Vediamo dunque come opera l’educazione popolare. Non ha, intanto, gli spazi della scuola. Può anche farli propri, ma trasformandoli in modo decisivo. Barbiana, di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo, ha una sala per lo studio, con tutt’intorno una piccola biblioteca, ma ha anche – cosa inaudita per la scuola – un’officina e una piscina. Non ha poi la struttura relazionale della scuola. Può permanere la figura dell’insegnante, del maestro o del professore, e può essere perfino rivendicata la sua autorità (nel caso di Freire, come abbiamo visto, è una autorità funzionale), ma la relazione è umana, non burocratica. Nessun conflitto, in una situazione di educazione popolare, può essere risolto con una nota sul registro. Quando l’operaio lo contesta, Freire non può far altro che riflettere su quella contestazione. Una situazione di educazione popolare è fondata sul riconoscimento reciproco. L’educatore può svolgere il suo compito perché è riconosciuto dagli studenti, che siano bambini, adolescenti e adulti. Ma può educare solo se a sua volta riconosce pienamente, e non retoricamente, i bambini, gli adolescenti e gli adulti con cui sta lavorando: solo se è disposto a lasciarsi educare da loro. Questo vuol dire che l’educazione popolare non opera per sostituzione, come fa la scuola, ma per dialettica. Non c’è un mondo culturale (quello orale contadino o quello del sottoproletariato urbano) da cancellare, sostituendolo con il mondo della cultura, quello che passa attraverso la scrittura e i libri. C’è invece il confronto tra due mondi, tra i quali l’educatore è chiamato a fare da mediatore, da asse, da punto di giunzione. E se il suo lavoro è efficace, il risultato sarà un superamento dialettico di entrambe le culture, una cultura nuova che non appartiene a nessun mondo sociale e culturale dato, e per questo è capace di novità.
Da Senza cattedra. Per un’altra scuola, in preparazione.