Quand’ero adolescente raggiunsi la Conoscenza. Bastano poche parole per dirla. Noi non siamo il nostro io e la nostra mente, così come non siamo il nostro corpo. C’è un fondo, un al di là di quello che crediamo di essere, che è la nostra natura autentica. Attingere questo al di là è lo scopo della vita. E questo al di là è, al tempo stesso, il fondo dell’essere, che potremmo chiamare Dio. E questo fondo è Uno. La profonda unità di tutto. Limai una medaglietta, vi scrissi “Tutto è uno” e me la misi al collo. Non avevo altro da sapere.
Giunsi a questa Conoscenza dopo aver letto un po’ di testi di filosofia indiana. Stabilirmi, almeno con l’immaginazione, in questo altrove da me mi dava un senso di liberazione che rendeva quasi tollerabile il tempo sprecato a vegetare tra i banchi. Ma, anche, mi isolava terribilmente. Perché io ero quello che sapeva, gli altri vagavano nell’ignoranza. Mi rese, insomma, insopportabilmente arrogante.
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