato, esibendo il capitale culturale, quando non quello economico. E impiegare ogni genere di surrogato per mascherare quella loro fragilità di fondo, che tuttavia non si lascia mai cancellare del tutto e li segue come un’ombra.

Da Senza cattedra. Per un’altra scuola, in preparazione.

Author: Antonio Vigilante

antoniovigilante@autistici.org

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